Cacciatore bianco, cuore nero (White Hunter Black Heart, 1990) Regia di Clint Eastwood Tratto da un racconto di Peter Viertel, ispirato alla lavorazione del film “La regina d’Africa” di John Huston. Sceneggiatura di James Bridges, Burt Kennedy, Peter Viertel. Fotografia: Jack N.Green. Girato in Inghilterra e nello Zimbabwe. Musiche originali: Lennie Niehaus. Interpreti Clint Eastwood (Wilson-Huston), Jeff Fahey (Verrill-Viertel), George Dzundza (Paul Landers, il produttore), Boy Mathias Chuma (Kiwu) Alun Armstrong (Lockhart, supervisore al film in Africa) Timothy Spall (il pilota dell’aereo, Hodkins), Geoffrey Hutchings (Alec Laing), Charlotte Cornwell (miss Wilding, segretaria di Wilson), Clive Mantly (Harry) Martin Jacobs (il primo cacciatore bianco, a metà film), Conrad Asquith (il cacciatore bianco nel finale, Ogilvy), Norman Lumsden (butler George), i tre soci inglesi del produttore: Edward Tudor-Pole (Reissar), Roddy Maude-Roxby (Thompson) Richard Warwick (Basil Fields); Catherine Neilson (Irene Saunders, la donna del racconto con il cagnolino) Richard Vanstone ( Phil Duncan-H.Bogart) Jamie Koss (mrs. Duncan-L.Bacall) Marisa Berenson (Kay Gibson-K.Hepburn) (110 minuti)
“Cacciatore bianco, cuore nero” è un film che ha come punto di partenza la produzione di un grande successo degli anni ’50, “La regina d’Africa” di John Huston. La sceneggiatura del film è tratta da un libro di Peter Viertel, scrittore e sceneggiatore di molti film di Hollywood, “The African Queen” compreso, che fu pubblicato in francese già nel 1954, con lo stesso titolo del film di Eastwood. Non si tratta quindi di un remake, ma di un soggetto del tutto originale: il film di Eastwood termina nel momento in cui inizia il film di John Huston.
“Cacciatore bianco, cuore nero” è diventato per me, in breve tempo, uno dei film a cui non so rinunciare, uno di quelli che rivedo spesso e sui quali non si finisce mai di interrogarsi. Non so se sia un film perfettamente riuscito, mi verrebbe da dire di no; e il suo problema principale, a mio parere, è che diventa subito di difficile comprensione se non si conosce almeno un po’ di storia del cinema, e soprattutto se non si è mai visto “La regina d’Africa”. Ma non è affatto un film per cinefili, è anzi molto spettacolare e spesso divertente.
Data l’importanza del film di John Huston riguardo a ciò che si racconta in “Cacciatore bianco, cuore nero”, si rende però necessario fare qualche discorso preliminare. La prima cosa da dire è che “La regina d’Africa” è il nome di una barca, un piccolo battello a motore che Eastwood è riuscito a recuperare a quarant’anni di distanza e che quindi è la stessa nei due film.
Il riassunto del film, da wikipedia: «Africa Orientale Tedesca, settembre 1914. Samuel Sayer e sua sorella Rose sono due missionari metodisti inglesi in un villaggio nei pressi del fiume Ulanga. L'unico contatto con la "civiltà" è rappresentato dal burbero (e gran bevitore) capitano canadese Charlie Allnut che con il suo battello, l'"African Queen", fornisce ai due gli approvvigionamenti e la corrispondenza. Humphrey Bogart è il capitano Charlie Allnut, Katharine Hepburn è la missionaria Rose Sayer Charlie informa i due missionari che Germania e Inghilterra sono entrate in guerra e che le truppe tedesche sono sicuramente in arrivo anche in quella zona, ma Sam e Rose decidono comunque di rimanere con gli abitanti del villaggio. Le previsioni di Charlie si rivelano purtroppo esatte e l'esercito tedesco mette a ferro e fuoco il piccolo villaggio. Sam non sopravvive all'orrore a cui ha assistito e morirà pochi giorni dopo per il dolore. Al suo ritorno, Charlie trova Rose da sola e senza nessun posto in cui andare. Charlie le offre riparo sulla "Queen" ma la donna rifiuta. Non ha intenzione di aspettare che la guerra sia finita senza far niente. I tedeschi hanno una nave cannoniera, la "Empress Louisa", che perlustra un grande lago a valle bloccando ogni contrattacco britannico. Rose vuole raggiungere il lago con l'intenzione di affondare la cannoniera. Charlie è di tutt'altro parere al riguardo, convinto che il piano sarebbe un suicidio soprattutto a bordo di un battello malconcio come la "Queen". Per raggiungere il lago dovrebbero infatti superare una fortezza tedesca e attraversare diverse serie di pericolose rapide.
