mercoledì 28 luglio 2010

Sera di un saltimbanco (Una vampata d'amore)

Gycklarnas Afton (Sera di un saltimbanco (Una vampata d’amore) 1953). Regia, soggetto e sceneggiatura: Ingmar Bergman. Fotografia: Sven Nykvist e Hilding Bladh. Musica: Karl Birger Blomdahl. Scenografia: Bibi Lindström. Costumi: Mago. Montaggio: Carl Olov Skeppstedt. Interpreti: Ake Grönberg (Albert, direttore del circo), Harriet Andersson (Anna), Annika Tretow (Agda, moglie di Albert), Hasse Ekman (Frans, l'attor giovane), Gunnar Björnstrand (il direttore del teatro), Anders Ek (il clown Frost), Gudrun Brost (Alma, la moglie del clown) Erik Strandmark (Jensa), Curt Lowgren (il cocchiere), Kiki (il nano), Ake Fridell (un artigliere). Durata: 93 minuti
- Chi sono quegli ineducati che disturbano le prove?
- Un signore e una signora per il direttore...
- Mandali nel più profondo dell’inferno. No...anzi...Portameli.
- Veramente non era una cosa importante...torniamo un’altra volta.
(l’incontro fra il direttore del teatro e il direttore del circo, in teatro, a mezz’ora circa dall’inizio)
Una donna fa il bagno nuda, in mare, in mezzo ai soldati. Altri soldati, a riva, guardano e ridono: è in corso un’esercitazione militare, ma il tempo per divertirsi lo si trova sempre. Gli ufficiali guardano e ridono anche loro; e per migliorare la beffa si manda ad avvertire il marito di quella donna: che è un clown, di un piccolo circo accampato lì vicino.
Il clown, volto bianco, ancora in abito di scena, va a riprendersi la moglie; ma non è facile, avanza lentamente nell’acqua, tra i sassi. La donna, a questo punto, si vergogna: ma è tardi. I soldati, per divertimento, nascondono gli abiti dei due; il marito, per nascondere il corpo della donna, la carica su di sè. Ma la strada è lunga e scoscesa, non ce la fa, cade più volte. Intorno a lui, la gente guarda e ride.

La rappresentazione di questa scena è uno dei punti più alti nel cinema di Bergman: che la gira (ad alcuni sembrerebbe comica) stando dalla parte di chi soffre, del clown e di sua moglie. E’ una marcia al Calvario, una via crucis ritmata dai timpani che imitano gli spari dei cannoni, una deposizione dalla Croce che termina con un’immagine degna della Pietà rappresentata da un grande pittore, un Caravaggio o magari un pittore nordico. Intorno, i curiosi fanno ressa e si danno di gomito.
La scena tra Frost e Alma è successa sette anni prima; adesso il circo sta tornando in quei posti e l’uomo che guida il carro se ne ricorda e la racconta ad Albert, che non la conosceva.

Il clown Frost, pur avendo una parte notevole, non è il protagonista di “Gycklarnas Afton”: ma a lui è dedicata la sequenza iniziale, maestosa e bellissima, ripresa direttamente dal cinema muto, o forse addirittura dal Teatro Nô giapponese, straordinaria per profondità e potenza espressiva. Il protagonista del film è il direttore del circo, e con lui la sua compagna di vita: che è molto bella e molto più giovane di lui, che appare ingrassato e molto male in arnese. Ciò non ostante, la ragazza sembra volergli bene; più avanti nel film sapremo che ha una moglie da cui è separato, e vedremo i suoi due figli.
E’ difficile indicare una data per il tempo in cui si svolge l’azione: potremmo essere in un tempo indefinito fra ‘700 e ‘800, ma da un accenno alle automobili da parte di Albert si capisce che siamo a inizio ‘900 (ma di automobili nel film non se ne vedono)
Il film presenta anche l’incontro fra il mondo del circo e il mondo del teatro. Il direttore del circo, che si chiama Albert ma che ha italianizzato il suo nome in “Alberti” (si sa che i circhi portano quasi sempre nomi italiani) è interpretato da un attore bravissimo che si chiama Ake Grönberg; il direttore del teatro è invece Gunnar Björnstrand, fedele compagno di strada di Bergman.
Il direttore del teatro si chiama Sjüberg: Albert gli ha chiesto in prestito dei costumi di scena (i suoi li ha dovuti impegnare, il circo è rimasto senza soldi) e Sjüberg risponde beffardo che teme la sporcizia del circo, le pulci e le cimici; ma poi, alla fine , concederà il prestito. Si capisce fin dall’inizio che non ha niente in contrario, ma che vuole soltanto divertirsi un po’ alle spalle dell’uomo del circo.
- Perché mi insulta in questo modo?
- Perché? (pausa) Perché, direttore Alberti, lei è della stessa razza: la stessa miserabile e cenciosa razza nostra. No, non mi dia un pugno. (Albert non ci pensa neanche, e non viene inquadrato: questo è un monologo da recitare, e Björnstrand lo fa con grande stile). Noi vi disprezziamo perché vivete in carrozzoni invece che in luride locande; noi siamo attori, voi giocolieri. Il più umile e sciocco dei nostri può sputare sul migliore dei vostri, e sa il perché? Perchè voi mettete in palio la vita, noi la vanità. (...)

