lunedì 18 gennaio 2010

Pink Floyd at Pompei

Pink Floyd live at Pompeii (1972 ) Ideato e diretto da Adrian Maben. Fotografia di Gabor Poganyi e Willy Kurant. Film concerto dei Pink Floyd (Roger Waters, Nick Mason, David Gilmour, Richard Wright). Musiche dei Pink Floyd. Elenco dei titoli: - Echoes part I - Careful with that axe Eugene - A saucerful of secrets - One of these days - Mademoiselle Nobs - Set the controls for the heart of the sun - Echoes part II
Durata originale 62 minuti; nel dvd il film è stato portato a 92 minuti con l’aggiunta di brani risalenti alla registrazione di “The dark side of the moon”, allora in preparazione.


“Pink Floyd at Pompeii” (gli inglesi lo scrivono con due "i", Pompeii)è forse il più bel film sul mondo del rock mai girato. Si suona dal vivo, ma non è un concerto filmato e non è nemmeno un videoclip; è un film vero, che anticipa di qualche anno “Koyaanisqatsi” di Godfrey Reggio e somiglia molto al cinema di Werner Herzog (Fata Morgana, Apocalisse nel deserto). Herzog aveva già iniziato a girare immagini come queste, è facile invece pensare che Godfrey Reggio ne sia stato molto influenzato.
L’idea di partenza è semplice ma geniale, forse irripetibile: associare l’anfiteatro di Pompei e la magia di quei luoghi alla musica dei Pink Floyd così come erano a quell’epoca, prima della svolta più orecchiabile e commerciale di “The dark side of the moon”.

Non è solo Pompei a fare da sfondo al concerto, c’è il Vesuvio, la baia di Napoli, Pozzuoli, i Campi Flegrei, il Museo con gli affreschi e i mosaici che furono trovati sotto la cenere dell’eruzione del 79 d.C., quella narrata da Plinio.
Come si può facilmente immaginare, non è un film che si possa descrivere. La parte visiva e quella musicale sono ovviamente preponderanti, le immagini sono una più bella dell’altra, il montaggio delle immagini è favoloso, e il film non assomiglia a nessun altro film musicale. In più, i posti che vediamo nel film sono oggi da considerarsi in gran parte perduti: sarà ancora possibile, nell’anno 2010, ritrovare questi paesaggi da favola? Temo che la speculazione edilizia abbia colpito duramente anche qui: vorrei informarmi meglio ma ho paura di quello che potrei vedere.

Il film è stato portato su dvd nel 2002, con molti extra rispetto all’edizione che era uscita nei cinema. Nella parte musicale, sono state aggiunte le prove in studio di “The dark side of the moon”, con lunghe interviste e con le canzoni “Us and them” e “Brain Damage”; inoltre sono state messe le ricostruzioni di Pompei al computer, un ottimo lavoro ad opera dell’ing. Gaetano Capasso, citato nei titoli di coda.
Già nell’originale del 1972 erano presenti filmati originali presi dalla BBC, dalla Rai, dalla NASA e dai centri spaziali di tutta Europa. Nei credits si ringrazia anche il professor Carputi della Sovrintendenza alle Antichità di Napoli, e in effetti le riprese dei dipinti pompeiani sono bellissime, migliori di quelle di tanti documentari e scelte una per una con grande cura.
Le immagini dei vulcani vengono dagli archivi di Haroun Tazieff, geologo e vulcanologo tra i più importanti; ovviamente le immagini di lava ed eruzioni non possono essere del Vesuvio. Vediamo però le immagini in bianco e nero dell’ultima eruzione, avvenuta negli anni ’40 al termine della seconda guerra mondiale, presenti le truppe americane.

