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DER SCHARLACHROTE BUCHSTABE (La lettera scarlatta, 1972)
Regia di Wim Wenders. Sceneggiatura: Wim Wenders e Bernardo Fernandez, dal romanzo omonimo di Nathaniel Hawthorne. Fotografia: Robert Müller. Montaggio: Peter Przygodda. Musica: Jürgen Knieper. Interpreti: Senta Berger, Hans Christian Blech, Lou Castel, Yelene Samarina, Yella Rottländer, Rüdiger Vogler. produzione: P 1 im Filmverlag der Autoren (Monaco), WDR (Colonia) e Elias Querejeta PC (Madrid), direttori della produzione: Peter Genée e Primitivo Alvaro-35 mm., C., 90 min.
Si tratta di un adattamento del famoso romanzo di Nathaniel Hawthorne, ed è un film che a me piace molto. Non è dello stesso parere l’autore: quando gli capita di parlarne, anche nei suoi libri, sorvola e tende sbrigarsi con poche righe; nel commento che si trova sul dvd è molto più dettagliato, ma ripete più volte che questo film lo avrebbe evitato volentieri. Ma poi aggiunge che fu durante la lavorazione di “La lettera scarlatta” che si rese conto di poter fare veramente dei film per il cinema, e che fare cinema era la sua strada.
Il romanzo, scritto a metà Ottocento, racconta un fatto avvenuto in America nel XVII secolo: non diversamente da quello che aveva appena concluso da noi Alessandro Manzoni, che per “I promessi sposi” si era ispirato a fatti veri (o quasi) avvenuti due secoli prima. Siamo nella terra di origine di Hawthorne: nella comunità puritana del New England, una giovane donna viene considerata adultera e condannata a vivere separata dagli altri e a portare sul petto un vistoso marchio d’infamia, una A scarlatta dove A sta per Adultera. Il marito della donna è dato per disperso in un viaggio, e durante la lunga assenza del marito, ormai considerato morto, la donna partorisce una bambina che non può evidentemente essere figlia del marito; ma non vuole svelare l’identità del vero padre e per questo viene punita. La giovane donna è però molto forte e molto fiera, e la sua mancata sottomissione (sembra quasi che sia lei a tener lontani gli altri membri della comunità) è motivo di scandalo. Quando uscì il romanzo, a Salem era ancora viva l’eco dei processi alle streghe, e il clima complessivo della narrazione ne risente molto.
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In collaborazione con gli altri registi tedeschi della sua generazione, come Werner Herzog, nasce così una casa di produzione che porterà alla rinascita del cinema in Germania, con molti successi anche sul piano commerciale. Come ricordano spesso sia Herzog che Wenders, in Germania nei primi anni ’70 dal punto di vista culturale si stava ancora pagando la vergogna del nazismo: e per trovare un grande regista tedesco bisognava andare indietro fino a Lang e a Murnau.
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Il cast è da film importante: le parti principali sono affidate a Senta Berger e a Lou Castel erano due divi di forte richiamo, nei primi anni ’70; e ad Hans Christian Blech, che è uno dei maggiori attori del cinema tedesco. Un cast internazionale, con attori di molte nazionalità; e qui si arriva ad un altro dei punti fondamentali del cinema d’autore, il problema del doppiaggio e dei rapporti personali con gli attori. Come gestire una produzione dove non ci sono due attori che parlano la stessa lingua?
Wenders è catastrofico nel suo commento, sembra che non gliene sia andata bene nemmeno una. E invece no, il film non è così male, anzi ha molto fascino ancora oggi.
Anch’io sono un grande appassionato di Nathaniel Hawthorne e del suo stile di scrittura, e ho sofferto molto ogni volta che mi è toccato di vedere una riduzione per il cinema o per la tv del suo romanzo. Il problema è fondamentale: con Hawthorne, come con Henry James, con Herman Melville e con molti altri grandi scrittori, la semplice trascrizione della storia non basta. Qui la “trama” è solo uno scheletro di supporto, quello che conta è come viene raccontata la storia; e Wenders riesce piuttosto bene nell’impresa. Altrove mi spazientisco, trovo improbabile questo o quell’attore, o addirittura la storia viene modificata, si aggiungono scene di sesso esplicito, si tolgono e aggiungono personaggi, eccetera: ma qui non succede. Per esempio, nella mezza paginetta dedicata a questo film in “Stanotte vorrei parlare con l’angelo”, Wenders racconta che Lou Castel era molto fuori sintonia, spaesato, quasi assente; e questo si vede, ma l’evidente stanchezza fisica dell’attore giova molto al suo personaggio. E Senta Berger, bellissima e dolce, ma severa e distaccata, è quanto di meglio si possa trovare per il personaggio di Hester Prynne. Hans Christian Blech ha grande presenza e carisma, ricorda vagamente Spencer Tracy anche nell’aspetto fisico; gli altri attori sono spesso un po’ improvvisati ma reggono bene le parti loro affidate.
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Dai giochi e dagli scherzi tra la bambina e Rüdiger Vogler, un attore dotato di grande simpatia naturale, nascerà il film successivo di Wenders, “Alice nelle città”: oltre ad essere ancora oggi bellissimo, uno dei più bei film sul rapporto fra adulti e bambini, è il primo vero lavoro di Wenders come autore maturo. Yella Rottländer girerà solo questi due film, fare l’attrice non le piaceva poi molto; la rivedremo brevemente, da adulta, in “Così lontano così vicino”, sempre di Wenders: interpreterà la parte dell’angelo custode proprio di Rüdiger Vogler. Invece il sodalizio tra Wenders e Vogler sarà lunghissimo e fecondo, ed è storia nota.
Da rimarcare, infine, la luce e la bellezza dei posti, magnificamente fotografati da Robby Müller: siamo nel nord della Spagna, in Galizia.
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