Con quei costumi (molto belli) Albert si inventa una sfilata del circo per la città, come si fa in America con Barnum; la trovata avrà buon esito nell’incasso serale, ma viene interrotta dall’intervento dei poliziotti: Albert non ha i necessari permessi. E’ una scena buffa e leggermente drammatica che mi ha ricordato Kafka (i funzionari del “Castello”), ma anche la Lulu di Alban Berg, o i Pagliacci di Leoncavallo: la differenza con Leoncavallo è che qui la commedia continua, si va avanti. Ho trovato invece più differenze che somiglianze con un film importante dello stesso periodo, “La strada” di Federico Fellini: l’ambientazione è simile e alcune sequenze potrebbero passare da un film all’altro, ma i personaggi sono molto diversi.
Mi sono divertito a prendere nota dei possibili rimandi che mi sono venuti in mente durante la visione del film: ovviamente la Commedia dell’Arte è al primo posto, e Carlo Goldoni ha scritto trame molto simili a questa. Troviamo giochi di coppie e d’amore come in Mozart e in Beaumarchais, echi dell’Amleto e dell’Otello (soprattutto nelle scene in cui Albert ha in mano la pistola e minaccia Frost). Ci si muove tra il comico e il tragico, fra la commedia e la vita quotidiana: come in Berg, Cechov, Strindberg, Ibsen.
Nella parte visiva ci sono molti richiami all’espressionismo tedesco e al cinema di Victor Sjöström, maestro riconosciuto di Bergman; ma c’è anche una possibile ispirazione per il cinema di Jim Jarmusch (Dead man, Mystery train, Down by law...). Le maschere di cartapesta e gli specchi, le prove dei costumi e tutta l’atmosfera delle scene in teatro (minuto 48) fanno venire in mente qualcosa di “Eyes wide shut”, l’ultimo film di Stanley Kubrick. Restando a Bergman, c’è un chiaro anticipo del “Settimo Sigillo” nelle scene iniziali controluce, e nella marcia del carro attraverso campi e boschi. E poi c'è questo disegno di Picasso, "Le repas frugal", che a me piace molto accostare a questo film.
Altri appunti presi al volo: Agda, la moglie di Albert, è elegantissima; nel suo negozio tutto è pulito e ordinato. Il figlio maggiore di Albert è vestito come Bergman nelle sue foto da bambino; Albert non ha la camicia, solo i polsini e il colletto (quasi come Eduardo de Filippo in una sua famosa recita). Il braccio di ferro è al minuto 51; al minuto 56 vediamo l’organetto e le scimmie; lo spettacolo del circo è al minuto 70, con la cavallerizza spagnola e il cavallo andaluso.
Non sono riuscito a capire che cosa stanno mettendo in scena gli attori in teatro: ne ascoltiamo delle parti piuttosto lunghe, e Bergman ci mostra perfino la locandina che però è in svedese. L’unico richiamo possibile è il nome “Badrincourt de Chamballe” quando l’attor giovane (nelle prove) simula il suicidio con il pugnale di scena: ma cercando su google ho trovato solo i rimandi a questo film.

Al minuto 60, Albert dice che gli piace la gente, che non odia nessuno, che vuole solo smettere con il circo, diventare un cittadino coi soldi, rispettato (tra le smorfie di paura del clown, con la pistola in mano, davanti ad Harriet Andersson). “Apri la porta all’aria fresca!” dice infine Frost; e fuori c’è gente che balla e che fa festa (Strindberg, Ibsen...)
Nel finale, Frost racconta un suo sogno ad Albert: inizia dicendogli “Hai bisogno di riposo, come un bambino mai nato”; e il sogno parla del desiderio di rientrare nell’utero. (Parole ed atmosfere simili si trovano nel Woyzeck di Georg Büchner).
Il film, che non è solo drammatico e ha molti movimenti piacevoli, racconta di persone costrette a continuare, ad andare avanti, a stare insieme nonostante tutto. Anche quando vorrebbero chiudere e cambiare devono tirare avanti: tirare avanti come prima, non sono concessi cambiamenti. Questo è forse l’inferno, forse il purgatorio: Bergman lo ha descritto in quasi tutti i suoi film, ed è il tema della drammaturgia di Beckett, che ebbe grande successo proprio negli stessi anni. Alla fine del film, sarà soltanto l’orso a farne le spese: del tutto innocente, come si conviene ad un capro espiatorio.
Notevole la musica di Karl Birger Blomdahl, che ricorda molto Berg e impiega in modo straniante un organetto da circo. All’inizio del film il carrettiere (quello che poi racconterà la storia di Frost e di Alma) ha un canto che al primo ascolto può apparire sgradevole, ma che ha radici profonde nel folklore nordico.
Ed è da antologia, da scuola di cinema, l’uso del sonoro da parte di Bergman, un vero montaggio musicale.

