La proprietà non è più un furto
(1973) Regia di Elio Petri. Scritto da Elio Petri e Ugo Pirro.
Fotografia di Luigi Kuveiller. Musiche di Ennio Morricone.
Interpreti: Ugo Tognazzi, Flavio Bucci, Daria Nicolodi, Salvo
Randone, Mario Scaccia, Orazio Orlando, Elena Fabrizi, Ada Pometti,
Cecilia Polizzi, Julien Guiomar, Jacques Herlin, Ettore Garofolo, e
altri. Durata: due ore
"La proprietà non è più un
furto" è un film del 1973, che arriva dopo "La classe
operaia va in paradiso" e precede "Todo modo". E' uno
dei film più duri e difficili che ho incontrato, del tutto scomparso
dalla programmazione tv, una vera e propria censura non tanto
politica e nemmeno per il sesso (figuriamoci, con tutto quello che
passa in tv a ogni ora...) ma dovuta proprio alla difficoltà e alla
durezza della narrazione. Il film all'uscita fu vietato ai minori di
18 anni, non so se il divieto persista ancora ma in ogni caso sarebbe
ora di lasciar perdere quel divieto, visto e considerato che i
condannati per truffa ai danni dello Stato, qui da noi, vanno ogni
sera al telegiornale a spiegare cosa fare per raddrizzare l'Italia.
E' un effetto che Elio Petri e Ugo Pirro (autori del soggetto e della
sceneggiatura) non potevano prevedere, sta di fatto che gli italiani
votano da decenni, e con sempre maggior seguito, per partiti fondati
da condannati in via definitiva al carcere per corruzione, per mafia,
per evasione fiscale, o magari per essersi intascati i soldi dei loro
stessi elettori. Davanti a questi fenomeni, il Tognazzi protagonista
di questo film sembra una mammoletta.
Il soggetto è questo: un impiegato di
banca (Flavio Bucci), stufo di contare i soldi degli altri e per di
più allergico al denaro, decide di passare all'azione. La sua
vittima sarà dapprima un ricco macellaio (Ugo Tognazzi), poi andrà
a cercare un ladro vero e proprio, un artista del furto (Mario
Scaccia), ma la storia finirà male. Finirà male per il povero
impiegato, s'intende, e per il suo maestro: i ladri veri se la
passano benissimo e il film si concluderà con un monologo
paradossale sulla necessità sociale dell'esistenza dei ladri,
recitato da Gigi Proietti. Come faremmo senza i ladri, cosa sarebbe
della nostra società senza chi ruba?
"La proprietà non è più un
furto" fu accolto malissimo, sia dalla critica che dal pubblico,
e anche dagli intellettuali. Penso che lo abbiano capito in pochi, e
che tra quei pochi che l'hanno capito molti se la siano presa a male.
Gli operai e la FIOM (il sindacato dei metalmeccanici), a cui fu
presentato in anteprima, contestarono duramente Petri; che d'altra
parte scriverà cose come questa, presa da un bel documentario a lui
dedicato:
«Nell'ultimo periodo della mia
vita io ho fatto film sgradevoli. Sì, film sgradevoli in una società
che ormai chiede gradevolezza a tutto, persino all'impegno. I miei
film, al contrario, oltrepassano addirittura il segno della
sgradevolezza. A cosa è imputabile tutto questo? Perché faccio film
così? Evidentemente, è per una netta sensazione di essere arrivato
al punto in cui mi pare che tutte le premesse che c'erano quando io
ero ragazzo si siano proprio vanificate. La società ha preso tutto
un altro indirizzo, e in me questo non poteva non lasciare una
traccia profonda.»
(da "Appunti su un autore",
2005, documentario su Elio Petri a cura di F. Bacci, N. Guarneri e S.
Leone)
Sgradevole, come l'omino di Altan viene
da dire; e forse è stata una fortuna per Petri che gli sia stato
risparmiato quello che è arrivato dopo. Per mia fortuna avevo messo
da parte questo ottimo documentario su Elio Petri (realizzato da F.
Bacci, N. Guarneri e S. Leone nel 2005) e sono riuscito a
prendere qualche punto di riferimento.
Direi che su tutto domina l'ambiguità,
a partire dai titoli di testa (un dipinto di Renzo Vespignani con i
volti degli attori) dove al centro c'è il volto di Mario Scaccia,
diviso a metà dal trucco. In questo film, infatti, non è Salvo
Randone (che pure è presente) il personaggio chiave, ma è proprio
Scaccia; e bisogna fare attenzione proprio alle scene in cui compare
Scaccia. L'ambiguità intesa nel senso che nessuno dei protagonisti è
positivo, il poliziotto è ambiguo, il protagonista (come gli
rimproverà il padre) non è né carne né pesce, né ladro né
onesto; la donna si presta volentieri a essere considerata una cosa e
lo dice apertamente. Quanto al ricco macellaio, in teoria è il più
sporco di tutti, ma quando ha in mano un'arma decide di non usarla e
ha perfino dei momenti di comprensione umana verso il prossimo.
