lunedì 9 aprile 2012

La tragedia di un uomo ridicolo ( I )

La tragedia di un uomo ridicolo (1981). Regia di Bernardo Bertolucci. Scritto da Bernardo Bertolucci. Fotografia di Carlo Di Palma. Musiche originali di Ennio Morricone; altre musiche tratte da Offenbach (valzer dai Racconti di Hoffmann), brani da discoteca e da balera. Scene e arredi di Gianni Silvestri. Costumi di Lina Nerli Taviani. Girato tra Parma, Torrechiara, Langhirano, Corniglio; il caseificio è a Piadena. Interpreti: Ugo Tognazzi, Anouk Aimée, Victor Cavallo, Laura Morante, Riccardo Tognazzi, Vittorio Caprioli, Renato Salvatori, Olimpia Carlisi (la numerologa), Pietro Longari Ponzoni (il barone), Margherita Chiari (la domestica rock). Durata: 1h52’

- ...perché se questa invece di essere un’azienda privata fosse un kolkhoz, io non sarei il padrone. E non m’avrebbero rapito mio figlio.
Questa frase viene detta da Ugo Tognazzi, nelle vesti del padrone di un grande caseificio, mentre è in sala riunioni con tutti gli operai, suoi dipendenti. Suo figlio è stato rapito, verrà chiesto un riscatto, si preannunciano tempi difficili per tutti; forse anche dei licenziamenti.
“La tragedia di un uomo ridicolo” è infatti un film sui rapimenti di persona, che furono molto frequenti negli anni ’70 e ’80; ed è forse l’unico film su questo argomento, o quantomeno l’unico memorabile. Altri ne verranno in seguito, molto più tardi, mentre qui siamo nel 1981, quindi ancora nell’attualità.
La nostra storia recente è stata molto semplificata e manipolata: a volte per ignoranza o per superficialità, ma spesso in malafede. A sentire i commenti dei tg, dei quotidiani e dei talkshow, sembra quasi che tutto il male del mondo fossero le BR; invece il male va diviso in almeno tre parti, e in queste parti va messa anche, con pari importanza, la criminalità organizzata. Anzi, visti gli sviluppi della società italiana nell’ultimo quarto di secolo, viene da dire che la delinquenza organizzata, e soprattutto la ‘ndrangheta calabrese, è stata molto più importante del terrorismo di matrice politica, che era ristretto a poche centinaia di persone e che si è quasi estinto da ormai parecchi anni.
Non c’erano solo le BR, come qualcuno ha interesse a far credere, pari importanza avevano il terrorismo neofascista (le bombe che assassinavano gente inerme nelle piazze e sui treni, l’omicidio del giudice Occorsio, e molto altro ancora), e i sequestri di persona, opera della delinquenza comune; spesso queste aree finivano per confondersi, per sfumare l’una nell’altra. Molte fortune odierne hanno all’origine proprio i sequestri di persona, non è bello da dire ma non si tratta affatto di un’illazione e nemmeno di un’ipotesi. Se oggi non si fanno più i sequestri di persona, come negli anni ’70, è perché i figli dei sequestratori hanno studiato, usano tecniche meno rozze, molti di loro sono entrati nelle istituzioni, dirigenti d’azienda, imprenditori, politici insospettabili. E’ cronaca di questi giorni, aprile 2012: quindi non mi dilungo, e torno al film di Bertolucci. In “La tragedia di un uomo ridicolo” le vicende si spostano sul piano personale, la questione del terrorismo e della malavita organizzata rimangono sullo sfondo, appena accennate. Il film comincia con il compleanno dell’imprenditore Spaggiari, interpretato da Ugo Tognazzi: tra le altre cose gli regalano un binocolo da marina, e con il binocolo vede da lontano il rapimento del figlio.
Quello di Spaggiari non è un caseificio qualsiasi: qui si fa il Parmigiano Reggiano. Il magazzino lo vediamo nel dettaglio in una scena del film: è enorme, ogni forma vale una fortuna, solo il caseificio è roba da miliardari. E non è ancora finita: ci sono i maiali, il salumificio, Spaggiari è partito da zero ma poi è diventato davvero molto ricco.
Il rapimento del figlio, ventenne (interpretato da Ricky Tognazzi), oltre alla naturale angoscia mette in evidenza molte cose alle quali Spaggiari non aveva mai pensato. Per esempio: chi è suo figlio? Scopre di non conoscerlo affatto, che non sa chi frequenta e chi sono i suoi amici; di queste cose non si è mai interessato. Non sa nemmeno che suo figlio è fidanzato con una sua operaia, lui e sua moglie se la trovano in casa e a malapena si ricordano chi è, eppure i due hanno la stessa età, sono andati a scuola insieme, la ragazza veniva perfino in casa loro a fare i compiti...
Un altro amico del ragazzo rapito è Adelfo, un altro operaio del caseificio, di una decina d’anni più anziano. Anche di lui, Spaggiari non si è mai accorto: davvero è così amico di suo figlio?
Scoprirà che è proprio così, e non solo: Adelfo è un prete operaio, anzi un “operaio prete”, come lui stesso tiene a specificare. Ma questa è solo l’apparenza delle cose; molto altro verremo a sapere nel corso del film.
Adelfo è Victor Cavallo, un ottimo attore che io confondo sempre con Claudio Bigagli (ogni volta mi tocca fare ammenda, ma in effetti i due si somigliano molto); la fidanzata del ragazzo rapito è Laura Morante, qui molto giovane ma già con un curriculum di tutto rispetto alle spalle; la moglie di Tognazzi-Spaggiari è interpretata da Anouk Aimée.
Sono tutti attori molto bravi, ai quali va aggiunto subito Vittorio Caprioli (il maresciallo dei carabinieri); più avanti vedremo anche Renato Salvatori (un ufficiale dell’antiterrorismo) e Olimpia Carlisi (veggente e numerologa).
(continua)

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