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Un film avvincente, che si guarda dall’inizio alla fine senza mai annoiarsi: un piccolo capolavoro che andrebbe proiettato obbligatoriamente ancora oggi nelle scuole di cinema. Un esempio di come si scrive una sceneggiatura, al di là del soggetto; un prodigio di ritmo e di tenuta stilistica; attori tutti in parte e perfetti anche nelle parti più piccole; esterni ben scelti, interni accuratissimi, luci perfette, posizionamento delle cineprese da manuale.
Cos’altro aggiungere? Che, sì, è un film in bianco e nero degli anni ‘50: spero che non disturbi, faccio presente che il film è vecchio anche per me (nel 1956 non ero ancora nato) e che privarsi della visione dei film più belli solo per un criterio di colore o di data d’uscita significa veramente volersi male. Oltretutto, negli anni ’40 e ’50 sono usciti alcuni tra i più bei film d’azione di tutti i tempi, veri modelli per tutte le generazioni seguenti.
Il fatto che la riuscita di “L’invasione degli ultracorpi” sia merito di Don Siegel e dei suoi collaboratori, e non della storia in sè, è dimostrato dai numerosi remakes più o meno dichiarati o mascherati, nessuno dei quali è entrato nella storia del cinema. Molte storie di per sè bellissime sono state rovinate da cineasti scadenti, molte storie di per sè poco significative hanno dato origine a capolavori grazie al lavoro di bravi artigiani e grandi artisti: nulla di nuovo sotto il sole, basterà sottolineare (ancora una volta) che ci sono ciofeche recentissime e capolavori di cent’anni fa, e anche viceversa – ma le ciofeche di cent’anni fa non le guarda più nessuno e nessuno ha interesse a raccontarvi che dovete spendere dei soldi per vederle.
Don Siegel ha al suo attivo molti altri film d’azione: sono famosi quelli con Clint Eastwood, ma se ne trovate uno con la sua firma su qualche palinsesto tv vale sempre la pena di vederlo.
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Un particolare che avevo dimenticato, forse l’unico, è che il protagonista è un medico generico, medico di famiglia. Questo dettaglio mi ha fatto molto pensare. Considerazioni amare, perché sul fatto che sia un medico di famiglia, e che per questo motivo conosca tutti e da tutti sia conosciuto, è il dettaglio sul quale si basa gran parte del film, soprattutto all’inizio.
Paesi come Santa Mira, il luogo dove si svolge l’azione del film, una volta erano comunissimi. Fino a tutti gli anni ’70, anche da noi era così: un mondo a misura d’uomo, dove ci si conosce tutti (nel bene come nel male) e non c’è bisogno di mostrare pass, tesserini, smart card; dove vigili e poliziotti svolgono egregiamente il loro compito senza dare multe e senza togliere punti dalla patente, semplicemente usando il buon senso. Così è stato, ma poi è finita: ed è storia recente, recentissima. Forse i ragazzi di vent’anni non lo sanno, e se glielo si racconta non ci credono; e se provi a raccontarlo in giro, anche alle persone di cinquant’anni, neanche loro se lo ricordano più e ti danno del nostalgico. Eppure un altro mondo è possibile, e anzi questo mondo c’era, ma è stato spazzato via in meno di quindici anni.
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Guardandosi in giro, viene spesso da pensare che nel frattempo gli alieni si siano fatti furbi, e usino mezzi più sottili e perfezionati rispetto ai baccelloni e agli ultracorpi. La politica di successo, in questi ultimi 10-15 anni, è stata quella che ha puntato ai nostri istinti più tirchi e più gretti, facendo leva sulle persone senza sentimento, intente solo a badare a se stesse, indifferenti anche di fronte al naufragio di una nave con più di cento persone a bordo (“ma sì, erano tutti negri e marocchini”).
Però forse sto andando troppo in là per un piccolo film come questo – o forse il film non è così piccolo come si pensa?
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A questo proposito, va ricordato che è molto bella anche l’intervista a Kevin Mc Carthy sul dvd ufficiale: ne esce un ritratto diverso da quello che ci si aspettava, Kevin si rivela persona fine e intelligente, e dice cose molto sensate. Ho appreso così che Kevin McCarthy ha fatto quasi soltanto teatro, che è la sua vera passione; in effetti la sua filmografia è piuttosto scarsa, e di mio ricordo soltanto che recitò con John Huston in “The misfits” (Gli spostati, 1958), una piccola parte accanto a Marilyn Monroe, Clark Gable, Montgomery Clift ed Eli Wallach.
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Una nota finale sul titolo originale: “The body snatchers, “ladri di corpi”, ma “to snatch” ha il senso di “afferrare, strappare a viva forza”. Uno scippo, verrebbe da dire.
Il titolo è lo stesso di un famoso racconto di Robert Louis Stevenson (fine ‘800) che parlava di trafugatori di cadaveri per le scuole di anatomia, parente stretto quindi del Frankenstein di Mary Shelley. Con il titolo “The body snatcher”, tratto da Stevenson, esiste un film del 1945 con Boris Karloff e Bela Lugosi, regia di Robert Wise: il titolo italiano è “La iena”.
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