Il regista Adrian Maben, al quale si deve anche l’idea originale del film, è un documentarista inglese: di Maben il database di www.imdb.com riporta solo una decina di film, l’ultimo del 2006. Un nome famoso figura come direttore della fotografia: Gabor Poganyi, italo-ungherese, ha lavorato con quasi tutti i mostri sacri del cinema, e la sua filmografia è lunghissima. Nato nel 1915, qui aveva già alle spalle, per citare solo i titoli più famosi, “La ciociara” di De Sica, la “Giovanna d’Arco al rogo” di Rossellini, “Il Cristo proibito” di Malaparte, e una lunga carriera in Francia e in America. Molto importante anche la carriera dell’altro direttore della fotografia, il belga Willy Kurant, all’epoca quarantenne, colonna portante del cinema francese. I risultati si vedono, le immagini di questo film sono bellissime.
I quattro componenti della band sono famosissimi, ma forse vale la pena di ricordarne i nomi. Roger Waters è cantante e bassista: il suo volto da indiano navajo è abbastanza inquietante, così come il suo aspetto fisico e il suo urlo in “Careful with that axe, Eugene” (traduzione: “Stai attento con quell’accetta, Eugenio”) - ma l’aspetto non deve trarre in inganno, Waters è l’autore di moltissime canzoni delicate e intimiste, giustamente famose. Nel film gli viene dato molto spazio: sono spettacolari, da antologia, le sequenze dove suona il gong e le percussioni. David Gilmour è il chitarrista e cantante (qui suona anche l’armonica a bocca); Richard Wright è il tastierista e pianista; Nick Mason è il batterista. Nel concerto, girato nell’anfiteatro di Pompei, non c’è pubblico: vediamo solo la troupe del film e i tecnici del suono.

“Pink Floyd at Pompei” deve molto anche a Stanley Kubrick e a “2001 Odissea nello Spazio”, uscito nel 1968, solo pochi anni prima. E’ evidentemente nata dalla grande suggestione del film di Kubrick tutta la sequenza delle astronavi e dei pianeti (sono documentari della BBC), comprese la presenza degli astronauti, il respiro dentro lo scafandro e il lungo buio iniziale. Tra le immagini dei documentari c’è anche il lato oscuro della Luna, quello vero, all’epoca quasi inedito: tutt’altro che strano, direi, vista la discografia successiva dei Pink Floyd.
L’influenza di Kubrick non è solo sulla parte visiva ma anche su quella musicale: brani come “Set the controls” e “A saucerful of secrets” parlano chiaro. La colonna sonora del film di Kubrick colpì molto tutta una generazione di musicisti rock e pop, soprattutto per le musiche di György Ligeti che erano una novità assoluta. Le percussioni che vediamo qui rimandano direttamente ad altri autori importanti, come Pierre Boulez, Steve Reich, John Cage, Luciano Berio, Philip Glass.
La musica dei Pink Floyd di questo periodo venne definita “psichedelica”, con riferimento esplicito a esperimenti con droghe allucinogene e alle improvvisazioni conseguenti. Oggi si può anche sorridere di queste suggestioni: di questi brani esistono diverse registrazioni, effettuate in tempi diversi, e sono tutte molto simili. Non c’è niente di improvvisato, “A saucerful of secrets” , “Careful with that axe Eugene”, “One of these days” e “Set the controls” sono presenti su almeno quattro altri dischi dei Pink Floyd, e le variazioni sono minime. Una partitura ben scritta e ben eseguita, e non è certo un voler diminuire la bravura dei quattro – caso mai il contrario.
Mi ha colpito molto, per esempio, vedere all’opera il batterista: un tempo i batteristi erano così, la sezione ritmica veniva diritta dal jazz e dai grandi virtuosi del basso e delle percussioni. Si criticavano duramente Charlie Watts e Ringo Starr, per esempio, dicendo che non avevano fantasia; ed era vero, sia pure rispetto ai grandi batteristi di quegli anni, da Robert Wyatt a Ginger Baker. Da molti anni ormai nella musica rock e pop è uso comune (anche per via dell’influenza della discomusic) la batteria computerizzata, una specie di metronomo, tutto uguale e standardizzato. A me fa una gran tristezza, ma vedo che piace.
Visto che sono entrato nella sfera dei miei sentimenti personali (ma qui si può anche non leggere, i miei gusti personali non sono importanti) dirò che per quanto mi riguarda i Pink Floyd si sono fermati qui, a “Ummagumma” e a “Pink Floyd at Pompei”; già in “Atom heart mother” c’è qualcosa che non mi entusiasma.
Quando uscì “The dark side of the moon” le critiche negative furono molte; io c’ero e posso testimoniarlo, anche se ero molto giovane a quel tempo, leggevo ed ero molto informato. Invece il disco ebbe un enorme successo, che dura ancora oggi; con “The dark side of the moon” i quattro giovani inglesi divennero ricchissimi. Tutto bene, dunque: però è un po’ come se i Pink Floyd avessero completamente cambiato pubblico, e forse è andata davvero così.
Nei primi dischi, come ben sanno gli appassionati, era presente Syd Barrett, che poi fu sostituito da David Gilmour (il chitarrista). Gilmour è bravissimo, anche come autore; ma Barrett aveva veramente qualcosa di non comune, e il fatto che sia stato costretto ad abbandonare è veramente triste. “Rich and strange”, come dice Shakespeare nella Tempesta: così era Syd Barrett. Come è noto, Barrett (autore di alcuni dei brani che ascoltiamo qui, e anche di moltissime altre canzoni che si trovano nei primi dischi del gruppo) ebbe seri problemi di salute psichica, gravemente aggravati dall’abuso di droghe. I suoi compagni di viaggio non lo abbandonarono mai: Roger Waters e gli altri Pink Floyd riuscirono perfino a fargli incidere due 33 giri (molto belli, anche se non tutto è riuscito), ma non fu più possibile per lui continuare a condurre la vita del rocker. A Syd Barrett è dedicato uno dei brani più famosi dei Pink Floyd, “Wish you were here”: “vorremmo che tu fossi qui”.
Personalmente, trovo ancora fastidioso quel sax di “Us and them”, per citare un brano che è qui presente: lo trovo fuori posto, mi ricorda piuttosto il ballo liscio, Fausto Papetti e Secondo Casadei. Ma qui, come è giusto che sia, mi fermo: il film è bello lo stesso. Il mio momento preferito, come appassionato di cinema? E’ “Mademoiselle Nobs”, mi sembra ovvio.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Veramente un bel post, è stata una piacevolissima sorpresa! Concordo con (quasi) tutto quello che hai scritto ma anche col regista che, in un'intervista che si trova nel dvd, lamentava l'uso ripetitivo di alcune immagini (tipo l'inquadrare solo Mason durante l'esecuzione di One Of These Days). Se non ricordo male, una parte del girato si perse o andò distrutta. Ciò non toglie comunque che "Live At Pompeii" è davvero un gran bel film.

