Cacciatore bianco, cuore nero. (White Hunter Black Heart, 1990) Regia di Clint Eastwood Tratto da un racconto di Peter Viertel, ispirato alla lavorazione del film “La regina d’Africa” di John Huston. Sceneggiatura di James Bridges, Burt Kennedy, Peter Viertel. Fotografia: Jack N.Green. Girato in Inghilterra e nello Zimbabwe. Musiche originali: Lennie Niehaus. Interpreti Clint Eastwood (Wilson-Huston), Jeff Fahey (Verrill-Viertel), George Dzundza (Paul Landers, il produttore), Boy Mathias Chuma (Kiwu) Alun Armstrong (Lockhart, supervisore al film in Africa) Timothy Spall (il pilota dell’aereo, Hodkins), Geoffrey Hutchings (Alec Laing), Charlotte Cornwell (miss Wilding, segretaria di Wilson), Clive Mantly (Harry) Martin Jacobs (il primo cacciatore bianco, a metà film), Conrad Asquith (il cacciatore bianco nel finale, Ogilvy), Norman Lumsden (butler George), i tre soci inglesi del produttore: Edward Tudor-Pole (Reissar), Roddy Maude-Roxby (Thompson) Richard Warwick (Basil Fields); Catherine Neilson (Irene Saunders, la donna del racconto con il cagnolino) Richard Vanstone ( Phil Duncan-H.Bogart) Jamie Koss (mrs. Duncan-L.Bacall) Marisa Berenson (Kay Gibson-K.Hepburn) (110 minuti)
La parte girata in Africa è quella più bella, forse valeva la pena di avere più fiducia nel soggetto e di partire direttamente da qui, o comunque di tagliare molti minuti dalla parte iniziale.
E’ qui che diventano protagonisti gli elefanti: il regista ne vuole uccidere uno, e che sia maestoso, prima di iniziare le riprese del film. Anzi, confessa apertamente fin dall’inizio al suo sceneggiatore di essere andato in Africa solo per quello. Tutti giudicano una follia questo suo atteggiamento, ma i portatori si trovano facilmente, così come si trova senza problemi anche il “cacciatore bianco” che farà da capo spedizione. John Wilson (Clint Eastwood) trova anche un suo alter ego nel cacciatore africano Kiwu, che lo porterà proprio a ridosso degli elefanti, per due volte nel corso del film.
Nella prima occasione, lo scrittore ed il pilota dell'aereo restano da soli sulla jeep, mentre il regista e Kiwu vanno a sparare all'elefante. Sulla jeep, lo Scrittore e il pilota parlano degli elefanti:
Lo Scrittore: No, non li avevo mai visti in libertà. Sono maestosi... Sembrano indistruttibili, parte integrante della Terra. Ci fanno sentire come piccoli mostri di un altro pianeta, senza dignità. Ci fanno credere in Dio, nel miracolo della creazione. Fanno parte di un mondo che non esiste più, ormai. Danno il senso dell'eternità.
Il pilota: Lei le sa trovare le parole, Pete... per forza che fa lo scrittore.(...)
John Wilson tornerà senza aver sparato, lo hanno fermato perché era troppo pericoloso in quel momento: le femmine avevano i piccoli vicino a loro.
Questo dialogo ha una corrispondenza precisa in “Le radici del cielo” di John Huston, un film del 1958 che Eastwood aveva sicuramente ben presente, che però è scritto da Romain Gary e non da Viertel:
Siamo al minuto 4, Leslie Howard ha già avuto il suo da fare con un bracconiere, ed è stato un po’ scortese; la ragazza a cui ha appena ordinato una birra è molto gentile e perplessa, forse è il caso di dare qualche spiegazione.
- Mi scusi...ma ho vissuto così tanto tempo tra gli elefanti che ho disimparato a trattare con la gente.
- Con gli elefanti? Duqnue lei è un cacciatore?
- No! no, io vivo con loro, mi piacciono. Mi piace guardarli, sentirli barrire...anzi, non so cosa darei per diventare un elefante anch’io (...) In Africa vengono uccisi diecimila elefanti all’anno, di media. L’anno scorso ne uccisero trentamila: se continua così non ne resterà uno. (...) Chiunque abbia visto le grandi mandrie in marcia verso gli ultimi spazi residui di terra libera capisce che sono qualcosa che gli uomini non possono permettersi di perdere. Ma no, loro devono uccidere, distruggere, tutto ciò che è bello deve sparire, tutto ciò che è libero! Presto su questa Terra non resterà da distruggere che noi stessi. (...) Siamo a un punto, su questa Terra, che l’uomo ha bisogno di rieducarsi alla Terra. Non possiamo pretendere pietà da Dio quando facciamo scempio del Creato! (...)
da “Le radici del cielo” di John Huston
Sempre da “Le radici del cielo”:
...Friedrich Ledebur, il Queequeg di Moby Dick, interpreta un vecchio naturalista, è affidato il monologo più importante del film, quello che ne spiega il significato più profondo: siamo al minuto 37.
Professor Qvist: Il mio dovere è proteggere tutte le specie, tutte le radici viventi che il cielo ha piantato qui sulla Terra. Ho lottato tutta la mia vita per la loro preservazione. L’uomo sta distruggendo le foreste, avvelenando gli oceani e avvelena l’aria stessa che respiriamo con le radiazioni. Gli oceani, le foreste, le specie animali e l’umanità sono le radici del cielo. Avvelenate il cielo e le sue radici, e l’albero seccherà e morirà. Le stelle spariranno e il cielo verrà distrutto: sparirà il cielo su questa terra.
da “Le radici del cielo” di John Huston
Tornando a “Cacciatore bianco, cuore nero” questo è il momento che probabilmente spiega tutto il film:
Eastwood-Wilson: Ti sbagli, Pete. Non è un delitto uccidere un elefante: è una cosa molto più grave. E' un peccato. L'unico peccato che si può commettere comperando una licenza, ed è per questo che io voglio farlo.
