Gli spietati (The unforgiven)
Eastwood fa un film per gente che ha già visto molti film, con il gusto della citazione; un film lento e smitizzante, decisamente fuori dai canoni oggi di moda; e lo conclude con un finale degno di Sergio Leone, con l’uomo “di ghiaccio” che uccide l’avversario che è più veloce di lui, ma che sbaglia la mira. Il suo William Munny, alla fine, si rivela come un demone, degno di Hellraiser, un demone invincibile evocato da incaute donne, un meccanismo arrugginito che, ripulito ed oliato, torna a scattare inplacabile. Munny e il ragazzo (Scofield Kid) uccidono “per contratto”, sono lì e portano a termine il lavoro; ma Neal (Morgan Freeman) non ce la fa più, e il ragazzo alla fine si sentirà disgustato dall’esperienza abominevole. Solo Munny è “di ghiaccio”, e ritrova se stesso senza apparenti rimorsi. Little Bill, un grande Gene Hackman, non è da meno e non è certo migliore di lui (pessimo carpentiere, oltretutto). Non è il capolavoro che dicono i giornali, ma è certo un grande film. Il cinema Mediolanum è pessimo, la proiezione è malfatta e sfocata, e l’impianto di riscaldamento fa un rumore incredibile. (febbraio 1993)
- ...Munny non è molto bravo con la pistola, è accettabile. In questo western l’eroe non colpisce i cappelli della gente o l’occhio di un uccello in volo. Quelle erano favole del West, e lui è reale. Questi ragazzi sono dei killer solo perché lo sono stati in precedenza, non perché siano dei tiratori migliori degli altri. Non è così facile ammazzare qualcuno. Questa era l’incredibile realtà: tutti questi killer che sono diventati leggenda sono stati, in realtà, ragazzi che sparavano alle spalle e non stando in mezzo ad una strada, faccia a faccia, come si vede nei vecchi film. (...)
- Lei mostra come la realtà del West sia stata distorta: basta la presenza di un giornalista per influenzare il comportamento della gente.
- Il giornalista Beauchamp cerca di abbellire la realtà rendendola più interessante. Noi tutti accettiamo la nostra impronta sulle cose, basta vedere come i pettegolezzi partono e si espandono, e come i particolari del crimine divengano sempre più macabri. Molte delle storie in cui crede il genere umano, a cominciare dalle storie della Bibbia, furono scritte da cronisti che avevano un punto di vista molto limitato e personale. Il West non fa eccezione.
- John Ford è un suo maestro?
- I suoi film che preferisco non sono dei western: sono le sue cronache sulla crisi dopo il ’29, come “Furore”. Mi è piaciuto molto “My darling Clementine” (Sfida infernale), e “Sentieri selvaggi” è ancora un buon film, anche se oggi certi personaggi non reggerebbero (...)
Clint Eastwood, intervista a Michael Henry, dal Corriere della Sera, febbraio 1993.
Gunny
E’ una piacevole commedia nella prima parte, pur con qualche attore troppo “di cartone”. Salverei solo, oltre a un Eastwood in gran forma, l’ottima Marsha Mason. Nella seconda parte è imbarazzante l’innesto con la realtà (il recente sbarco di marines a Grenada). Il film si salva, e solo in parte, proprio per il personaggio di Gunny, per esempio quando legge le riviste “femminili” per capire meglio l’ex moglie e riconquistarla. Visto oggi, viene da pensare a “The unforgiven” col vecchio pistolero che vuole mollare (e ha già mollato) il suo “mestiere” di killer e di duro: una prima elaborazione del tema, si direbbe, che qui purtroppo sfocia in un quasi remake di “Berretti verdi” (John Wayne è citato in una battuta di “Stitch” van Peebles riguardo a Gunny). Il soggetto sfocia anche, naturalmente, in un prevedibile e gratificante lieto fine. (aprile 1993)
Gran Torino
Un monumento alla bravura tecnica e narrativa di Eastwood, e anche al suo percorso personale, come uomo. Ho iniziato a guardarlo controvoglia, perché le recensioni sui blog e sui giornali erano così dettagliate che pareva di sapere già tutto; e invece il film mi prende subito, è molto bello, una favola bella con un finale triste ma positivo.
E’ un film di quelli su cui non c’è molto da dire, bisogna mettersi comodi e guardare, fidandosi dell’autore. Ho però due pensieri che non riesco a togliermi dalla tesa, questi: che Eastwood ha 78 anni, quindi è uno della vecchia scuola, di quando il cinema era ancora grande, e quindi il futuro non passerà di qui, purtroppo. Il secondo pensiero è che con questo film il vecchio Clint avrà sicuramente deluso molti dei suoi fans che si aspettavano da lui film da duro, film d’azione, di impronta Reagan-Kissinger-Bush; e invece avrà commosso chi già la pensava come lui. Lo stesso pensiero mi venne molti anni fa, a teatro, di fronte a “L’istruttoria” di Peter Weiss: il teatro era pieno e l’allestimento era ottimo, ma nessuno dei presenti in sala aveva veramente bisogno di quello spettacolo. Quelli che avrebbero dovuto vederlo, i neonazisti e i neofascisti, erano altrove, se ne stavano ben lontani. Purtroppo per noi, bossisti e nazisti sono sempre più all’ordine del giorno: sapendo che Clint Easwood fa film come questo, se ne staranno lontani da lui e dal suo cinema. In questo senso, “Gran Torino”, che pure è un gran film, rischia di essere del tutto inutile, al di là dei premi e dell’affetto crescente verso uno degli ultimi maestri.
I vicini di casa sono dell’etnia Hmong, un popolo che è diviso fra gli stati della Thailandia, Laos, Birmania, Cina; sono montanari che collaborarono con gli USA al tempo della guerra in Indocina, e che per questo motivo sono in America. Hmong è il nome vietnamita, in cinese vengono detto Miao, in altri paesi Hmao (ottobre 2010)
qui sotto metto due immagini degli Hmong, costumi tradizionali:
(continua)
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