lunedì 16 novembre 2009

La ballata di Stroszek


La ballata di Stroszek (Stroszek, 1976). Scritto e diretto da Werner Herzog. Fotografia di Thomas Mauch. Scenografie di Henning von Gierke. Musica di Chet Atkins, Tom Paxton, Sonny Terry. Girato a Berlino, a Monaco di Baviera, a Plainfield (Wisconsin), a Cherokee (North Carolina), a New York. Con Bruno S. (Stroszek); Clemens Scheitz (Herr Scheitz); Eva Mattes (Eva); Wilhelm von Homburg, Burkhard Driest, Pitt Bedewitz (i tre ruffiani); Clayton Szlapinski (meccanico del Wisconsin); Ely Rodriguez (aiuto meccanico); Alfred Edel (direttore del carcere); Scott McKain (impiegato dell’immobiliare); Ralph Wade (banditore d’asta); Dottor Vaclav Vojta (il dottore); Michael Gahr, Yücsel Topcügurler (i due carcerati); Bob Evans (cliente al ristorante nel North Carolina); Der Brave Beo (il merlo indiano). Durata: 108 minuti.
Per una volta, il titolo italiano rende molto bene l’idea del film: una ballata. Le ballate hanno spesso per soggetto argomenti non necessariamente positivi, gente disgraziata, sfortunati, eroi negativi, magari anche briganti e assassini. Protagonisti delle ballate sono Robin Hood o il Passatore, e noi tutti conosciamo bene “La locomotiva” di Guccini: “un pazzo si è lanciato contro al treno...”.
Di questo genere è anche “La ballata di Stroszek”, che nell’originale fa semplicemente “Stroszek”.
Stroszek, Bruno Stroszek, lo incontriamo subito all’inizio: sta uscendo di prigione. Non è un criminale, si vede subito che è un buono e che non farebbe del male a una mosca. Si tratta di piccoli reati, ma ripetuti: come dice il direttore della prigione, che lo ha preso in simpatia, sono tutti reati dovuti all’alcool. Stroszek deve promettere solennemente che d’ora in poi starà lontano dalla birra e dagli altri alcolici; e davanti al direttore Stroszek giura solennemente di farlo, alzando la mano nel giuramento ungherese: che non si sa bene che cosa sia, ma si suppone una cosa serissima. Infatti, appena uscito dal portone del carcere Stroszek va a farsi una birra; ed è in questo bar che comincia la sua storia.
Ma prima di andare avanti bisogna riportare un dialogo importante, sempre dalla scena con il direttore del carcere.
Stroszek: Quando ero giovane mi avete sbattuto in riformatorio; e adesso che sono diventato un uomo mi mettete in prigione, e un giorno mi butterete via, dentro un secchio di immondizia.
Direttore: Hai perfettamente ragione, Bruno, ma se non la pianti con l’alcool sai come andrà a finire. La prossima volta, la corte non ti concederà attenuanti e rimarrai qui dentro per almeno dieci anni (...) Bruno, ascoltami, voglio darti qualche consiglio. (...)
Stroszek: (quasi tra sè, ma con decisione) E’ tutto un circolo vizioso.
Direttore: No, non è un circolo vizioso. Dipende anche da te. Io sto solo cercando di non farti tornare qui mai più.

Nel bar, Bruno incontra una giovane donna, interpretata da Eva Mattes. E’ una prostituta, e lì vicino ci sono i suoi “protettori”, due uomini molto violenti. Eva si trova bene con quest’ometto gentile, e lo accompagna a casa; i due uomini non la lasceranno andare via così tranquillamente, come vedremo più avanti; ma per adesso tutto fila via liscio. Finalmente, ecco Bruno a casa sua; dove ritrova il vicino di casa, l’anziano signor Scheitz, che è ancora più piccolo di lui e ugualmente gentile. Herr Scheitz ha tenuto in ordine l’appartamento durante l’assenza di Bruno, e adesso gli ha riportato anche la gabbia con il merlo indiano, a cui è molto affezionato. Anche il merlo sta bene, ed Eva lo trova molto simpatico. Il piccolo idillio finirà subito: i due magnaccia sono molto violenti e fanno paura. Picchiano Eva e minacciano duramente Bruno, mettendogli a soqquadro la casa.
Da qui nasce la decisione di andar via. Il signor Scheitz ha dei parenti in America, che lo hanno spesso invitato: e se si andasse là? La cosa è fattibile, mancano solo un po’ di soldi ma Eva se li procura facilmente, per una volta ancora si può fare.
Rivediamo i tre prima a New York, poi in Wisconsin, dove sono accolti calorosamente dal nipote di Scheitz, un meccanico d’auto. Bruno va a lavorare con lui, Eva trova impiego in un bar, viene affittata una casa: tutto sembra procedere a meraviglia. Ma dopo un po’ arrivano i problemi: hanno l’aspetto mite del giovane impiegato dell’immobiliare, che richiede gli arretrati. La prima rata della casa viene pagata da Eva, in contanti, e Bruno ne è molto stupito: da dove vengono tutti quei soldi? Bruno ha dei sospetti, e noi sappiamo che sono fondati.
Il problema è però un altro: oltre ai soldi, Eva si è accorta che quella vita non le piace. Il signor Scheitz è un vecchietto un po’ toccato, Bruno è soltanto buono e affettuoso, oltre a questo non ha molto da offrirle. La ragazza torna all’antico mestiere, ma stavolta può svolgerlo con serenità senza più la paura di essere picchiata. Abbandona tutti e se ne va via con un camionista.

