mercoledì 27 gennaio 2010

The Truman Show

The Truman Show (1998) Regia di Peter Weir. Scritto da Andrew Niccol. Fotografia: Peter Biziou. Musiche di Mozart, Brahms, Glass, Chopin, Kilar; molte canzoni. Musica originale di Burkhard von Dallwitz. Con Ed Harris (Christof), Jim Carrey, Laura Linney (la moglie), Noah Emmerich (l’amico Marlon), Natascha McElhone (Lauren), Brian Delate (padre di Truman) Holland Taylor (madre di Truman) Paul Giamatti, Philip Glass, Olan Jones e Christa Ann Landolfi (le due cameriere) Terry Camilleri (l’uomo nella vasca) David A. Nash (l’autista) . Durata:103 minuti

Delle nostre vite non capiamo quasi nulla, ci sono momenti in cui si ha davvero l’impressione che sia “il racconto di un idiota:” «La vita non è che un'ombra in cammino; un povero attore, che s'agita e si pavoneggia per un'ora sul palcoscenico e del quale poi non si sa più nulla. È un racconto narrato da un idiota, pieno di strèpito e di furore, e senza alcun significato...» (William Shakespeare, Macbeth, atto quinto scena quinta. Traduzione di Gabriele Baldini, ed.BUR-Rizzoli)
Jaques: All the world's a stage,
and all men and women merely players.
They have their exits and their entrances,
and one man in his time plays many parts,
his act being seven ages.
(William Shakespeare, As you like, atto secondo scena settima )
(il mondo intero è un palcoscenico; uomini e donne sono soltanto degli attori, con le loro entrate e le loro uscite; e ognuno, nel tempo che gli è dato, recita molte parti: essendo la sua parte le sette età).
Alle volte nelle nostre vite succedono cose inspiegabili, magari di poco conto, che ci lasciano perplessi (“puzzles my mind...”) Il più delle volte ce le dimentichiamo subito, altre volte ce le portiamo dentro per anni o per tutta la vita. Per esempio: come mai non ho più rivisto quella ragazza che vedevo tutte le domeniche in chiesa? Come mai non sono riuscito a prendere l’aereo quel giorno? Perché non sono più riuscito a suonare il piano, pur essendo arrivato a un buon punto? Chi era la ragazza dell’83, all’ospedale? Come è stato possibile ritrovare di colpo le mie due care amiche che avevo perso di vista per tanti anni?
E ancora, ma in un ambito più serio: perché alcuni si salvano, da Auschwitz, dagli incidenti stradali, dalle guerre, dalle catastrofi naturali, e altri no? I reduci se lo chiedono da sempre, e non hanno risposta.
I went to the Garden of Love,
and saw what I never had seen :
a Chapel was build in the midst,
where I used to play on the green.
And the gates of this Chapel were shut,
and “Thou shalt not” writ over the door;
so I turned to the Garden of Love
that so many sweet flowers bore;
and saw it was filled with graves,
and tomb-stones where flowers should be;
and Priests in black gowns were walking their rounds,
and binding with briars my joys and desires.
(William Blake, The garden of love)
(sono andato al Giardino dell’Amore, e ho visto quello che non avevo mai visto: una Cappella era costruita lì in mezzo, dove andavo a giocare sul prato. E i cancelli di questa Cappella eran chiusi, e “tu non devi” era scritto sulla porta; così mi volsi verso il Giardino dell’Amore, che tanti bei fiori portava. E vidi che era pieno di tombe, e lapidi dove dovevano essere i fiori; e preti in nere vesti andavano intorno, e circondavano di rovi le mie gioie e i miei desideri)