Giuliano ha detto...

Ciao Mat! Pensa che con il dvd è stata la prima volta che l'ho visto in condizioni decenti... Al cinema questi film uscivano raramente, bisognava beccare il giorno giusto ed essere lì; e la tv non dava mai film sul rock. Avevo un lontano ricordo di fumose trasmissioni tv in bianco e nero, magari a mezzanotte, o poco più. Ma il gong di Waters è indimenticabile, così come Pompei.

Anonimo ha detto...

Con questo film ho legami d'affetto grandi. L'ho visto al cinema (ero giovanissima e ci andai con il mio grande amore). Ho regalato il DVD a mio figlio: gli avevano regalato la Stratocaster e suonava Echoes, un mantra, tutti i pomeriggi.
Un tempo era Atom heart mother il mio album preferito, pensa...eravamo tutti dei gran puristi, ma The dark side è un buon album. Infine, una parola buona per Mason: aveva i soldi e portava le donne ;)

Giuliano ha detto...

Nick Mason, con quel naso? O bella! E come fai a saperlo? Io pensavo Gilmour...
:-)
A me piacciono molto le atmosfere rarefatte dei primi Pink Floyd, e ho un debole per "The Nile song" e per "Bike" di Syd Barrett, che ascolto sempre volentieri

Anonimo ha detto...

E sì, Giuliano, il buon Mason era già ricco di famiglia, prima di farsi ben altri soldoni col successo dei Pink Floyd. E' un grande collezionista d'auto; fra i suoi tesori c'è una Ferrari GTO del '62 (ne esisteranno una trentina d'esemplari in tutto il mondo) e una 312 T3 di Gilles Villeneuve.

Giuliano ha detto...

Vedi quante cose che non sapevo! Non l'avrei mai detto, di solito i batteristi sono tutti proletari. Piuttosto mi sono sempre chiesto da dove vengono i lineamenti di Waters, si direbbe un azteco, un inca...(sto cercando da anni di farmi un cd tutto con le canzoni di Waters! sono una più bella dell'altra).

Mat, fai un giro da Ange (my favourite things), sono sicuro che ti piacerà.