venerdì 24 luglio 2020

The dead (John Huston)



The dead (I morti, 1987) Regia di John Huston. Tratto da "Dubliners" di James Joyce. Sceneggiatura di Tony Huston. Fotografia di Fred Murphy. Musiche a cura di Alex North. Interpreti: Donal Mc Cann, Anjelica Huston, Helena Carroll, Cathleen Delaney, Donal Donnelly, Rachel Dowling, Ingrid Craigie, Dan O'Herlihy, Richard Parkinson, Marie Kean, Sean Mc Clory, Frank Patterson. Durata: 83 minuti

"The dead", tratto da un racconto di James Joyce, è l'ultimo film di John Huston, ed è anche uno dei capolavori assoluti nella storia del cinema, ma dovete metterci qualcosa del vostro per capirlo. Non è un film facile, così come non è facile il racconto di Joyce (tratto da "Dubliners", in Italia tradotto spesso come "Gente di Dublino") ma se ce l'ha fatta uno come me ce la può fare chiunque. Coraggio, si può fare.
Siamo a Dublino nel 1904, a una cena organizzata da due zie molto anziane, una riunione di famiglia in ambiente benestante, dove convengono caratteri diversi e dove non manca la questione politica, perché in Irlanda a inizio Novecento c'erano in ballo questioni che pesano ancora oggi. Ma il clima è comunque disteso, nessuno vuole fare torto alle zie, tutto rimane sottotraccia. Filo conduttore delle varie vicende è la coppia di sposi interpretata da Anjelica Huston e Donal Mc Cann; il finale è dedicato a loro ed è toccante, con il ricordo di un ragazzo morto tanti anni fa, che si era innamorato di lei, e il monologo finale del marito, tagliato fuori da quel ricordo lontano e straziante. La canzone che evoca questo ricordo è "The Lass of Aughrim" ("La fanciulla di Aughrim") cantata alla festa dal tenore Bartell d'Arcy; è lo stesso attore Frank Patterson a cantarla, molto bravo). Nel corso della festa ascoltiamo anche, un po' straziata dalla voce senile della zia, un'aria che viene presentata come "Arrayed for the Bridal" e spesso tradotta alla lettera nelle varie recensioni; si tratta di "Son vergin vezzosa", inizio di un concertato dall'opera "I Puritani" di Vincenzo Bellini. A cantarla, meglio che può, è la stessa attrice Cathleen Delaney. Nel corso del film si ascoltano molte battute dedicate all'opera e al teatro, bisognerebbe scrivere un post per ricapitolarle tutte.


Tutti gli attori sono perfetti: sono protagonisti del teatro irlandese e quindi poco noti al grande pubblico, a parte Anjelica Huston. Merita una citazione l'attore che interpreta Freddy (Donal Donnelly) sempre ubriaco, ma dolce e simpatico. La regia del "rozzo" Huston è di grande delicatezza e profondità (non è una novità, la rozzezza di Huston era solo una maschera). John Huston, americano di nascita, abitava da decenni in Irlanda e ne aveva preso anche la cittadinanza; "The dead" è stato girato da Huston già molto malato, assieme ai due figli Tony (autore della sceneggiatura) e Anjelica (protagonista del film). Il film è molto fedele al racconto, anche se con qualche libertà, ben descritta a suo tempo dall'ottimo critico Mario Sesti:
da wikipedia:
«The Dead è un capolavoro di fedeltà al testo, o meglio uno straordinario modello di lucidità e strategie nel passaggio dalla letteratura al cinema. (...) Anche per chi conosce piuttosto bene il racconto, è molto difficile notare le aggiunte, le dilatazioni, i prestiti illeciti, perché essi sono praticati in quella sfera intermedia che potremmo chiamare “immaginario” del testo che non appartiene più semplicemente al testo ma al lavoro che il lettore vi ha prodotto con la sua lettura e il deposito di scena che esso ha generato nella memoria del lettore stesso.»
Mario Sesti, Cineforum, n. 270, dicembre 1987 (da www.wikipedia.it)


