lunedì 25 gennaio 2010

Le soulier de satin ( VII )

Le soulier de satin (La scarpina di raso, 1985) . Regia di Manoel de Oliveira. Testo di Paul Claudel, Adattamento di Manoel de Oliveira. Prodotto da Paulo Branco. Fotografia di Elso Roque. Costumi di Jasmin de Matos. Musiche originali di João Paes, con arrangiamenti e citazioni da “La folie d’Espagne” e dal “Don Carlos di Giuseppe Verdi (arie di Filippo II e della Contessa Eboli). Durata: 410 minuti ( sei ore e cinquanta minuti)
INTERPRETI: Jean-Luc Buquet (Le présentateur) Luís Miguel Cintra (Don Rodrigue), Patricia Barzyk (Dona Prouhèze) Anne Consigny (Marie des Sept-Épées) Anne Gautier (Dona Musique) Bernard Alane (Le vice-roi de Naples) Jean-Pierre Bernard (Don Camille) Marie-Christine Barrault (La lune) Isabelle Weingarten (L'Ange Gardien) Henri Serre (Le premier roi) Jean-Yves Berteloot (Le deuxième roi) Catherine Jarret (La premier actrice) Anny Romand (La deuxième actrice) Bérangère Jean (La bouchère) Franck Oger (Don Pélage) Jean Badin (Don Balthazar) Denise Gence (Le chemin de Saint-Jacques) Maria Barroso (La voix des saints) Odette Barrois (Dona Honoria) Madeleine Marion (La religieuse) Roland Monod (Le frère Léon) Rosette (La Camériste) Manuela de Freitas (Dona Isabel) Yann Roussel (Le Chinois) Claude Merlin (Diégo Rodriguez) Yves Llobregat (L'Irrépressible) Jean-Luc Porraz (Don Gil) Pascal Jouan (L'archéologue) Marthe Moudiki-Moreau (La Négresse Jabarbara) Francis Frappat (Mangiacavallo) Takashi Kawahara (Le Japonais Daibutsu) Paulo Rocha (Premier prêtre) Jorge Silva Melo (Deuxième prêtre) Diogo Dória (Almagro) Jacques Le Carpentier (Don Ramire) Catherine Georges (La Logeuse) Pierre Decazes (Don Léopol August) Patrick Osmond (Don Fernand) Didier Lesour (Le secrétaire) Bernard Métreaux (Le capitaine) Christophe Allwright (Un seigneur) Frédéric Youx (Un seigneur) Filipe Ferrer (Le chapelain) Daniel Briquet, Luís Lucas , Fernando Oliveira , Melim Teixeira (Banderantes), Jasmim de Matos (Le tailleur de Cadix) Alain Ganas, Paul Pavel, Dominique Ratonnat, João Botelho (Seigneurs chez le tailleur) Jean Dolande (Le sergent napolitain) Bernard Ristroph (L'annoncier) Olivier Achard (L'Alférès) Michel Caccia (Envoyé du Roi) Patrick Valverde (Capitaine de Diégo Rodriguez) Michel Roubaix (Don Alcindas) Olivier Rabourdin (Un pêcheur) Stéphane May (Bogotillos) Olivier Dayan (Alcochette) Carlos Wallenstein (Professeur Hinnulus) Jacques Parsi (Professeur Bidince) Jean-Claude Broche (Un soldat) Rémy Darcy (Le Chambellan) Raymond Meunier, Bernard Montini, Claude-Bernard Perot, Christian Kursner , Christian Baltauss , Bernard Tixier , José Capela , José Manuel Mendes , Pedro Queiroz (Ministres) Duarte de Almeida , Jean-Pierre Tailhade, Alexandre de Sousa (Courtisans) Rogério Vieira, Antonio Caldeira Pires , Marques D'Arede (Soldats) Manuel Cintra , José Wallenstein , Nuno Carinhas (Sentinelles) Virgílio Castelo, Alexandre Melo, Rogério Samora (Officiers) Miguel Azguime (Tambour)

Panama, palazzo del vicerè. Musicisti, che eseguono musiche del ‘500: un’ottima esecuzione. In queste scene c’è molta musica: musiche moresche per l’episodio di Ochialì, musica moderna (con rimandi a Boulez) per l’apparizione dell’angelo, e il famoso tema detto “follia di Spagna”, che nasce proprio in questo periodo, probabilmente di origine amerinda, e che ebbe innumerevoli versioni: le più famose (ma cent’anni più tardi) saranno quelle di Corelli e di Vivaldi. Il tema della follia di Spagna però si ascolta più avanti, quando donna Prodezza abbandonerà la nave di don Rodrigo.
