mercoledì 4 aprile 2012

L'opera al cinema ( VII )

Nell’elenco fatto nei post dell’anno scorso c’erano almeno due dimenticanze clamorose: una è la “Giovanna d’Arco al rogo” di Arthur Honegger (1892-1955) nella versione di Roberto Rossellini, protagonista Ingrid Bergman, che risale al 1954: si tratta non di un’opera ma di un oratorio, che alterna parti cantate e parti recitate. L’oratorio è del 1938, musica di Honegger e testo di Paul Claudel; la Bergman, all’epoca compagna di vita di Rossellini, recita in italiano. Si tratta di una versione molto fedele al testo originale, può anche non piacere ai non appassionati d’opera perché assomiglia più ad una ripresa in teatro che a un film, ma si tratta comunque di un ottimo lavoro da parte di Rossellini.
La mia seconda dimenticanza, davvero imperdonabile, è “Strategia del ragno” di Bernardo Bertolucci, del 1970, dove ha grande importanza la musica di Verdi, e in particolare il Rigoletto. Non vi sono scene d’opera dal vivo, ma la scena madre del racconto (tratto da Borges) si svolge proprio in teatro, con il finale del Rigoletto, gli applausi nel finale e il pieno orchestrale per la “maledizione” nascondono infatti uno sparo. Del film ho parlato per esteso pochi giorni fa, qui riporto soltanto che i cantanti che si ascoltano dovrebbero essere Riccardo Stracciari e Dino Borgioli, in un’edizione risalente al 1930: Stracciari è stato un grandissimo baritono, di scuola ottocentesca (grandissima scuola, in pieno periodo verdiano) e a fine carriera fu maestro di canto del basso Boris Christoff.
Una curiosa sorpresa mi è arrivata dalla visione di un film del tedesco Alexander Kluge, che risale al 1968 ma che non ero mai riuscito a vedere fino a pochi mesi fa. Il titolo è di quelli a prima vista un bel po’ strani, e che proprio per questa stranezza rimangono facilmente in mente: “Artisti sotto la tenda del circo: perplessi”, che è la traduzione letterale dell’originale (in tedesco, perplessi era “ratlos”). Il film mi è piaciuto molto, e proverò a parlarne per esteso in futuro; dal punto di vista operistico riserva molte sorprese, perché la colonna sonora include moltissime arie d’opera, quasi tutte dal Trovatore, però rese difficili da riconoscere al primo ascolto perché eseguite in forme non usuali, magari da organetti di barberia, o in tedesco, o per piano e canto in sedute di prova e d’insegnamento. C’è di sicuro molto Verdi: oltre al Trovatore, brani dal Macbeth e dal Nabucco; e poi probabilmente Chopin. Insomma, il film di Kluge si può usare anche in modo alternativo, come un quiz tra amici: lo si lascia scorrere e chi indovina per primo tutti i brani vince. Impresa tutt’altro che facile, e basterà dire che si comincia con una canzone che ti sembra di conoscere ma qualcosa sfugge e bisogna ascoltarla bene per capire di cosa si tratta: è Yesterday, ma in spagnolo.
Una vera perla l’ho trovata all’inizio di “Section spéciale” di Costa Gavras, un film del 1975 che inizia con il Boris Godunov di Mussorgskij. Purtroppo, la pellicola trasmessa nottetempo su un canale commerciale era molto difettosa e usurata, con il sonoro fuori sincrono e altri difetti tutt’altro che secondari (i colori sbiaditi, per esempio). Si tratta di un film storico, che si svolge a Vichy negli anni dell’occupazione nazista e del collaborazionismo di Pétain: la storia raccontata è vera, una sezione speciale del Tribunale che fu creata apposta per far condannare a morte i resistenti. Molti di loro erano già in prigione, o erano stati condannati in precedenza per pene lievi; ed è quindi eccellente la scelta dell’opera di Mussorgskij, in particolare il lamento dell’Idiota (o dell’Innocente, secondo le traduzioni) che piange sulla sorte della povera patria. Il cantante dice, in francese, “povera Russia”: ma è evidente di cosa si sta parlando. Il teatro in cui si svolge la rappresentazione è proprio quello di Vichy, importante stazione termale. Non so se davvero il “Boris Godunov” di Mussorgskij sia mai stato rappresentato a Vichy in quegli anni, e per di più davanti agli ufficiali nazisti occupanti; mi sembra strano, ma in fin dei conti è possibile.
(continua)

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