Il soggetto di “The Truman Show”, il bambino che appena nato diventa protagonista di uno show televisivo e per il quale si costruisce un set apposito, gigantesco, popolato soltanto di comparse e dove perfino il cielo è finto, è opera di Andrew Niccol, scrittore e sceneggiatore che ha al suo attivo anche altri bei soggetti, come quello di “Gattaca” (del 1997, Niccol ne è anche il regista). E’ un film di fattura raffinatissima, non facile da girare, che ha avuto molti cloni e imitazioni ad un livello più elementare, più facili ed accessibili perciò più graditi al pubblico: il più riuscito è forse “Pleasantville”, che risolve tutta la questione giocando sull’alternanza fra colore e bianco e nero (curiosamente, "Pleasantville" è però uscito nello stesso anno, il 1998).
Riprendendo la visione dopo dieci anni, pur sapendo e ricordando già tutto, non sono riuscito a staccarmi da “The Truman Show” e l’ho rivisto tutto di un fiato, come al cinema. Abbiamo tutti una grande nostalgia dell’Eden, e anch’io non faccio eccezione.
« Anguste – pensò Mr. Pickwick – anguste sono le vedute di quei filosofi che, paghi dell’apparenza delle cose, non ricercano la verità che vi si cela dietro.»
(Charles Dickens, Il circolo Pickwick, capitolo primo)
Nessuno come Peter Weir sa filmare gli archetipi. Dietro la veste simpatica di un film sulla tv, Weir riprende il suo discorso già evidente in "L'ultima onda" e in "Fearless". Nel film australiano, l'avvocato veniva chiamato nel suo mondo, il mondo del sogno degli aborigeni. In “Fearless”, il film di Weir precedente, il protagonista dopo una miracolosa salvezza da un incidente aereo, cambia; sente che non è più la stessa persona di prima, e vorrebbe poter cambiare tutto il mondo in meglio, dandogli la sua stessa forza. Ma il tempo, e il mondo, lo riportano sui suoi binari obbligati: e qui ci si ricollega alla storia di Truman Burbank, quando ti senti un manichino metallico sui pattini, e c'è da qualche parte una potente e lontana calamita che ti attira a sè; e quindi molte strade ti sono vietate, non puoi sposare la donna che hai scelto, non puoi attraversare il mare, e così via. Lo stile di Weir è chiaro fin dall'inizio: avevo qualche dubbio su questo film, ma mi è bastata la scena della barca semiaffondata, all'inizio, per capire che Weir è ancora lo stesso. E, a proposito di archetipi, è indimenticabile la citazione di Achab (Huston) legato con la corda alla balena-nave... E' un film sul Destino, camuffato da satira tv. Ed è sconvolgente il potente cozzo della barca contro i nostri limiti, contro "il confine del mondo".

