domenica 29 novembre 2009
Piovono pietre
Piovono pietre (Raining stones, 1993). Regia di Ken Loach. Scritto da Jim Allen. Fotografia: Barry Ackroyd Musica: Stewart Copeland. Con Bruce Jones, Ricky Tomlinson, Julie Brown, Gemma Phoenix (la bambina), Tom Hickey (il prete), Mike Fallon, e altri. Durata: 90 minuti.
L’usura è uno dei nostri grandi mali nascosti. E’ come un fiume carsico, lavora sottoterra: ma quando esce in superficie, quando ci accorgiamo che esiste, sono quasi sempre tragedie. Se ne parla per un po’, si seppelliscono gli eventuali morti, poi tutto torna come prima. Per mia fortuna, non ci sono mai capitato in mezzo; ma ho ascoltato storie spaventose in proposito, e in cronaca le notizie riguardo all’usura non mancano mai: basta aspettare. Di solito, con poco spazio; infilate in mezzo ad altre notizie, magari un trafiletto quasi invisibile.
E, nel frattempo, le nostre televisioni sono piene di spot allegri e affettuosi che ti gridano a chiare lettere che non importa se non hai soldi, i soldi te li diamo noi: spot anche di banche importanti, mica solo piccole finanziare con l’accento sull’ultima sillaba (si sa che le parole con l’accento sull’ultima sillaba ispirano simpatia, e poi serve un bel jingle musicale che aiuta sempre).
Il soggetto principale di “Piovono pietre” è l’usura. Il protagonista, Bob, non è uno sprovveduto e non si fa prestare soldi da un usuraio: va da una Finanziaria, gente seria. Sarà poi la Finanziaria, che non si fida della capacità di Bob di reperire soldi, a passare tutto a un usuraio molto violento, che gli piomba in casa e spaventa a morte sua figlia e sua moglie, e gli spacca mezza casa. Di tutto questo, Bob non sapeva nulla: era ancora convinto di dovere dei soldi a un’impresa commerciale, non a dei camorristi. La sorpresa, la disperazione, la rabbia, sono enormi; e la tensione diventa così alta che Loach è costretto a dare un lieto fine al film. E’ un lieto fine molto intelligente, che dà da pensare ancora di più di un finale “tradizionale”: ma di questo è meglio parlare più avanti.
Il secondo tema di “Piovono pietre” è il rapporto con la religione. Bob è cattolico (cattolico in Inghilterra), e sua figlia deve fare la Prima Comunione. E’ d’usanza, come nei nostri paesi del Sud, che la bambina abbia un vestito da principessa, e che ci sia un ricevimento fastoso: tutte cose che costano. Il prete è una persona di buon senso e sconsiglia Bob: la parrocchia presta volentieri gli abiti per la Prima Comunione, alcuni sono molto belli; e il ricevimento lo si può fare in parrocchia, in comune, insieme alle altre bambine e ai loro parenti. Ma Bob non ne vuole sapere: deve essere una festa, qualcosa da ricordare e da tenere dentro per sempre. La sua bambina avrà quello che hanno anche le altre bambine più ricche, costi quel che costi. E’ così che Bob si mette nei guai: all’inizio facendo piccoli lavori nelle case (è un bravo idraulico).poi accettando un incarico come buttafuori in un locale alla moda (è lì che scoprirà che l’unica figlia del suo migliore amico si guadagna da vivere spacciando droga e prostituendosi).
Hanno un ruolo importante nel film anche la moglie e la figlia di Bob: Ken Loach non è uno che trascura i suoi personaggi. Messi insieme, i tre attori sembrano davvero una famiglia; e il film sembra quasi un documentario, un ricordo d’infanzia, qualcosa che abbiamo vissuto tutti (tutti quelli che non sono nati figli di padre ricco, s’intende). In particolare, mi ha colpito la bambina, che è una bambina vera e non una delle tante scimmiette più o meno ammaestrate che vediamo tra cinema e tv; ed è cronaca quotidiana l’episodio della moglie di Bob che vorrebbe riprendere a lavorare ma anche per le cose più piccole le dicono “torna quando avrai imparato”. La donna comincia a cucire davanti al “datore di lavoro”, ma quello la ferma subito: “Guarda quanto tessuto che mi hai fatto sprecare! No, così non va: torna quando avrai imparato a cucire!” (tutto questo per dieci centimetri di stoffa).
Ed è un bel personaggio anche la figlia dell’amico di Bob (interpretato dal buffo Ricky Tomlinson, già presente in “Riff Raff”), che dà i soldi al padre disoccupato e gli fa un regalo. Il padre non vorrebbe, la madre insiste perché accetti: in fin dei conti, è un regalo di sua figlia. Un bel quadretto familiare: la ragazza dice in casa che fa la rappresentante di profumi, ma la realtà è un’altra. Quando Bob per caso la scopre, e credendo di difenderla arriva a fare cazzotti con i suoi clienti, la ragazza diventa una belva: perché teme che il casino che le ha combinato le possa far perdere il giro. Anche questo fa parte della realtà che ci circonda, e che facciamo finta di non vedere.
