QUATORZE JUILLET (PER LE VIE DI PARIGI, 1932) Regia, soggetto, sceneggiatura e dialoghi: René Clair; fotografia: Georges Périnal e Louis Page; scenografia: Lazare Meerson; musica: Maurice Jaubert; interpreti: Georges Rigaud (Jean), Annabella (Anna), Pola Illery (Pola), Paul Olivier (Sig. Imaque), Raymond Cordy (l'autista), Aimos (Charles), Tomy Bourdelle (Fernand), Pré fils; durata: 100'.
Il quattordici luglio, festa nazionale in Francia, è per Clair il pretesto per una serie di piccole storie, leggere o drammatiche, con al centro una coppia di giovani, una fioraia e un taxista. All’inizio del film, la fioraia verrà licenziata dal ristorante dove lavora: è una situazione che abbiamo visto in molti film, perché a quei tempi si usava, fiori, sigari e sigarette venduti da belle ragazze ai ricchi clienti. All’origine del licenziamento ci sono le avances di un ricco ubriaco: ma, come si capisce subito, tutto è destinato ad andare a buon fine. Il riccone ubriaco è infatti dello stesso tipo di quello incontrato da Charlot in “Luci della città”: non è cattivo ma quando beve non sa più bene quello che fa; le avances alla fiorista da parte dei clienti sono considerate cosa normale dal proprietario del ristorante, ma la fioraia non è d’accordo. Noi spettatori sappiamo tutto fin dall’inizio il signore ubriaco non aveva affatto cattive intenzioni, e le sue confusioni mentali daranno presto buoni frutti.
Insomma, è tutto un equivoco e tutto si risolverà bene, a metà strada tra il comico e il drammatico: ma questo è solo l’inizio della storia, che sarebbe troppo lungo riassumere. Ben più drammatico sarà il film nella sua seconda parte, con il giovane innamorato che finisce per legarsi a una banda di rapinatori; ma, prima che succeda il peggio (lo si può dire perché è chiaro fin dall’inizio) la ragazza riuscirà a riportarlo tra le sue braccia.
Le minute e affettuose osservazioni della gente e soprattutto dei “piccoli”, operai, fioraie, negozianti, e anche balordi e malavitosi, rendono “Quatorze juillet” quasi un anticipo di Jacques Tati, con rimandi precisi a Chaplin e Dickens: mostrare il mondo così come è, usando il pretesto di una bella storia d’amore. E’ un film particolarmente felice, e va a fare un’ideale trilogia con Il Milione e Sotto i tetti di Parigi, girati poco tempo prima; mentre direi che “A nous la liberté”, che lo precede di un anno, è un’altra cosa: soprattutto perché il suo perno principale non è una storia d’amore. Pola Illery fa la pupa del gangster, ed è una parte molto spinta per l’epoca; Annabella è come al solito dolce e delicata, e molto sensuale. Il protagonista maschile è finalmente un bel ragazzo, più credibile rispetto ai caratteristi che Clair aveva fin qui usato per le parti di amoroso: ma qui serve che sia un bel ragazzo. C’è il milonario ubriaco come in Chaplin (film quasi contemporaneo, ma viene prima Clair), c’è la bella fioraia, c’è anche Raymond Cordy che fa il taxista (gli viene bene), c’è la gag della danza che non riesce mai a partire (all’inizio), gli acquazzoni, i banditi, e naturalmente anche le feste per il 14 luglio...Un vrai Clair, dieci e lode.
Le musiche sono di Maurice Jaubert, lo stesso di “L’Atalante” di Jean Vigo; delle musiche fa parte anche la pianola meccanica del bar, che funziona a moneta. Un antenato del juke-box degli anni ’60, che parte “a spinta” anche senza moneta, proprio come i flipper e juke-box veri: siamo agli inizi del cinema sonoro, ogni pretesto è buono per inserire della musica nella colonna sonora, e questa pianola meccanica nel corso della storia diventa un vero e proprio personaggio.
I DUE PICCIONI (Les deux pigeons, 1962). Episodio dal film “Les quatre vérites” Scritto e diretto da René Clair, liberamente tratto da una novella di La Fontaine. Fotografia: Armand Thirard. Scenografia: Léon Barsacq. Musica: Georges Garvarenz. Interpreti: Leslie Caron, Charles Aznavour, Raymond Bussieres, Durata: meno di venti minuti.
Non è una gran cosa, ma è simpatico. Dura un quarto d’ora, ci sono Leslie Caron e Charles Aznavour chiusi dentro un appartamento (quello di lei) proprio per il weekend di Pasqua; i due non si conoscevano, lui era venuto per aiutare lei che era rimasta chiusa in casa. L’uomo è molto seccato, stava partendo per un weekend i campagna e invece eccolo lì chiuso con un’antipatica viziata: oltretutto, gli tocca assistere dall’alto al furto della sua roba che aveva messo nell’auto parcheggiata in strada. La situazione ovviamente cambia, col passare del tempo; e quando sta per nascere qualcosa, ecco che arriva il fabbro, quello che avevano chiamato due giorni prima, e sistema a dovere la serratura.
Il titolo, “I due piccioni”, si riferisce a una fiaba di La Fontaine, che però viene solo accennata, e io non la conosco e non saprei ripeterla. Leslie Caron interpreta una famosa modella, Aznavour è un corniciaio artigiano (quasi come Bruno Ganz in “Ripley’s game”).
Il film è del 1962, in bianco e nero, e fa parte di “Les quatre verités”, girato con Luis Berlanga, Alessandro Blasetti, Hervé Bromberger. Nell’episodio di Blasetti c’è Sylva Koscina con Monica Vitti, entrambe in mutande o comunque poco vestite: l’unico, vero, grande motivo d’interesse della parte del film che non è firmata da René Clair. (aprile 2008)
(continua)
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