giovedì 14 gennaio 2010

Nel corso del tempo ( IV )

NEL CORSO DEL TEMPO (Im Lauf der Zeit, 1976) Regia, soggetto, sceneggiatura: Wim Wenders Fotografia: Robby Müller Assistente alla fotografia: Martin Schäfer Montaggio: Peter Przygodda Suono: Martin Müller, Bruno Bollhalder Scenografia: Heidi Lüdi, Bernd Hirskorn Assistente alla regia: Martin Hennig Musica: Improved Sound Limited (composta da Axel Linstädt, scritta da Bernd Linstädt) Canzoni: Chris Montez, Chrispian St. Peters, Heinz, Roger Miller . Interpreti: Rüdiger Vogler (Bruno Winter, detto "King of the Road"), Hanns Zischler (Robert Lander, detto "Kamikaze"), Lisa Kreuzer (Pauline), Rudolf Schündler (il padre di Robert), Marquard Bohm (l'uomo dell'incidente), Dieter Traier (Paul). Franziska Stömmer (la padrona del cinema 'Weisse Wand"), Patrick Kreuzer (il bambino alla stazione), Peter Kaiser (il proiezionista nel cinema di Pauline), Michael Wiedemann. Produzione: Wim Wenders Produktion (München)/Wdr (Köln) Produttore esecutivo: Michael Wiedemann Direttore di produzione: Heinz Badewitz Riprese: 1 luglio - 31 ottobre 1975 tra Lüneburg e Hof lungo la frontiera tra le due Germanie Prima proiezione pubblica: 4 marzo 1976 a Berlino Durata: 168' . Il film è dedicato a Fritz Lang