Il titolo che fu scelto dal distributore italiano è “Una vampata d’amore”. Ho però scelto di mettere “Sera di un saltimbanco” (la traduzione del titolo originale, secondo la versione di Tino Ranieri, Il Castoro Cinema) per evitare confusione con altri titoli simili di film di Bergman, e anche perché il titolo italiano – a dirla tutta – non significa nulla. Cercando notizie su internet, ho scoperto che il film in inglese si chiama “Sawdust and tinsel”, più o meno “Segatura e lustrini”: forse si potrebbe rendere l’idea con “Il crepuscolo del saltimbanco”, pescando un po’ da Wagner e un po’ da Carducci. In fin dei conti, non avendo un titolo davvero soddisfacente, “Sera di un saltimbanco” non suona molto bene ma dovendo scegliere mi sembra di gran lunga il male minore.
Ingmar Bergman, da "Immagini" (ed. Garzanti)
Su “Gycklarnas afton” non c'è molto da dire. Si può affermare che il film è un tumulto, ma un tumulto ben organizzato. Lo scrissi in un piccolo hotel nei pressi di piazza Mosebacke, nello stesso edificio del Södra Teater. La camera era stretta, con una vista di chilometri sulla città e sulla rada. Dall'hotel si scendeva al teatro attraverso una scala a chiocciola segreta. La sera si udiva la musica che veniva dal palcoscenico della rivista. Di notte, nella sala da pranzo dell'hotel, gli attori e i loro bizzarri ospiti facevano festa. In quell'ambiente, in meno di tre settimane, nacque “Gycklarnas afton”. I dèmoni della gelosia retrospettiva furono imbrigliati e attaccati al carro. Furono costretti a un'attività produttiva. Scrissi il film difilato, dal principio alla fine, senza pensarci o fare delle aggiunte. Il dramma aveva la sua origine in un sogno, che io raffiguravo con uno sguardo retrospettivo su Frost e Alma. E’ facilmente interpretabile. Qualche anno prima ero stato sconsideratamente innamorato. Con il pretesto dell'interesse professionale, spinsi la mia amata a raccontarmi nei dettagli le sue sfaccettate esperienze erotiche. La specifica eccitazione della gelosia retrospettiva mi logorò, graffiandomi nelle viscere e nel sesso. I rituali più primitivi dell'umiliazione formarono con la gelosia una lega indissolubile. Questa miscela per poco non fece esplodere chi l'aveva prodotta. Se si vuole adoperare una terminologia musicale, si può dire che l'episodio di Frost e Alma è il motivo conduttore. Poi seguono, in una cornice temporale unitaria, una serie di variazioni: erotismo e umiliazione in combinazioni variabili. “Gycklarnas afton” è un film relativamente sincero e svergognatamente personale... (...) Ci soffermammo abbastanza a lungo sugli esterni e rimanevamo fuori con il buono e il cattivo tempo. A poco a poco ci trovammo uniti in una simbiosi più alta, fortemente fragrante, con le persone del circo e gli animali. Era un periodo di incoscienza sotto tutti i punti di vista. (...) Quando terminammo di girare il film, Harriet Andersson e io andammo in vacanza ad Arild. Non mi ero ancora messo a lavorare al montaggio del materiale, ma ero contento di ciò che avevo fatto. In piena felicità scrissi una commedia nella camera della torre della pensione, mentre Harriet prendeva il sole sulla spiaggia là sotto. La storia fu battezzata “Una lezione d'amore”. (...) "Gycklarnas afton" ricevette un'accoglienza di cui il minimo che si potesse dire era che si trattava di una mistura di giudizi differenti. Uno stimato critico di Stoccolma scrisse di «rifiutarsi di valutare ocularmente l'ultima opera del signor Bergman». L'espressione è abbastanza significativa per l'astio che incontravo da molte parti. Purtroppo, anche a costo di essere noioso, non posso affermare che non ne fui influenzato.
(Ingmar Bergman, da “Immagini”, ed. Garzanti)

2 commenti:

angela ha detto...

Ci sono racconti che mi tengono avvinta sino alla fine. Non conosco buona parte dei film che "recensisci", e dunque apprendo, colmo lacune, grazie :)

Giuliano ha detto...

E' uno dei miei film preferiti, la parte visiva è impressionante, soprattutto la sequenza che ho descritto.
E' un Bergman, non a tutti piace Bergman - ma qui c'è anche la componente di commedia, e Bergman è in ottima forma, probabilmente anche di buon umore.