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Un incendio devasta un albergo di cinque piani, a partire dalla grande scritta luminosa sul tetto: “Pilgrim Hotel”. Un incendio inestinguibile: «Sembra l’opera di un mago», dice uno dei pompieri: e noi sappiamo che è davvero così. Da cinque piani diventano due, poi uno: ma il proprietario sembra contento. Come mai, gli chiede Wallace Wooley, candidato alle elezioni: « Perché tanto paga l’assicurazione e io me ne rifaccio uno nuovo più grande», dice l’albergatore. E conclude: «Dentro non c’è più nessuno, ne sono più che sicuro».
E invece non è vero, dentro all’albergo c’è una donna giovane e bella; e nuda, per giunta. Il proprietario dell’albergo non può saperlo, noi sì perché abbiamo visto il film dall’inizio; e si tratta di un inizio risalente a quasi tre secoli prima, al tempo della caccia alle streghe. Due persone accusate di stregoneria, nell’America dei Puritani, furono arse vive nei dintorni: padre e figlia. Adesso sono tornati, perché un fulmine ha spezzato la quercia dentro la quale erano rimasti imprigionati i loro spiriti. «Ne beve di acqua quest’incendio! – continua il pompiere – Deve avere una gran sete arretrata.». Siamo stati attenti e possiamo anche quantificare: una sete arretrata di 270 anni.
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René Clair è in gran forma, il film è pieno di gags e funziona anche indipendentemente dagli attori (sono tutti ottimi ma potrebbero essere sostituti da altri, perché il meccanismo è perfetto). Va detto che il film dimostra tutti i suoi anni (al contrario dei film degli anni ’30 di Clair, molto più liberi e indipendenti) ma val sicuramente la pena di vederlo. Ovviamente, l’apparizione di quella ragazza bionda, per di più nuda, tra le braccia del futuro Governatore e ormai prossimo sposo, avrà conseguenze devastanti e divertenti, con un lieto fine più che scontato; perché all’inizio lei si reincarna cercando vendetta, ma poi le cose cambiano.
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- Guarda mio padre, non ti sembra un dio greco?- dice la bionda a Wooley, indicando il simpatico piccoletto. Ed è vero, ma non pensate ad Apollo: Cecil Kellaway somiglia a Dioniso, e più ancora a Bacco. «Una sbornia che dura da ottomila anni», dirà a Wooley quando lo andrà a recuperare in prigione, per capacitarsi del fatto che non riesce a ricordarsi le formule magiche. E’ uno spirito che ama nascondersi nelle bottiglie: a differenza del Genio delle Milleuna Notte, lui nelle bottiglie ci sta benone, soprattutto in quelle di brandy; ed è lì che lo ritroveremo, felice e contento, nel finale.
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Veronica Lake è brava, non come le francesine Annabella e Pola Illery di “Sotto i tetti di Parigi” e del “Milione”, ma quasi. Fredric March, una star degli anni ’30 e ’40, fa la sua bella figura; e c’è un bello stuolo di caratteristi, con al primo posto Cecil Kellaway e piccole figure di contorno come la cantante al matrimonio (che poi non si farà) che ogni volta, dopo le catastrofi, riprende ispirata a cantare: “I love you truly, truuuly...” (la marcia nuziale è quella di Wagner, atto terzo del Lohengrin).
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- Che maledizione?
- Saranno per sempre infelici, dopo il matrimonio.
- Ouf! Tutti gli uomini sono infelici dopo il matrimonio, non lo sapevi?
Ma la scena che più mi ha colpito è questa: quando il futuro Governatore, travolto dallo scandalo, è ormai destinato alla sconfitta, la ragazza bionda fa un sortilegio e gli fa vincere le elezioni. Vediamo perfino le crocette spostarsi sulle schede, passando dalla preferenza all’altro candidato a quella per Wooley.
Questa sequenza mi ha spiegato tante cose, e adesso so che cosa è successo qui da noi per tutti questi anni. Spero che ne converrete: il successo del marito di Veronica (Veronica Lake, I mean) si spiega meglio ed è più verosimile tirando in ballo la stregoneria e le arti magiche piuttosto che con le analisi sociologiche e politiche.
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