Un altro dialogo importante, Eastwood-Wilson al produttore del film:
- ...la parte del “cacciatore bianco” è un fatto sacro (...) è un argomento troppo profondo perché il tuo minuscolo cervello possa intenderlo (...) Per farti capire cosa significa (...) dovrei cancellare tutti gli anni che hai passato (a fare il venditore ambulante) calpestando tappeti e pavimenti con scarpe troppo strette.
Da “Le radici del cielo” di John Huston:
Al minuto 47, su un’automobile guidata da un autista africano (che si chiama Yusef e avrà una parte importante nel finale), si trova la strada sbarrata da un piccolo corteo di elefanti che la attraversano. L’automobile è costretta a fermarsi e l’autista (nero africano) sbotta:
- Come si può costruire un Paese moderno con queste bestie in mezzo?
- Perché diavolo sei venuto con me? – gli chiede seccatissimo Morel (Leslie Howard).
- Ordini di Waitari. – risponde Yusef; cioè, ordini del suo capo politico: Emile Waitari (nella finzione cinematografica) è il leader del movimento indipendentista. Ma è significativo che sia proprio un nativo africano a spazientirsi per la presenza degli elefanti, della Natura ancora incontaminata.
Nel finale, dopo la morte di Kiwu, i tamburi battono un ritmo che significa “cacciatore bianco, cuore nero”. Eastwood dice “action” con voce rotta, e partono i titoli di coda là dove inizia “The African Queen”. L’incanto della natura africana è stato spezzato, per sempre. Ancora pochi anni, e gli africani come Kiwu non esisteranno più, esisteranno solo persone simili a noi europei e americani, gli addetti al marketing avranno il predominio, anche in Africa nasceranno le immobiliari, anche il paesaggio cambierà, e moriranno molti più elefanti che in una semplice battuta di caccia. Tutto questo era già chiaro alla fine degli anni ’50.
Nel 2007, su un altro blog, scrivevo questo breve riassunto:
"Cacciatore bianco, cuore nero" è un film di Clint Eastwood, girato nel 1991. Dopo aver lasciato il poncho, il sombrero e il sigaro che gli aveva affibbiato Sergio Leone, ormai 40 anni fa, Eastwood è diventato un grande regista; e sono storia recente i premi Oscar per il suo ultimo film. Quindi non scopro niente di nuovo se dico che è ormai un maestro riconosciuto; ma questo suo "White hunter" è stato molto snobbato, dalla critica e dai premi, e non ho mai capito bene perché. Forse perché i critici non hanno più la pazienza, o il tempo, per vedere un film fino alla fine e capire quello che ci sta dicendo l'autore? E' un atteggiamento lecito per il comune spettatore, soprattutto se il film è molto lungo, ma da un critico si vorrebbe qualcosa di più.
"Cacciatore bianco" racconta la lavorazione di un film di John Huston, uno dei più famosi: "La regina d'Africa", del 1951, con Humphrey Bogart e Katharine Hepburn. E' una libera ricostruzione, non una biografia: perciò si usano nomi fittizi, ci sono parecchie libertà (ed è giusto, perché in questo caso sono altre le cose importanti). Eastwood si prende la parte del protagonista: John Huston stesso, intrattabile, irascibile, duro e rissoso, ma anche incredibilmente talentuoso e affascinante. Huston va in Africa per fare un film, ma lo fa a modo suo. E' lui il padrone del film, non i produttori che ci mettono i soldi: Eastwood ci tiene a farcelo sapere, ed è quello che racconta nella prima parte della storia. Che poi si sposta in Africa, in un hotel dove il regista zittisce un'inglese filonazista e antisemita e fa a cazzotti (perdendo) con un uomo, un altro razzista, per lo stesso motivo; e prosegue con un safari, voluto a tutti i costi da Huston-Eastwood. Nel safari, realizzato vicino alla zona dove si girerà il film, muore una guida africana, fedele guida e amico stimato da tutti. Ma il film deve andare avanti; e il regista viene condotto davanti alla macchina presa, a dare il via all'azione scenica, mentre i tamburi degli africani raccontano quello che è successo, e ritmano un messaggio che viene tradotto così: "Cacciatore bianco, cuore nero". L'espressione di Eastwood, e la voce strozzata con la quale dice "Azione" sono il finale della storia; e la scena da sola vale più di tanti film ben più celebrati e di successo che una critica distratta fa passare per capolavori.
Qualche parola sugli attori: ottimo Eastwood, molto bravo George Dzundza (il produttore), molto funzionali tutti gli altri, con ottimi attori come Alun Armstrong e Timothy Spall a dar risalto a piccole parti. Marisa Berenson (“Barry Lyndon” con Kubrick) riappare qui per interpretare Katharine Hepburn, ma è poco più di una comparsa. Il vero punto debole del cast è Jeff Fahey (lo scrittore Viertel-Verrill), che ha un volto piuttosto inquietante e che come attore è abbastanza inespressivo, oltre a non essere per niente somigliante alle foto del vero Viertel.
Qui sotto, due immagini del vero John Huston: da "Il tesoro della Sierra Madre" , dove si è ritagliato una piccola parte come attore. L'uomo di spalle, coi capelli tagliati da poco, è Humphrey Bogart.
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