L’ipotesi del quadro scomparso (L'Hypothèse du tableau volé, 1976) Regia: Raoul Ruiz. Sceneggiatura: Raoul Ruiz, Pierre Klossowski. Tratto da “Il Bafometto” di Pierre Klossowski e citazioni tratte dalla “Revue des deux mondes” e da “L'Artiste”. Fotografia: Sacha Vierny, Maurice Perrimond. Montaggio: Patrice Royer, Maurice Perrimond. Scenografia: Bruno Beaugé. Musica: Jorge Arriagada. Interpreti: Jean Rougeul (il Collezionista), Gabriel Gascon, Anne Debois, Chantal Palay, Alix Comte, Jean Narboni, Christian Broutin, Jean Damien Thiollier, Stéphane Shandor, Isidro Romero, Bernard Daillancourt, Alfred Bailloux, Claude Hernin-Hibaut, Nadège Finkelstein, Jean Reno. Premi, Festival: Parigi 1978, Cannes 1978. Durata: 63 minuti.
Il collezionista si allontana dalla stanza con l’ultimo tableau vivant, e torna nel suo studio dove vediamo “con occhi nuovi” i dipinti di Tonnerre.
Collezionista: Ciò che avete visto non è che una parte delle riflessioni che questi quadri mi hanno ispirato nel corso degli anni: da qui viene il loro carattere frammentario. Ma oggi, dopo aver rappresentato ancora una volta per voi la cerimonia, un dubbio mi assale, mi chiedo se sia valsa la pena di un tale sforzo. I dubbi sono molti. Certo, l’enigma è risolto e ciò dovrebbe bastarmi. Ma non è così.
Che cosa è importante per noi semplici mortali? Che le autorità temessero la celebrazione di un culto poiché questo culto era l’espressione di qualcosa di più vasto? Cosa importa a noi, semplici esseri di questo mondo? Che questo qualcosa di più vasto fosse la resurrezione del culto di Mithra? A noi interesserebbe il fatto che un tale culto fosse praticamente l’equivalente della disciplina militare, e che le manovre e le parate militari non fossero che un aspetto della cerimonia che questi quadri completano? Dovremmo forse spaventarci alla scoperta che la vita militare, e tutto ciò che questi quadri presentano, fosse la cerimonia stessa, la cui espressione solenne significava l’annullamento reciproco dei celebranti? La guerra totale? No, non credo. E’ una spiegazione troppo lunga per ritenerla valida, e l’abile stratagemma di dividere la scena in tre enigmi sovrapposti non ci aiuterà a giungere a una conclusione.
Vediamo qui un primo piano dei piccoli manichini usati all’inizio, dentro un grande portacenere; poi il collezionista estrae dal cassetto della scrivania le foto preparatorie dei tableaux, fatte utilizzando quei manichini, e le guarda con attenzione, forse anche un po’ commosso.
Collezionista: Eppure, sento che qualcosa rimarrà. Sento che in questo momento i quadri iniziano a cancellarsi dalla memoria, che il tranello organizzato dal pittore Tonnerre inizia ad avere effetto. I gesti, gli stessi gesti ripetuti di quadro in quadro, sorgono, isolati, per meglio cancellare gli stessi quadri e ciò che rappresentano.
Speaker: E dunque?
Collezionista: Dimentichiamo. Lasciamo che i quadri scompaiano, svaniscano, finché non rimarranno che i soli gesti, isolati: i gesti della cerimonia.
Speaker: Ciò detto, il collezionista ci accompagna cortesemente alla porta.
Con una grande panoramica di tutti i tableaux vivants, passando attraverso di essi, il Collezionista arriva alla porta ed esce, seguito dalla cinepresa. Il film finisce qui.
Alla fine del film rimane un po’ di delusione, date le premesse ci si aspettava molto di più. La prima mezzora del film è ottima, ragionando da un punto di vista spettacolare: l’azione è ridotta al minimo, ma la curiosità di sapere cosa succede viene ben costruita.
L’utilità di un film come questo è innanzitutto nel fatto che ci insegna a guardare, è molto più utile delle osservazioni di uno dei tanti critici d’arte che appaiono in tv: dopo questo film, ogni quadro lo si guarderà con occhi diversi e più attenti; c’è poi una riflessione attenta e profonda sul Rito, ma si trovano anche temi di grande attualità, in questo 2011 dove abbiamo sentito spesso parlare di riti segreti e palesi dei militari e delle varie sette, di culti antichi “trasformati in festini volgari”, del rapporto fra il rito e il potere, dell’esclusione dai riti del potere di chi non fa parte della cerimonia (cioè tutti noi). Queste cose segrete, questi segreti, furono combattuti per esempio nei primi anni Sessanta dal Concilio Vaticano II, che volle tutto più aperto e palese, riti e cerimonie comprese: ma, come insegna il grande studioso di storia delle religioni Elemire Zolla, “il rito deve essere segreto”, se non è segreto non è un rito. E alla gente piace il rito, piace che il rito sia segreto, e quasi sempre il rito finisce col diventare più importante della cerimonia in sè. Se il rito diventa palese, aperto, comprensibile; se noi stessi diventiamo pari al sacerdote, la delusione diventa grande. Annullando il rito, azzerando i segreti, noi tutti dobbiamo prenderci le nostre responsabilità: non esistono segreti, e Gesù ce lo ha spiegato apertamente (nel Vangelo) : esiste solo la nostra momentanea incapacità di capire le cose più complesse, difficoltà legate soltanto alla nostra natura terrena.
Un’interpretazione possibile (forse non quella che vorrebbe Klossowski: ma comunque Ruiz è un esule dell’11 settembre 1973, data del colpo di Stato militare nel Cile di Pinochet) è che qui il Collezionista scopre l’enigma, ma conclude che la cosa non è di grande utilità, e che forse è il caso di tornare a vivere e a dimenticarsi dei quadri. Che, però, continuano a essere usati come culto segreto e come cerimonia da persone molto potenti, alle nostre spalle.
Lasciando da parte i significati nascosti e parlando del film in sè, troviamo anche qui la grande ricchezza inventiva di Raul Ruiz, che è una sua caratteristica costante: ci sono molte storie riassunte e condensate in meno di un’ora, così tante storie che basterebbero a costruire almeno una ventina di film “normali”; e anche qui (come in “Combat d’amour en songe”) una storia cancellata impedisce di ricostruire l’insieme.
Molto importanti le musiche di Jorge Arriagada. abituale collaboratore di Ruiz ed eccellente musicista. Arriagada ispirandosi alle immagini sembra volersi collegare al periodo dei primi decenni del Novecento, citando e imitando Stravinskij (i fagotti, i ritmi) e Schoenberg (cantato in tedesco), ma anche Bernhard Herrman nei film di Hitchcock (vale a dire, per chi non se ne fosse mai accorto, ancora Schoenberg, le due “Kammersymphonien”). A Hitchcock, oltre che a Cocteau e a Resnais, rimanda anche tutta l’atmosfera generale di suspence.
Nel 2006, alla mia prima visione del film, mi ero segnato questo breve appunto, ripromettendomi di vedere prima o poi il film con più calma: « Un risorgere del culto di Mithra, ben rappresentato dalla disciplina militare: è una delle ipotesi del Collezionista, cioè la nostra guida attraverso i sette quadri. Uno dei sette quadri manca: si sa solo che c’era una maschera al centro, forse quella egizia di Belfagor, al Louvre. “L’ipotesi del quadro scomparso” è una cosa molto curiosa, a metà strada fra Borges e Dalì, con in mezzo il Munari della storia costruita a partire da una fotografia, o magari la ricostruzione di un dinosauro a partire da una sua vertebra. C’è anche qualcosa del Morel di Bioy Casares, la “spia” che assiste, da intruso, nei quadri. Escluderei invece Greenaway, simile negli argomenti ma molto più superficiale: con Ruiz si va invece sempre molto a fondo dentro a noi stessi e al mondo che ci circonda, visibile e invisibile, percepibile oppure no. E’ un peccato che negli ultimi anni Ruiz si sia “normalizzato”: forse era inevitabile, e bisogna pur vivere, entrare nei circuiti ufficiali, farsi vedere; ma noi spettatori qualcosa lo abbiamo perso. La citazione del culto di Mithra è quasi alla fine.»
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