Quintet (1979) Scritto e diretto da Robert Altman. Sceneggiatura di Robert Altman, Lionel Chetwynd, Patricia Resnick, Frank Barhydt. Fotografia: Jean Boffety. Musica: Tom Pierson. Interpreti: Paul Newman (Essex), Vittorio Gassman (Saint Christopher), Fernando Rey (Grigor, il giudice), Bibi Andersson (Ambrosia), Brigitte Fossey (Vivia), Nina Van Pallandt (Deuca), David Langton (Francha), Craig Richard Nelson (Redstone). Durata: 118 minuti
- Tu giochi al buio, ed è una tattica pericolosa. Non potrai mai capire il disegno finché non sei parte del disegno.
- Con questo vuoi dire che lo sarò?
- Certo! Nel preciso momento in cui sarà troppo tardi."Quintet", girato in Canada nel 1979, è un film straordinario, anche se richiede molta pazienza: l’errore più grosso che si potrebbe fare è seguire le indicazioni promozionali, quelle scritte anche sul dvd, e iniziare a vederlo scambiandolo per un film d’avventure o per un catastrofico di genere. E’ difficile da seguire anche perché, fisicamente, manca la luce: la catastrofe è già avvenuta, il mondo è ricoperto di ghiacci, i protagonisti sono sempre infagottati in abiti che li rendono goffi e pesanti , e quel che accade spesso non si vede proprio, perché una luce fioca o un alone davanti all'obiettivo lo nascondono (in tutto o in parte) alla nostra vista.
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Straordinario, dicevo, e non bello né attraente e neppure particolarmente riuscito: ma io me lo porto dentro da quando l’ho visto la prima volta, tanti anni fa. Prima di tutto perché la vita è così, come il Quintet, il gioco misterioso, insondabile e incomprensibile con il quale passano il tempo residuo i superstiti di una terribile glaciazione:
“L’unica forma di vita intelligente ancora rimasta sul pianeta”, dice l’arbitro Grigor.
Le regole non sono sempre certe né facilmente comprensibili, ma i giocatori si divertono lo stesso, e sanno essere spietati quando serve. Per chi fosse interessato, alcune spiegazioni su come si gioca vengono date nel corso del film: si gioca con due dadi e c’è un "limbo" dove vanno i morti, la tavola da gioco è pentagonale, il sesto giocatore organizza il gioco e decide chi uccide chi e in che ordine; e sfida il vincitore finale, quasi sempre in posizione di vantaggio. La finalità è appunto quella: uccidere l’avversario. Sulle tavole da gioco, avviene solo per finta, come negli scacchi; però c’è anche un torneo nascosto, nel quale si uccide veramente; ma tanto, a questo punto, non interessa più a nessuno. C’è un giudice che non può giocare, quasi come la Morte del “Settimo Sigillo” di Bergman; ma qui il giudice Grigor (Fernando Rey) è quasi un demiurgo, o un dio, o il Mefistofele dell’inizio del Faust.
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“Quintet” un gioco a cui non s'impara mai a giocare, è uno strumento che spesso non siamo capaci di suonare, proprio come la vita. Ci sono giocatori bravi e spietati, come il terribile Saint Christopher (Vittorio Gassman) e altri sottovalutati e inesperti, capitati nel gioco per caso e contro la loro volontà, che però sanno vincere, spesso aiutati dalla Fortuna (cioè dal caso, nell’accezione antica del termine), come Essex (Paul Newman).
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Saint Christopher (un grande ruolo, che Vittorio Gassman rende magnificamente) è il direttore dell'ospizio dei poveri, e in questa veste aiuta davvero i bisognosi; ma è anche un giocatore di Quintet perfido e spietato,
"il migliore in circolazione", dice Grigor. Quando Essex lo va a trovare, sta facendo un rito in quella che forse era una chiesa, e recita una liturgia di sua invenzione, unico e spelacchiato residuo dell'antica religione:
«In hoc sale principio est vitae et horationis meae. Audite! La forma geometrica dell'universo rispecchia lo schema della vita. Vi si è insegnato che essi non sono diversi. Vi si è anche insegnato che l'universo è delimitato da cinque lati e che la vita non ha che cinque stadi. Primum: la sofferenza del nascere. Secundum: i travagli del maturare. Tertium: la colpa del vivere. Quartum: il terrore di invecchiare. Quintum: l'irreparabilità della morte. Rivelazione incompleta, poiché i cinque lati richiedono un sesto spazio, il centro; ed è a quello solo che dovete guardare. Che cosa è il sesto spazio: è l'oscurità. E' il vuoto, il nulla! In altre epoche, ugualmente ignoranti, si diceva che il fuoco eterno avrebbe seguito la morte; ma io vi dico: Audite, filii... (...) Io vi dico che non v'è alcun fuoco. Io vi dico che il fuoco non è castigo sufficiente, no: ah, no, figli miei, l'oscurità, il buio di cui vi parlo, è il totale orrore della pazzia, è la consapevolezza del nulla. Quindi, le vostre miserabili esistenze, di fatto, sono supremamente allegre; è la vostra ricompensa, dovete avere cara la vostra vita atroce perché essa è una pausa, un'interruzione del vuoto che la precede e del vuoto che la segue. Non combattete, non lottate: accettate! E quando pensate al numero cinque ricordatevi che è sei! Se cercate una risposta, guardate oltre i fatti considerati, e aggiungetene uno in più: l'imponderabile! Perché soltanto quando voi considerate l'imponderabile avete una carta, una speranza di risolvere il dilemma.»
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