A mio parere il racconto più bello dei "Dubliners" è "Arabia", dove mi sono riconosciuto e mi sono rivisto come ero ("Arabia" è il nome di una fiera di inizio secolo, sempre a Dublino). Rileggo il finale in Joyce, e penso che anch'io sto pensando le stesse cose; non c'è fuori la neve, solo questa è la differenza. Riporto qui il finale del racconto, è la cosa migliore che si possa fare.
Si era profondamente addormentata. Appoggiato sui gomiti Gabriel le guardò per alcuni istanti, senza rancore, i capelli scomposti, la bocca semichiusa e ne ascoltò il respiro profondo. Dunque c’era un romanzo nella sua vita: un uomo era morto per lei. Quasi non gli doleva adesso pensare alla. parte meschina che lui, il marito, vi aveva avuto. La guardava dormire come se mai fossero vissuti insieme da uomo e donna. Incuriositi, gli occhi s’attardarono a lungo sul suo viso, sui suoi capelli; e, pensando a quella che doveva essere stata allora, all'epoca della sua prima bellezza di fanciulla, una strana, dolce pietà per lei gli penetrò l’anima. Non voleva confessarlo nemmeno a se stesso che quel viso non era più bello; ma certo non era più il viso per il quale Michael Furey aveva sfidato la morte.
Forse non gli aveva detto tutto. Portò gli occhi alla sedia su cui ella aveva buttato alcuni dei suoi indumenti. Il laccio di una sottana pendeva sul pavimento, uno stivaletto stava in terra ritto, il gambale floscio ripiegato, e il compagno gli giaceva accanto su un fianco.
Lo meravigliava quel disordine di emozioni, un’ora prima. Da dove era nato? Dalla cena delle zie, dal proprio sciocco discorso, dal vino e dal ballo, dall'allegria di quegli ultimi saluti nell’atrio, dal piacere della passeggiata lungo il fiume, sulla neve. Povera zia Julia! Anche lei presto sarebbe stata un'ombra con l'ombra di Patrick Morkan e il suo cavallo. Per un attimo le aveva visto in viso quell'aspetto di larva mentre cantava Adorna per le nozze. Presto forse si sarebbe trovato seduto in quello stesso salotto, vestito di nero, la tuba sulle ginocchia: le imposte sarebbero state accostate e zia Kate seduta accanto a lui, piangendo e soffiandosi il naso, gli avrebbe raccontato com’era morta. Si sarebbe torturato il cervello allora per trovare qualche parola che potesse consolarla e ne avrebbe trovato solo di goffe e inutili. Sì, sì, sarebbe accaduto molto presto.
L’aria della stanza gli gelava le spalle. Si allungò adagio sotto le coperte accanto alla moglie. Ad uno ad uno tutti si sarebbero mutati in ombre. Meglio trapassare baldanzosi nell’altra vita, nel piano della passione, che appassire e svanire a poco a poco nello squallore degli anni. Pensò a come colei che gli giaceva a fianco avesse serbato così a lungo in cuor suo l’immagine degli occhi del suo innamorato quando le aveva detto che non desiderava di vivere.
Lacrime generose gli gonfiarono gli occhi. Non aveva mai provato nulla di simile per nessuna donna, ma sapeva che quello doveva essere veramente amore. Più fitte le lacrime gli velarono gli occhi e nella semioscurità immaginò la figura di un giovane in piedi sotto albero gocciolante di pioggia. Altre figure gli erano accanto. L’anima sua s’avvicinava alle regioni abitate dalla immensa folla dei morti. E pur essendo cosciente di quella loro illusoria e vacillante esistenza, non riusciva ad afferrarla. La sua stessa identità svaniva in un mondo grigio e impalpabile: la stessa solida terra in cui quei morti avevano un tempo dimorato e procreato, si dissolveva e si rimpiccoliva.
Un battere leggero sui vetri lo fece voltare verso la finestra. Aveva ripreso a nevicare. Assonnato guardava i fiocchi neri e argentei cadere di sbieco contro il lampione. Era venuto il momento di mettersi in viaggio verso l'ovest. I giornali dicevano il vero: c’era neve dappertutto in Irlanda. Neve cadeva su ogni punto dell'oscura pianura centrale, sulle colline senz'alberi; cadeva lieve sulle paludi di Allen e più a occidente cadeva lieve sulle fosche onde rabbiose dello Shannon. E anche lì, su ogni angolo del cimitero deserto in cima alla collina dov'era sepolto Michael Furey. Si ammucchiava alta sulle croci contorte, sulle tombe, sulle punte del cancello e sui roveti spogli.
E l'anima gli svanì lenta mentre udiva la neve cadere stancamente su tutto l’universo, stancamente cadere come scendesse la loro ultima ora, su tutti i vivi e i morti.
(James Joyce, da "Gente di Dublino - I morti", ed. Einaudi 1978, traduzione di Franca Cancogni)



(le immagini sono nel mio archivio personale da molti anni, alcune di esse vengono da giornali di quando uscì il film, non saprei più indicarne l'origine)


Nessun commento: