domenica 11 luglio 2010

Mi sarò perso qualcosa?


Ho trovato questa intervista sul Venerdì di Repubblica, e mi è sembrato subito un pezzo da collezione. Conservo l'originale e ne pubblico qui alcuni estratti.
Ivan Cotroneo, sceneggiatore di “Tutti pazzi per amore”, la serie più innovativa di Raiuno, ci spiega i trucchi del successo: perché “CSI” piace più di “RIS”, e “Dr.House” più di “Medicina generale”?
Il segreto di una bella fiction? Non aver paura di rischiare fuori dagli schemi

di Brunella Schisa, venerdì di repubblica 25 giugno 2010
Pacific, la mini serie tv sulla Seconda guerra mondiale prodotta da Steven Spielberg e Tom Hanks, è stata la grande novità della tv americana dello scorso anno. La televisione trasformata in grande cinema, molto più di Lost, più dei Sopranos. Ma perché gli americani sono tanto bravi? Perché CSI ci tiene attaccati alla poltrona da dieci anni e RIS, i Carabinieri e La squadra ce le siamo già dimenticati? Perché Grey's Anatomy, Dr. House e E.R. fanno impallidire Medicina generale? Dipende dal budget? Dalle idee? Dagli attori? Dalla sceneggiatura?
«Dipende dalle idee, non bisogna autocensurarsi e si deve cercarne di nuove», risponde Ivan Cotroneo, scrittore e sceneggiatore di cinema (Mine vaganti) e di Tutti pazzi per amore, l'unica serie tv che ha portato una ventata di novità nella asfittica televisione pubblica.
«Non bisogna avere timore di proporre argomenti nuovi per paura che non vengano capiti. Bisogna resistere alla tentazione di percorrere terreni già arati. E rischiare. Per esempio, in quest'ultima serie di Tutti pazzi, è stato un vero azzardo far morire Neri Marcorè alla prima puntata. Ma ci siamo presi il rischio, così come inserire Raul, il ragazzo sieropositivo, in una commedia sentimentale».


- Ma perché gli americani sono più bravi?
«Sono bravissimi, ma anche loro seguono una narrazione standard, da manuale di Robert McKee. Io ho un laboratorio al Dams e cerco di allontanare i ragazzi da questo metodo ormai stereotipato».
- Ma chi è McKee?
«E’ l'autore della bibbia dello sceneggiatore: che insegna come si crea un personaggio e come si costruisce una struttura in tre atti. Secondo me sono schemi narrativi troppo standard».
- E lei, allora, a chi fa riferimento? Quali sono i suoi modelli quando scrive?
«Se vuole sapere quali sono le serie americane che preferisco le cito il sempreverde Friends, ma anche Glee, che ha molto musical e balletto, e 24 perché riesce a trovare sempre svolte nuove pur conservando gli stessi personaggi».
- E Lost?
«Lì gli sceneggiatori hanno esagerato. Sono diventati troppo complicati, inventandosi qualsiasi cosa. Allora vale tutto. Io l'ho mollato alla terza serie. Peccato, perché la prima era davvero straordinaria».
- Ma la serialità non è una trappola alla fine ?
«No. Si può andare avanti anche per numerose stagioni, dipende dai personaggi e dalla storia. Per esempio, Friends ha fatto dieci stagioni e tutte di altissimo livello. Ma anche Un medico in famiglia è arrivato alla sesta stagione ed è andata benissimo. Io quando ho cominciato a scrivere la prima serie di Tutti pazzi per amore non pensavo di poterne scrivere una seconda. E, invece, adesso stiamo scrivendo già la terza».


- Tre sceneggiatori: lei, Monica Rametta e Stefano Bises, l'autore del Capo dei capi, come si lavora a sei mani?
«Si chiacchiera molto e c'è molto affiatamento. Parliamo dei personaggi, prendiamo spunto dalle notizie dei giornali e anche da quello che capita a noi o ai nostri amici. Per esempio, abbiamo appena scritto una scena in cui Irene Ferri non fa in tempo a raccontare alle sue amiche di essere uscita la sera prima con un tipo che le arriva un sms del soggetto che dice "Penso che dovremmo prenderci una pausa". E questa cosa è capitata a una nostra amica».

- Il copione è rigoroso oppure gli attori possono prendersi delle libertà e improvvisare?
« È rigorosissimo, le battute non vanno cambiate. Ma andando avanti gli attori hanno cominciato a prendere confidenza con il proprio personaggio e ogni tanto, soprattutto Marcorè, Solfrizzi e Boni buttano là qualche battuta e a noi fa molto piacere. (...)».

- Ma secondo lei dopo una fiction così folle e innovativa cambierà qualcosa nel modo di fare serie tv?
«Non lo so, di certo per RaiUno è stata una novità assoluta. La nostra fiction ha portato un pubblico che non andava abitualmente su RaiUno, una fascia dai sette ai 44 anni che non aveva mai seguito le serie lunghe (...) La prima serie l'ho scritta da solo, ma sono stati gli editori a chiedermi qualcosa di nuovo che avesse un linguaggio diverso».
- E l'idea dei balletti e delle canzoni da chi li ha presi?
«Per me la commedia sentimentale sono Ernst Lubitsch e Billy Wilder, ma per i balletti e le canzoni mi sono ispirato al cinema francese di Alain Resnais e Christophe Honoré che facevano cantare le persone in strada».



Mi sono perso qualcosa? Direi di no, penso di essermi imbattuto in questi telefilm facendo zapping e – sarà anche colpa mia – non riesco a distinguerli uno dall’altro. Al massimo, avrò riconosciuto Neri Marcoré, un attore che mi piace molto: ma sarà stato “Tutti pazzi” oppure una replica di qualcosa degli anni scorsi? Difficile capirlo.
Che dire, ai miei tempi c’era Bernardo Bertolucci che diceva di aver preso a modello Jean Renoir, adesso ci sono questi Scrittori Magnifici che parlano come gli esperti di marketing e i pubblicitari. Il loro modello è Happy Days, altro che Lubitsch; o magari Love boat, altro che Wilder. Più in là di quello non vanno, non perché non vogliano ma (mia personalissima opinione) proprio perché non sono capaci: hanno un repertorio molto limitato e di conseguenza hanno una grandissima paura di rischiare fuori dagli schemi. Ma, si sa, sempre meglio che lavorare: del resto mi sembrano ottime persone, continuino pure così, auguro loro ogni bene – ma io cambio canale, finché me lo lasciano fare. O magari spengo la tv, che è la cosa migliore: ho centinaia di libri ancora da leggere, e molti altri da rileggere.

PS: Le immagini vengono da "Les hallucinations du Baron de Munchhausen" di Georges Méliès, anno 1911.

Nessun commento: