Eastwood o Lincoln?
...Eastwood ha sempre amato le Grandi Figure che piacciono agli europei che cercano la propria immagine nelle immagini primarie americane. Eccone una: alto, dinoccolato e un po’ piegato in avanti, occhiata triste, barba o barbetta, giacca andante di fustagno o di velluto, e un cappello squadrato in testa. Chi è? Eastwood, ma anche Abraham Lincoln. (...) Anche se i suoi personaggi sono ormai urbanizzati e diplomati, (...) Eastwood rimane un uomo di frontiera che si esprime in codice usando meno parole possibile. Come i cowboys e i giustizieri, per i quali parlano le pistole. «I reckon so», «penso proprio di sì», è l’unico discorso che riesce a fare il texano dagli occhi di ghiaccio. Perché i fatti sono cose da uomini, le parole sono imbrogli da avvocati, eccetera. (...) Lo sguardo di Clint, come dice la sociologa Joan Mellen (che lo odia) è uno sguardo da maestro zen. (...)
Dante Matelli su Clint Eastwood, da un pessimo articolo sull’Espresso 16 marzo 2000
Million dollar baby
- E così, dopo 35 anni di felice collaborazione, si è sentito dire dalla Warner che un film come “Million dollar baby” non aveva chances...
- A volte mi domando perché certa gente è nel business del cinema. Ma, alla fine, quello che conta è che l’abbiamo fatto. E’ difficile guidare uno studio, ognuno ha avuto storie di grandi disastri e di grandi successi sfuggiti di mano. (...) Nel mio piccolo, so bene quanto è frustrante avere per le mani un buon prodotto senza attrazione commerciale. Siamo circondati da esperti, ma la verità è che nessuno sa niente. (...)
Clint Eastwood, intervista da L’Espresso 31 marzo 2005
Hereafter - intervista a Matt Damon
di angelo aquaro, rep ven 7 gen 2011
NEW YORK (...) eppure se c'è qualcuno capace di dire ancora qualcosa di sinistra, nell'America di oggi, è forse questo quarantenne che spara più lesto di John Wayne: da Obama a Sarah Palin, da Bill Gates a Julian Assange. Passando, ovviamente, per l'amico Clint Eastwood che l'ha diretto in Invictus e, ora, Hereafter. Matt Damon per gli Oscar o Matt Damon for President?
- Lei lasciò l'Università di Harvard per un western, che per la verità fu un disastro. E ora torna al western con True Grit (Il Grinta) di Joel ed Ethan Coen (nelle sale italiane dal 18 febbraio), bellissimo remake di Il Grinta con John Wayne. Una rivincita?
«Verissimo: il mio primo film fu Geronimo: An American Legend. Era il 1993 e avevo già girato qualcosa, ma quello era il set che avrebbe dovuto lanciarmi. E invece cominciò malissimo. Va bene: ci ho messo vent'anni, ma finalmente spero di aver fatto un bel western».
- Non è che sia un genere di moda.
«Diciamo che è difficile trovare un buon film. Ma questo è maledettamente buono. Hanno ragione i Coen a dire che non è un remake: loro hanno cercato di restituire il senso del libro».
- Il racconto di Charles Portis è un piccolo romanzo di formazione: storia di una ragazzina che insegue l’assassino del padre con l'aiuto di uno sceriffo ubriacone, Jeff Bridges (che qui rifà la parte di John Wayne), e un ranger, cioè lei. Non dica che non ha chiesto consiglio all'ultima autorità in materia: il suo amico Clint Eastwood.
«Ma sapete che quando gli ho detto che facevo True Grit è scoppiato a ridere? Gli faccio: mi hanno chiamato i Coen. Lui: e che parte avrai? io: il ranger. E scoppia a ridere: avevano offerto lo stesso ruolo a me, dice, nel 1969. E allora aveva proprio 39 anni: come me».
- La vostra amicizia a Hollywood è nota. Per lui in Hereafter, che esce in questi giorni in Italia, lei si tuffa in un personaggio difficilissimo, in un storia davvero dell'altro mondo: un operaio che si mette in contatto con l'aldilà.
«Non avevo mai pensato di poter arrivare dove sono, non immaginavo neppure di poter fare l'attore, il regista, lo sceneggiatore, figuriamoci la stella del cinema. Però, ecco, dopo il successo di The Bourne Identity, The Bourne Supremacy e The Bourne Ultimate, me lo sono chiesto: che cosa vuoi davvero? Puoi continuare a restare legato a un cliché e fare un sacco di soldi e avere il telefono che non smette mai di squillare. Oppure puoi decidere di fare solo i film che vuoi fare. E rischiare. La verità è che nel momento in cui ti fermi lì a difendere il tuo pezzo di territorio - a proteggere quello che hai costruito - ecco: allora sei morto davvero. E qui l'insegnamento di Clint è impareggiabile».
- Come attore o come regista?
«Ma guardatelo. A ottant'anni è un uomo felice e in pace con se stesso. Perché in tutta la sua straordinaria carriera non si è mai preoccupato di che cosa la gente pensasse del suo lavoro: dai western a Mystic River a Million Dollar Baby. Se avesse pensato di seguire il business avrebbe smesso di fare film quarant'anni fa». (...)
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