Rose insiste e alla fine riesce a persuadere Charlie. Dopo aver sepolto Sam, i due salgono a bordo del battello. Charlie spera che i primi ostacoli riescano a scoraggiare Rose ma la donna si mostra più determinata di quanto aveva previsto. Gli ostacoli sono molti lungo il tragitto, inclusa la fortezza sulla sommità di una collina vicina al fiume (con gli indigeni arruolati dai tedeschi che sparano al battello) e tre serie di rapide. Il fuoco nemico provoca inoltre la rottura del motore della "Queen". Fortunatamente Charlie riesce a riparare il guasto giusto in tempo per affrontare un'altra serie di rapide. Queste si rivelano più impegnative delle prime ed il battello ne esce malconcio ma la coppia non si da per vinta e cerca di riparare ai danni subiti proseguendo il viaggio. Quando il battello rimane impantanato nel fango tutto sembra perduto. A niente servono i tentativi di Charlie di disincagliare il battello ma una tempesta provvidenziale arriva in loro aiuto alzando il livello del fiume e portandoli verso il lago ormai vicino, a poca distanza dalla "Empress Louisa". Intanto, nonostante i caratteri apparentemente incompatibili, tra i due compagni di sventure si è formato un legame di fiducia e amicizia. Charlie si accorge che Rose è più che una semplice bizzarra donna religiosa e Rose comincia a capire che Charlie non è solo un fannullone ubriaco. Dopo le numerose disavventure condivise in sospeso tra la vita e la morte, il rispetto reciproco tra i due è cresciuto fino a trasformarsi in un amore inevitabile. Rose intanto ha in mente un piano per trasformare la "Queen" in un cacciatorpediniere e affondare la "Louisa". I due cominciano a trafficare con esplosivi e detonatori improvvisati e alla fine riescono a costruire una specie di lanciasiluri. La "Queen" viene lanciata in rotta di collisione verso la nave tedesca ma i fori in cui i lanciasiluri erano stati inseriti non sono chiusi ermeticamente ed il battello comincia ad imbarcare acqua ribaltandosi. I tedeschi catturano Charlie mentre Rose sparisce sott'acqua. Il capitano tedesco comincia a interrogare Charlie. Credendo Rose ormai morta, il burbero inglese è deciso a non collaborare e a lasciarsi giustiziare. Ma la donna ricompare sana e salva. Inizialmente Charlie finge di non conoscerla per cercare di salvarle la vita. Ma Rose rivela tutto il piano al capitano tedesco e i due vengono condannati a morte per spionaggio. Prima di essere impiccati, Charlie chiede al capitano di sposarli. La richiesta viene esaudita e dopo una breve e inusuale cerimonia i due stanno per essere impiccati quando una violenta e improvvisa esplosione fa saltare in aria la Louisa. La nave tedesca ha infatti colpito lo scafo rovesciato della "Queen" innescando il lanciasiluri. Il piano di Rose ha funzionato, anche se un po' in ritardo, e la coppia di sposi si avvia verso la salvezza.»