Donna Isabella canta e accenna alla lettera di Prodezza, davanti a don Rodrigo: che finalmente la riceve, dopo dieci anni.
 Il terzo personaggio di questa scena è il segretario di Rodrigo, che si chiama Rodilard: i musicisti rimangono sullo sfondo.
Rodilard: Quest’orchestra è pessima. Non capisco come vostra altezza possa tollerarla.
Rodrigo: Se fosse migliore, ascolterei quello che suona. Sarebbe una gran noia.
Rodilard: Quanto a me, in ogni cosa apprezzo solo la perfezione.
Nella scena successiva vediamo Donna Prodezza, dopo la morte del marito a Mogador, a casa del “prode francescano” che dice di aver sposato: non è un frate ma il pirata turco Ochialì, cristiano rinnegato. Si tratta di un personaggio storico veramente esistito; che qui è evidentemente romanzato e inserito nella narrazione, ma che fu un autentico terrore per le popolazioni del Mediterraneo, e sul quale abbiamo moltissimi riscontri storici. Su Ochialì, o Uccialì, la voce di http://www.wikipedia.it/  è molto lunga:
Uluç Ali Pascià
Uluç Alì (Isola di Capo Rizzuto, 1519 - Istanbul, 1587) è stato un corsaro e ammiraglio ottomano. Di nascita cristiana, pare che il suo vero nome fosse Giovanni Dionigi Galeni. Il suo nome musulmano si trova scritto in diversi modi: Uluç Alì, Uluj Alì, Uluch Alì, Ulug Alì; significava "Alì il rinnegato". Fu soprannominato anche Kiliç Alì ("Alì la spada"). I cristiani, storpiando il suo nome, lo chiamavano Occhialì o Luccialì. Da ammiraglio della flotta turca partecipò alla battaglia di Lepanto, come comandante dell'ala sinistra e fu l'unico (con poche imbarcazioni al suo comando) a sopravvivere a quella battaglia.
'Uluj Alì nacque in Calabria, col probabile nome di Giovanni Dionigi Galeni, nel 1519. Stava per entrare in convento e divenire monaco, quando fu catturato dal corsaro algerino Khayr al-Din Barbarossa nel 1536 a le Castella, presso Isola di Capo Rizzuto in Calabria. Fatto prigioniero e messo al remo, rinnegò la religione cristiana dopo alcuni anni, per poter uccidere un turco che lo aveva schiaffeggiato e non essere di conseguenza ucciso in base alla legge islamica: questo episodio è riferito nel Don Chisciotte da Miguel de Cervantes, che lo aveva appreso mentre era anch'egli schiavo dei turchi. Diventato musulmano, sposò la figlia di un altro calabrese convertito, Jafar Pascià e iniziò la propria carriera di corsaro, con grande successo. Divenne governatore (bey) d'Algeri, di Tripoli e di Tunisi. Da corsaro imperversò in tutto il Mar Mediterraneo. Opera sua furono le catture nei pressi di Favignana della galera di Pietro Mendoza (1555 ca.), a Marettimo quella di Vincenzo Cicala e Luigi Osorio (1561). Il suo nome è legato a numerose incursioni sulle coste italiane, soprattutto quelle del Regno di Napoli, allora dominio spagnolo. Secondo alcune voci dell'epoca, tramò anche con vari cospiratori calabresi per staccare la Calabria dai regni spagnoli e unirla ai domini turchi. Partecipò alla battaglia di Gerba nel 1560 e successivamente cercò di catturare il duca Emanuele Filiberto di Savoia presso Nizza. Nel 1564 partecipò ai ripetuti assalti e ai saccheggi del paese di Civezza, nell'attuale provincia di Imperia. L'eroica resistenza della popolazione del piccolo paesino passò alla storia.