Non c'è nessun altro regista di cinema, come Peter Weir, che sappia filmare quello che c'è dietro la nostra realtà quotidiana. C'è un primo livello, nelle storie che racconta Weir, che è quello spettacolare, necessario per invitare la gente al cinema e farle passare un paio d'ore, magari discutendone dopo con gli amici; e c'è un livello nascosto, inquietante, non sempre facile da cogliere. Truman Show sembra una satira sulla tv, e infatti così ci è stato presentato: Jim Carrey, uno dei comici più strampalati degli ultimi anni, entra da grande attore nei panni del protagonista, un giovane che, a sua insaputa, è da più di vent'anni il protagonista di un reality show di grande successo. Tutti seguono, dalla tv, la vicenda del bambino Truman, dalla sua nascita fino all'inizio del film, quando Truman è ormai adulto. Il mondo intorno a lui è stato ricostruito con grande cura, e tutte le persone che incontra sono attori: ma lui non lo sa, e comincia a capirlo man mano che il film avanza. L’azione inizia nel momento in cui Truman comincia ad accorgersi che qualcosa non va; non descrivo i particolari per chi non avesse ancora visto il film, ma si può dire (è evidente fin dal principio) che Truman deciderà di fuggire. La conclusione è un colpo di scena divertente e ben trovato, direte voi. Anche il mare era una finzione, tutto era finto - ecco una satira della tv, molto ben fatta e molto intelligente. Tutto bene, ma io al cozzo della barca di Truman contro quella parete sono saltato sulla sedia. Troppo forte l'emozione: questi non sono i confini del mondo fittizio, ma di uno ben più reale. Truman è andato a cozzare contro i suoi limiti: quelli veri e quelli imposti dagli altri. E' come una seconda nascita, e d'ora in avanti la vita di Truman non potrà più essere la stessa. Questa ricerca del limite, il nostro scontrarci con i limiti, nostri e del mondo, fino a farci del male e persino a superarli o a scomparire dietro (o dentro) di essi è il tema principale delle opere di Peter Weir; solo che Weir è così bravo che riesce a farci credere che si sta occupando d'altro. Del nostro divertimento, per l'appunto.
« Confidiamo che il gentile lettore non ci sarebbe grato per una di quelle particolareggiate spiegazioni che sono così noiose e, alla fin fine, tanto insufficienti a spiegare i misteri romantici di una narrazione. Egli è troppo saggio per insistere a osservare da vicino il rovescio di una tappezzeria dopo che gli è stata spiegata in modo sufficiente la parte diritta, intessuta con la più alta maestria dall'artista e abilmente disposta perché ne risalti l'armonia dei colori. Se è stato raggiunto un effetto brillante, o bello o almeno discreto, questo campione di lettore benevolo l'accetterà per quel che vale, senza strapparne la trama col vano proposito di scoprire come sono stati intessuti i fili; poiché la sagacia che lo distingue gli avrà insegnato da tempo che ogni racconto di fatti e vicende umane - si chiamino storie o romanzi - è un manufatto d'indubbia fragilità, più facile a lacerarsi che a rammendare. L'esperienza reale, anche quella della vita più comune, è piena di eventi che non si spiegano mai, sia per quel che riguarda l'origine sia per quel che concerne la tendenza.» (Nathaniel Hawthorne “Il fauno di marmo”, cap.50)
Come Hawthorne, anche Peter Weir racconta una storia ma parla d’altro. Come Hawthorne, anche Weir è un grande stilista, nei suoi film è tutto molto vero e molto accurato, e la narrazione piacevole e avvincente. Negli arazzi di Weir, costruzioni complesse che si risolvono in disegni di cui l’aspetto esteriore gradevole è solo uno degli elementi, i personaggi hanno più risalto; e nei loro occhi, nei loro comportamenti, c’è sempre qualcosa che non ci viene spiegato e che sta a noi capire: un volo d’uccelli, un paesaggio, uno sguardo. Forse l’unico film di Weir totalmente esplicito è “L’ultima onda”, e come è giusto che sia è anche il suo film più difficile.

Un tema simile è presente anche in “L’attimo fuggente” (Dead poets society), girato dieci anni prima: «Quando i ragazzi scopriranno di non essere né Mozart né Byron ti odieranno. Quello che stai facendo è pericoloso.», dice un collega al professor Keating. Nel film, ambientato a scuola, Keating sorride e risolve la situazione con una battuta: ma sta davvero facendo qualcosa di molto pericoloso. Pericolosa è la ricerca di noi stessi, la ricerca del vero io, delle proprie potenzialità ma anche la scoperta dei propri limiti: guai a chi è troppo lucido e sensibile, un po’ di ottusità nella vita è fondamentale. Come diceva Pasolini, molto lucido e anche molto amaro, “il più delle volte una buona quinta elementare è quello che basta ad un figlio di operai; tutto quello che arriva in più, in termini di cultura, servirà solo a farli soffrire.” Ed è vero, con i propri limiti (quelli con cui siamo nati e quelli che ci vengono dall’esterno) bisogna fare i conti; e si soffrirà e si rischierà di naufragare, a meno di non imparare a guardare dentro se stessi. Per questo è importante avere a che fare con chi è diverso da noi, soprattutto con i deboli e i piccoli: e magari scoprire di essere “dalla loro parte”, come capita ad alcuni dei ragazzi di “L’attimo fuggente”: ma solo ad alcuni, perché nel finale non è tutta la classe a salire sui banchi, non tutti...
« (...) Non bisogna fraintendermi, non sto asserendo che l' arte è più grande della scienza, che il suo campo di interesse è più universale, che è più saggia nella triste ammissione dei suoi limiti. No, ciò che voglio dire è che a un certo livello, essenziale, l' arte e la scienza sono talmente vicine che è difficile distinguerle. La sola vera distinzione che posso trovare è che la scienza ha un' estensione pratica nella tecnologia, mentre l' arte no ... . Il critico Frank Kermode ha affermato che una delle maggiori attrazioni dell' arte è l'offerta di ciò che Kermode identifica come "il senso di una fine". La sensazione di completezza che il lavoro artistico emana, quella staticità, quella luminescenza, quel senso di entità superiore che finalmente si riposa nella quiete della sera, sono irreperibili altrove. Non possiamo ricordare il momento della nascita, né sapere che cosa si prova morendo. Nel mezzo c'è lo sgangherato circo dei giorni che viviamo e delle cose che facciamo. Ma in una poesia, in un quadro, in una sonata, il cerchio si chiude e la forma trionfa. E’ un inganno, ma nonostante ciò lo desideriamo. L' aspetto consolatorio dell' arte è molto importante e potente. (...) (John Banville, dal Corriere della Sera 28 febbraio 2009) (responsabile delle pagine culturali dell' "Irish Time", ha scritto diversi romanzi, tra cui: "La notte di Keplero", "La spiegazione dei fatti" e "L' intoccabile", editi da Guanda)
Davvero voi pensavate che si stesse parlando di tv?