L’inizio è comico e grottesco, Bob si fa convincere dall’amico buffo, disoccupato come lui (un bel ringraziamento alla signora Margaret Thatcher: erano due bravi operai, d’improvviso si sono trovati fra gli “esuberi” e non sono più riusciti a risalire la china) a rubare una pecora in campagna; poi mentre cercano di piazzare la pecora gli rubano il furgone, unica sua fonte di sostentamento. Quando comincia il film, siamo in aperta campagna ed è difficile raccapezzarsi; poi, una volta presa la pecora, siamo subito in città, e incomincia la storia vera e propria.
Bob ha un parente che lavora al sindacato, che si chiama Jimmy. Jimmy è la prima persona a cui si rivolge per cercare un lavoro, ma i tempi sono molto duri, anche il sindacato non può farci molto.
Questo è un dialogo che avviene fra di loro, nella prima parte del film:
- Mi ci sono messo io in questo casino, e ne uscirò da solo.
- Non con l’aiuto della chiesa, però.
- Che c’entra la chiesa?
- Tu cerchi risposte che non esistono. Le risposte fanno già parte del problema.
- Senti, tu la vedi in un modo e io in un altro. Chiaro?
- No, tu hai fede ma cinque avemarie non ti aiutano a risolvere il problema. Tutte queste cazzate religiose stancano solo il cervello, e non pensi più con la tua testa.
- Senti Jimmy, l’ultima cosa che mi serve in questo momento è un comizio.
- O una predica... Tu hai bisogno di un lavoro, e il lavoro non c’è.
- Che scoperta! Hai detto una cosa nuova.
- Sulla classe operaia piovono pietre sette giorni alla settimana...
- E piovono tutte addosso a me!
- Non solo addosso a te, Bob. Ti porti dietro questo senso di colpa, ed è quello che vogliono loro per distruggerti. So che non ti fermi davanti a niente pur di lavorare.
- Questo però non mi ha aiutato molto.
- Il sistema non lo abbiamo inventato noi, ma sta a noi cambiarlo.Vengono interrotti da rumori all’esterno: un ragazzo e una ragazza stanno litigando, nel piazzale. Con loro altri ragazzi e ragazze, giovanissimi. Si intuisce che la discussione è nata da qualcosa di poco chiaro, di illegale.
Bob: Cosa fanno?
Jimmy: Stanno litigando.
Bob: Lei avrà sì e no 15 anni...
Jimmy: Se ci arriva.
Bob: Che possibilità possono avere quei due?
Jimmy: Sono prossimi al carcere. Per molti di loro il futuro è già segnato. Non hanno lavoro, non hanno sogni. Sono disperati, tutto quello che gli resta è la delinquenza, l’alcool, la droga. La famiglia non esiste più. (...) Ma noi siamo come dei cani, che si azzannano tra di loro invece di unire e di moltiplicare le nostre forze per aiutarci l’un l’altro. Solo facendo questo potremo riuscire a combinare qualcosa. Il resto, è propaganda.Al sindacalista Jimmy fa da contraltare il prete, con il quale Bob (che è un cattolico molto osservante) va a confidarsi due volte nel corso del film, in due momenti importanti. E’ un bel prete, quello che tutti sogneremmo di trovare in canonica, pronto ad ascoltare, maturo, sereno e deciso. Lo vediamo all’inizio, quando Bob va a fare un lavoro sporco in canonica e, come è ovvio, si sporca: anche questa è vita, se non ci fossero quelli che spurgano i pozzi neri e i tombini otturati la nostra vita sarebbe senza dubbio peggiore, e Loach fa bene a ricordarcelo. Per Bob, questo è un buon lavoro, e si adatta a farlo. Il prete ricorda a Bob che non è il vestito che conta nella Prima Comunione, ma Bob ha la testa dura.
Il finale non lo racconto, nel caso che vi capitasse di vedere il film: perché Loach è un ottimo narratore, svelare come va a finire “Piovono pietre” , anche dopo tutti questi anni, sarebbe un dispetto – un po’ come svelare il finale di un thriller.
Basterà dire che alla fine, quando l’irreparabile è ormai successo, Bob si rivolge proprio al prete; e il prete darà a Bob il consiglio che uscirebbe dal cuore a tutti noi, e che si rivelerà perfetto; e lo si vorrebbe abbracciare ma non si può, questo prete è solo il personaggio di un film. La realtà purtroppo è molto spesso diversa.
Il film finisce come tutti vorremmo che finisse, e per questa volta, non può andare diversamente: troppo dura la verità, meglio rifugiarsi nei sogni altrimenti il film sarebbe impossibile da reggere. Impossibile da reggere, proprio come la realtà che ci circonda e che preferiamo far finta che non esista: anch’io, lo ammetto, salto volentieri le pagine di cronaca dei giornali che parlano di queste cose – ho la fortuna di non avere figli, posso farlo.
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