Subentrò a Dragut a capo della flotta ottomana, quando questi morì durante l'assedio di Malta del 1565. Fu quindi autore di rilevanti imprese belliche, fra le quali l'assalto e il successivo assedio nell'agosto 1571 della città dalmata di Curzola. Considerato il miglior ammiraglio della flotta ottomana, nell'ottobre del 1571 combatté a Lepanto contro Gianandrea Doria. Fu l'unico che nella battaglia riuscì ad insidiare Don Giovanni d'Austria e poi a portare in salvo una trentina di navi turche recando ad Istanbul, come trofeo, lo stendardo dei Cavalieri di Malta dopo una precipitosa fuga durante l'infuriare della battaglia. Dopo questa battaglia ottenne dal Sultano ottomano Selim II il titolo di ammiraglio della flotta turca e l'appellativo di Kiliç Alì (Alì la Spada). Forte della nuova carica ricostruì in un anno la flotta distrutta a Lepanto e nel 1572 riuscì a sfidare ancora le flotte cristiane, anche se con scarso successo. Nel 1574 riconquistò all'impero ottomano Tunisi, che era stata espugnata l'anno prima dalla flotta cristiana.
Morì nel luglio del 1587 nel suo palazzo sulla collina di Top-Hana vicino Istanbul e lasciò ai suoi numerosi schiavi e servitori case e beni di proprietà, concentrati in un villaggio da lui fondato e chiamato Nuova Calabria. Secondo alcuni resoconti, in punto di morte sarebbe tornato alla fede cristiana, ma gli storici turchi negano con decisione questa eventualità, visto che già in vita gli erano stati offerti feudi e ricchezze in terre cristiane che egli aveva sempre rifiutato preferendo la libertà di costumi di cui godevano a quel tempo i cristiani convertiti all'Islam. Altra leggenda che circola sul suo nome racconta di un viaggio clandestino sulla costa calabrese al solo scopo di riabbracciare la madre che, stando alle cronache coeve, lo avrebbe invece maledetto proprio per la sua abiura. Ricerche recenti, però, ascrivono questa leggenda alla propaganda spagnola ed ecclesiastica.
A Istanbul resta la Kiliç Ali Pasa Camii, moschea costruita dalla sua beneficenza, che si trova poco distante dal quartiere di Galata. È un complesso (Kiliç Ali Pasa Külliyesi), in cui sono presenti la sepoltura (türbe) di Uluch Alì, la moschea (cami), la scuola coranica (madrasa) e un bagno (hammam). Inoltre, a Le Castella, in provincia di Crotone, è presente un busto nella piazza a lui dedicata ("Piazza Uccialì"). La stessa copia del busto è stata donata dallo scultore a Gustavo Valente, storico e biografo dello stesso Uluch Alì, e attualmente si trova all'esterno dell'abitazione sita a Celico in provincia di Cosenza. Presso la chiesa matrice di Mola di Bari, ricostruita da maestranze dalmate nella seconda metà del XVI secolo, è presente un affresco raffigurante in più scene l'assedio di Curzola, nel quale è Uruch Alì è rappresentato come un sultano assiso su un trono dorato sormontato da una mezzaluna.
Uluch Alì è citato (con la grafia Uchalì) nel Don Chisciotte di Miguel de Cervantes, nel racconto che fa nel Primo volume l'ex schiavo dei turchi. Cervantes ricorda in questo brano sia Uluch Alì, sia il di lui figlio ed erede. Presumibilmente aveva appreso le notizie su di loro durante la sua prigionia ad Algeri. Uccialì è l'unico comandante turco a fare rientro ad Istanbul dopo la battaglia di Lepanto. (nelle immagini qui sotto, sempre da wikipedia, il vero Uccialì e il monumento in suo onore a Crotone)
(continua)

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