P.S: Molto bella la colonna sonora. Siccome è elencata per esteso nei titoli di coda, mi fa molto piacere riportare tutte le musiche del film:
- Wolfgang A. Mozart, Sonata per pianoforte n.11 K331 (il terzo movimento, la famosa “marcia turca”)
- Wolfgang A. Mozart, Concerto per corno n.1 in re maggiore K412 (primo movimento, “allegro")
- Johannes Brahms, "Wiegenlied ": la ninna nanna più famosa del mondo, suonata da un carillon per cullare Truman appena nato.
- Chopin: Concerto per pianoforte n.1 in mi minore, op.11 (il secondo movimento, romance –larghetto)
- Philip Glass: "The Beginning"; "Living Waters"; "Anthem - Part 1"; "Opening" (Philip Glass appare brevemente anche nel film, è uno degli assistenti di Christof).
- "Twentieth Century Boy" di Marc Bolan, performed by The Big Six
- "Scales to America", di David Hirschfelder (David Hirschfelder & Orchestra, Mary Doummany arpa, dir. Ricky Edwards)
- "Love Is Just Around the Corner" di Leo Robin and Lewis E. Gensler, performed by Jackie Davis
- "Underground" di Burkhard von Dallwitz
- "Father Kolbe's Preaching" (Preghiera di Padre Kolbe) di Wojciech Kilar, Orchestre Philharmonique National de Pologne dir. Kazimierz Kord

2 commenti:

Christian ha detto...

Per me questo è uno dei film più importanti degli anni novanta. La cosa più triste è che la realtà ha superato la fantasia. Quando uscì, sembrava raccontare una storia paradossale e implausibile, anche perché il "Grande Fratello" e i reality show erano ancora da venire. Oggi invece il modello di tv che impera è molto simile a quello che nel film viene presentato come fantascientifico.

Giuliano ha detto...

Sì,e ormai siamo tutti di fatto controllati e controllabili: le ultime barriere al rispetto della privacy stanno per essere abbattute (vedi digitale terrestre e decoder vari: da domani si potrà sapere cosa guardiamo senza più bisogno dell'auditel, e tutto sarà a pagamento).
Siamo sempre più vicini al mondo descritto da Orwell, con questa differenza: che alla gente piace, e molto.

Seguo Peter Weir da sempre, da quando ho visto "L'ultima onda", che è ancora un film sconvolgente. Ho visto che ha fatto pochi film, giusto quelli che gli bastano per guadagnare...Direi che è un dettaglio che depone a suo favore.