Le pecore che attraversano la strada sono anche un mio ricordo. Dirò di più: che qui, a mezz’ora scarsa da Milano (mezz’ora con i mezzi di trent’anni fa, oggi con le automobili moderne e le superstrade a quattro corsie, anche due ore due ore e mezza), mi capitava spesso di svegliarmi perché avevo sentito dei belati, e mi chiedevo chi sarà mai quello spiritoso che imita così bene il verso della pecora, e invece erano pecore vere, e c’erano anche gli asini, che nelle tasche del basto portavano gli agnellini. C’era anche qui in Lombardia, la transumanza: le greggi venivano giù dal lago, e arrivavano fino alle porte di Milano, a pascolare. Due volte all’anno: una per scendere, una per salire; e non so che percorsi facesse la transumanza, ma so per certo che quei percorsi non ci sono più, e non da oggi, cancellati soprattutto dalla speculazione immobiliare. Oggi le pecore ci sono ancora, ma i pastori le spostano con il camion.
Ripenso a tutte queste cose vedendo la sequenza in cui Robert (Hanns Zischler) lascia per un giorno il camion del suo amico “King of the Road”, gli dà appuntamento più avanti, e si avvia verso Ostheim, che non è molto distante. Robert è cresciuto ad Ostheim, e lì vive ancora suo padre, che ha una tipografia dove stampa (di persona) un piccolo quotidiano locale. Con il padre ci sono molte ruggini, legate ai litigi con la madre; Robert manca da casa da dieci anni, ma i rancori persistono e si scioglieranno in parte solo all’alba, quando finalmente il figlio si farà abbracciare (ma solo per un istante) dal padre. Il padre è interpretato da Rudolf Schündler, un attore meraviglioso.
Nel frattempo, mentre Robert va da suo padre, Bruno (“King of the Road”) si ferma alle giostre. Ecco un’altra cosa che non c’è quasi più. Una volta era normale andare alle giostre, oggi ci sono ancora, ma vuoi mettere con Gardaland o con l’Aquafan? L’autoscontro è fermo, ma Bruno si ferma lo stesso a guardare la pista. Gli si avvicina una ragazza molto bella, che attacca discorso con grande disinvoltura. Bruno è piacevolmente stupito, ma c’è un equivoco: vestito in quel modo, appoggiato al recinto dell’autoscontro, la ragazza lo ha scambiato per il giostraio...
Bruno se ne accorge subito ma lascia scorrere; la ragazza prende una macchina e comincia a fare un giro sulla pista vuota, solo che poi arriva il giostraio vero e la fa scendere... La ragazza vorrebbe arrabbiarsi ma non può che sorridere, Bruno è dolce e simpatico e riesce ad ottenere un mezzo appuntamento per la sera, al cinema; non sa ancora che la ragazza è proprio la cassiera del cinema, e che passeranno la notte insieme in una scena che è tra le più belle e delicate del cinema di Wenders.
A me questa scena d’amore ha sempre fatto venire in mente, irresistibilmente, i film di Charlot: “Tempi moderni” e “Luci della città”. Per il modo in cui è concepita e girata, ma soprattutto perché Rüdiger Vogler ricorda molto Charlot, è forse il suo erede più diretto. Non so quanto la somiglianza sia voluta: Vogler è un attore molto naturale, sembra quasi che non reciti, probabilmente l’eleganza dei movimenti e la delicatezza gli vengono naturali, sotto l’aspetto un po’ rude. In più, devo dire che ho avuto per parecchi anni un compagno di lavoro (legnanese puro sangue) che somigliava molto a Vogler, e me lo sono studiato: sono proprio fatti così, probabilmente è qualcosa di genetico, chissà.
Ripensando ad altri film, “L’Atalante” di Jean Vigo, “Boudu salvato dalle acque” di Jean Renoir, mi verrebbe inoltre da dire che Vogler è l’unico vero erede di Michel Simon; però ha avuto il grave torto di non essere grasso né di esserlo mai diventato: un vero peccato, per noi spettatori s’intende. Ed è un vero peccato, sempre per noi spettatori, che al termine della notte trascorsa insieme Bruno non si fermi con Pauline (l’ottima Lisa Kreuzer); facevamo tutti il tifo, ma sarebbe stato troppo bello.
A questo punto ho raccontato quasi tutto quello che volevo, ma il film dura due ore e tre quarti (165 minuti esatti, tondi tondi) e dentro c’è molto di più di quello che io avevo da dirne. Nel mio racconto mancano i bambini, soprattutto quelli che ridono come matti davanti allo spettacolino improvvisato dai due dietro allo schermo del cinema, mentre il maestro allibito contempla esterrefatto l’esibizione. A me piace molto il finale, quando Zischler, alla stazione, scambia gli occhiali da sole e la valigia con il quaderno di un bambino. Il bambino ride e commenta: «E’ un buono scambio.»
Alcuni appunti sparsi: negli altri film con Wenders, il personaggio di Vogler si chiama quasi sempre Philip Winter, ma qui il nome di battesimo è Bruno (Philip Winter morirà, colpito dalla freccia del Tempo, in “Così lontano così vicino” del 1993)). Robert Lander è invece il nome completo del personaggio di Hanns Zischler, che nella sua vera vita non ha fatto l’attore ma si è dedicato alla professione di editore (Vogler invece ha una lista interminabile di film nel suo curriculum: vedere Imdb per il dettaglio, sono quasi cento). Nel suo camion, Rüdiger Vogler / Bruno Winter sta leggendo un libro di Faulkner, “Palme selvagge”; Hanns Zischler ritaglia da un giornale una foto di Fritz Lang, un fotogramma da “Il disprezzo” di Godard; più tardi, nell’ultima scena, ancora una foto di Lang con la benda sull’occhio (il film è dedicato a Lang).
La musica originale è degli “Improved Sound Limited”, un gruppo tedesco attivo in quegli anni; è in stile quasi country, molto adatta al film e molto piacevole da ascoltare ancora oggi. Ci sono inoltre molte canzoni, sempre belle, ma che io non saprei focalizzare. Quando ho visto il film, prima dell’epoca di internet in cui è molto più facile reperire le informazioni, pensavo che fossero canzoni famose, ma così non è. Famosissima, invece è quella – più volte citata nel film – in cui un uomo si ritrova da solo, alla stazione, con la valigia in una mano: “a suitcase in my hand”.
E’ un altro blues di Robert Johnson, inciso nel 1937, ripreso dai Rolling Stones e da molti altri gruppi. E’ una canzone bellissima, anche nel testo, ed è proprio con “Love in vain” che voglio chiudere il mio percorso dentro “Nel corso del tempo”.
And I followed her to the station
with a suitcase in my hand;
And I followed her to the station
with a suitcase in my hand;
Well, it's hard to tell, it's hard to tell
when all your love's in vain...
All my love's in vain...
When the train rolled up to the station
I looked her in the eye;
When the train rolled up to the station
and I looked her in the eye,
Well, I was lonesome, I felt so lonesome
and I could not help but cry
All my love's in vain.
When the train, it left the station
with two lights on behind,
When the train, it left the station
with two lights on behind,
Well, the blue light was my blues
and the red light was my mind...
All my love's in vain...


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