A questo punto la situazione precipita. Bruno e il signor Scheitz perdono tutto, la casa viene messa all’asta e portata via (è una casa mobile). Disperati e arrabbiati, i due tentano una rapina che finirà male: “la rapina più triste della storia del cinema”, come la definisce Werner Herzog. La scena della rapina è più comica che tragica: i due trovano la banca chiusa per turno, e così ripiegano sul barbiere di fianco, sorpreso mentre si sta facendo la barba da solo, con la faccia appena insaponata. Scheitz verrà arrestato subito, Bruno viene invece dimenticato sul posto dai poliziotti, piuttosto distratti. Ma è tutto finito, rimane ben poco da fare. Dentro di sè, Bruno ha ormai capito che uscire dal “circolo”, quello di cui aveva parlato con il direttore del carcere, è impossibile. Non onestamente, questo è certo.

La “ballata” è resa dolce da Herzog, il finale fa sorridere anche nella sua drammaticità, e bisogna dire che quando si ripensa a questo film rimane l’impressione di qualcosa di piacevole e di positivo, ed è facile dimenticarsi delle cose tristi che contiene. In realtà, “Stroszek” è un film amarissimo, e la “dancing chicken” che chiude il film è un’immagine che parla da sola e con molta chiarezza, così come la teleferica su cui si perde Bruno, il camion con lo sterzo bloccato che gira su se stesso nel piazzale fino a bruciare: tutte immagini che si potrebbero sintetizzare in una sola, quella del cerchio, del gatto che si morde la coda, tutte immagini senza una via d’uscita.
I buoni e gli onesti fanno una brutta fine, usurai e prostitute se la cavano egregiamente, in un modo o nell’altro; e ogni tentativo di ribellione è inevitabilmente destinato a finire in modo tragico o ridicolo. E’ l’amara morale di “Stroszek”, un piccolo grande film che dà i brividi nascosto sotto le sembianze di una commedia dolce e simpatica. La vita è davvero un circolo vizioso, se ci entri non c’è modo di uscirne. Eva come donna onesta non interessa a nessuno, lavora tanto e guadagna poco; Eva come prostituta diventa interessante, piace e può pagarsi i debiti.

Il film non è di quelli che si possono raccontare: come sempre in Herzog, le immagini sono la parte più importante, quelle che spiegano di più. Molte le sequenze memorabili, di quelle che non si possono raccontare perché vanno proprio viste: l’uscita di Stroszek dal carcere e il suo saluto con i compagni di cella, l’esibizione musicale di Bruno nel cortile, Scheitz che misura “il magnetismo animale” (pare che fosse una vera fissazione per il signor Scheitz, anche nella sua vita privata), la ricerca dell’automobile scomparsa nel laghetto ghiacciato, tutta la sequenza finale con gli animali ammaestrati, il coniglio e le galline; e tante altre cose che richiederebbero una lista molto lunga. Memorabile soprattutto la scena del dottore con i bambini prematuri, proprio al centro del film: che è così bella da meritarsi un post a parte (arriverà presto). Memorabile anche la musica allegra di quando arriva la casetta mobile, nel Wisconsin: Herzog spiega che è stata presa da un cilindro di Edison, una delle primissime registrazioni musicali nella storia. Ma si sa che dalla musica, nei film di Herzog, c’è sempre da aspettarsi molto; segnalo quindi i due brani di Chet Atkins indicati in locandina, “The last thing on my mind” e “On my way down to Phoenix”, ma soprattutto – per tutti coloro che non lo sapessero e che si fossero persi una simile meraviglia - che la “Chicken dance” finale è condotta con la voce di Sonny Terry, “Old lost John”: da non perdere.


2 commenti:

Zonekiller ha detto...

Uahu! ho scoperto il blog solo ora e ti faccio i miei più sentiti complimenti per la scelta dei film, per le recensioni e per le immagini...col tempo ti leggerò volentieri...allora la Blogosfera non è deceduta sotto le grinfie di Facebook e affini! Ovviamente ti metto nel mio blogroll!

Giuliano ha detto...

Grazie! Sto soltanto mettendo on line i miei appunti personali, perchè due o tre amici cari me lo avevano chiesto. (questo blog in realtà ha tre anni di vita, per questo lo aggiorno così velocemente).
Sono più di 30 anni che raccolgo appunti sui film che mi hanno colpito (non necessariamente i più belli), so che a qualcuno fa ancora piacere parlare di queste cose.
Vengo subito a ricambiare la visita.