Altre notizie utili, sempre da wikipedia:
«Durante la stesura della sceneggiatura, James Agee, vincitore del Pulitzer nel 1957 per Il mito del padre (A Death in the Family), ebbe un attacco di cuore per cui le scene finali vennero completate da Peter Viertel (non accreditato) e John Huston. Per mostrare il suo disgusto verso le notevoli quantità di superalcoolici che John Huston e Humphrey Bogart consumarono durante le riprese, Katharine Hepburn bevve solo acqua del posto. Nonostante le scorte giungessero in bottiglie sigillate il risultato fu un forte attacco di dissenteria che colpì la Hepburn e gran parte della troupe. Gli unici a rimanere indenni furono proprio Bogart e Huston. Nel 1984 Katharine Hepburn scrisse un resoconto della produzione del film intitolato "The Making of The African Queen or How I Went to Africa with Bogie, Bacall and Huston and Almost Lost My Mind". Nel libro la Hepburn descrive tra l'altro l'ossessione di John Huston per la caccia. Un giorno convinse persino lei a seguirlo e, involontariamente, la guidò nel mezzo di un branco di animali selvaggi dai quali si salvarono per miracolo. Le riprese del film sono state effettuate per la maggior parte nella Repubblica Democratica del Congo (a quei tempi Congo Belga) e in Uganda. Le scene in cui Bogart e la Hepburn sono immersi nell'acqua sono state girate tutte in studio in Inghilterra (negli Shepperton Studios, nel Surrey) soprattutto per motivi di igiene. Dato che il battello usato nel film era troppo piccolo per accogliere le attrezzature necessarie, parti di esso sono state riprodotte su una specie di zattera, così da consentire i primi piani di Bogart e della Hepburn. Le scene interne sono state filmate a Londra, dato che la maggior parte includeva personaggi secondari. Robert Morley ad esempio girò la maggior parte delle sue scene a Londra, alcune delle quali sono state poi montate con quelle girate in Africa insieme agli indigeni. Alcune scene sono state girate anche a Dalyan, in Turchia.
Il film ha ottenuto un premio Oscar nel 1952 per il miglior attore protagonista, vinto da Humphrey Bogart. Ha inoltre ricevuto altre tre nomination per la miglior regia, la miglior sceneggiatura e la miglior attrice protagonista. Nel 1953 ha ottenuto due nomination ai BAFTA awards (miglior film non britannico e miglior attore protagonista). Nonostante abbia avuto un solo, seppur prestigioso, riconoscimento (l'Oscar a Bogart), La regina d'Africa è stato subito un grande successo, sia di critica che di pubblico. Nel 1994 La regina d'Africa è stato inserito nel National Film Registry, archivio di pellicole ritenute culturalmente, storicamente o esteticamente rappresentative dal National Film Preservation Board statunitense. Nel 2007, l'American Film Institute ha piazzato il film al numero 65 tra i più grandi film di tutti i tempi. Dopo la nomination per Casablanca, il ruolo di Charlie Allnut ha portato a Humphrey Bogart l'unico Oscar della sua carriera, strappato a Marlon Brando candidato per Un tram che si chiama Desiderio. Queste le parole di Bogart dopo il riconoscimento: "Il modo migliore per sopravvivere ad un Oscar è quello di non provare mai a vincerne un altro. Guardate cosa succede ad alcuni di quelli che l'hanno vinto. Passano le loro vite rifiutando sceneggiature mentre cercano il grande ruolo con cui vincerne un altro. Diavolo, spero di non ricevere più un'altra nomination". Ciò nonostante un'altra nomination arriverà, l'ultima per il divo statunitense, 3 anni dopo per L'ammutinamento del Caine.»
La parte più importante, dovendo raccontare di “Cacciatore bianco, cuore nero” è questa: «Nel 1984 Katharine Hepburn scrisse un resoconto della produzione del film intitolato "The Making of The African Queen or How I Went to Africa with Bogie, Bacall and Huston and Almost Lost My Mind". Nel libro la Hepburn descrive tra l'altro l'ossessione di John Huston per la caccia. Un giorno convinse persino lei a seguirlo e, involontariamente, la guidò nel mezzo di un branco di animali selvaggi dai quali si salvarono per miracolo.»
E’ di questa ossessione di John Huston per la caccia e i safari che parla il film di Eastwood; ma non solo di questo. Si parla della vita e della morte, di guerra e di razzismo, e mai in modo banale; molte di queste riflessioni vennero poi riprese da John Huston stesso in “Le radici del cielo” (1958), un altro film girato in Africa, e che Eastwood cita spesso, quasi letteralmente, in “Cacciatore bianco, cuore nero”. Tra i protagonisti del film, va detto, bisognerebbe mettere anche gli elefanti: sia per “Le radici del cielo” che per “Cacciatore bianco, cuore nero”.
A questo punto faccio una pausa, domani parlo di Peter Viertel e di John Huston, per intanto metto un po’ di fotografie di Katharine Hepburn, Lauren Bacall, Humphrey Bogart e dei loro interpreti nel film di Eastwood: non perché siano essenziali (nel film di Eastwood sono poco più che comparse) ma per legittima curiosità.
(continua)
Nessun commento:
Posta un commento