Dal documentario citato ho preso queste
osservazioni su "La proprietà non è più un furto",
dettagli raccontati dai collaboratori di Petri e dagli stessi attori:
1) "l'attore è come un ladro",
e qui Flavio Bucci ruba a Tognazzi (macellaio) proprio i simboli del
suo mestiere e del suo successo: il coltello, la casa, l'automobile,
la donna... Gli attori "rubano" alle persone che
incontrano, e alla vita (la loro, e quella degli altri).
2) "l'avere distrugge l'essere":
nel film c'è una citazione esplicita sull'avere e sull'essere, Erich
Fromm era molto citato in quegli anni, se ne parlava molto, e questo
è un altro tema fondamentale per il film.
3) Tognazzi è un macellaio, come in
Brecht ma anche come in Slawomir Mrozek (Il mattatoio) e anche questo
è un simbolo molto evidente. Un macellaio molto ricco, facoltoso, e
anche disonesto. Il romanesco volutamente artefatto di Tognazzi (che
avrebbe sicuramente potuto farlo molto meglio) è un altro elemento
da non sottovalutare, un prendere le distanze, il sottolineare che
questo personaggio, pur reale, è un simbolo o una maschera; c'è
qualcosa che va oltre il personaggio in sè. Il capitalismo,
ambiguità, arroganza... Quando gli danno in mano un fucile per
sparare al ladro, Tognazzi non spara: non ne ha nessuna intenzione,
non è il suo ambito.
4) Vedere Tognazzi in questo film fa
pensare a "La tragedia di un uomo ridicolo" di Bertolucci;
direi che i due film sono speculari, forse è addirittura lo stesso
film. Con Bertolucci Tognazzi interpreta un allevatore di maiali, si
vedono le scene del macello, la preparazione delle salsicce, tutte
cose che in Petri vengono solo dette e rimangono lontane anche se ben
presenti. "L'uomo è un animale carnivoro" è la frase incisa sulle pareti della macelleria, vicina alla cassa. Nel film di Bertolucci c'è il sequestro del figlio, in
Petri il furto delle cose materiali.
5) il personaggio di Bucci, all'inizio,
è un bancario che è allergico al denaro; da qui parte la sua
ribellione, o meglio la sua ricerca di un autentico se stesso che
però non troverà. A un certo punto, dopo aver rubato molto, suo
padre (Salvo Randone) gli dirà: "non sei un ladro ma non sei
nemmeno onesto; e allora, cosa sei?". Nel documentario, a
proposito di questo dettaglio, si dice: "il denaro brucia".
(da "Appunti su un autore", 2005, documentario su Elio
Petri a cura di F. Bacci, N. Guarneri e S. Leone)
Gli attori: Ugo Tognazzi è il ricco
macellaio che ruba sul peso della carne, ma fa anche speculazioni
immobiliari, fa lavoro nero, evasione fiscale; truffa
l'assicurazione, corrompe i funzionari di banca, e altro ancora.
Daria Nicolodi è "la sua concubina" per usare la
definizione data dal poliziotto; nel suo monologo (ogni personaggio
ha un suo monologo, guardando in camera direttamente verso noi
spettatori) dice che lei è come se fosse una cosa, che è stata
comperata come i pelati al negozio, e ride verso noi spettatori,
l'essere considerata una cosa non le dispiace.
Flavio Bucci (un grande attore di cui
ci si dimentica troppo spesso) è il protagonista, Salvo Randone è
suo padre, anche lui bancario ma in pensione. Qui Randone è un po'
defilato rispetto agli altri film di Elio Petri, ma le sue battute
sono importanti e Petri gli affida la chiusura del film. Orazio
Orlando è l'ispettore di polizia, parte importante e che va
ricollegata in parte a "Indagine su un cittadino al di sopra di
ogni sospetto"; ma è Tognazzi quello che somiglia Volontè
ispettore di polizia per Petri, le basette e la pettinatura identici
a quelli di Volonté in "Indagine", anche molte sue
espressioni nei primi piani. E infine Mario Scaccia, che nel film è
attore di teatro ma anche abilissimo scassinatore, ladro sopraffino;
lo vediamo in teatro nel numero del cabarettista metà uomo e metà
donna, un'ambiguità che non è solo sessuale, tutt'altro: qui il
sesso è solo un depistaggio dell'autore. Nel dipinto all'inizio del
film il volto di Scaccia è proprio come in questo numero comico,
diviso verticalmente a metà (come in Calvino, "Il visconte
dimezzato" ?). Mario Scaccia è un altro grande attore di
teatro, utilizzato poco e male dal cinema italiano: qui si ha un'idea
di cosa avrebbe potuto fare, magari anche solo con uno sguardo. Nel
film c'è anche Gigi Proietti: appare nel finale, e a lui spetta il
discorso in lode dei ladri, modellato sul Bruto di Shakespeare. Un
altro monologo notevolissimo, tenuto per il funerale di Albertone (il
personaggio di Mario Scaccia). In piccoli ruoli si vedono anche Elena
Fabrizi, sorella di Aldo (all'inizio, cliente di Tognazzi al negozio)
ed Ettore Garofolo, che fu protagonista di "Mamma Roma" con
Pasolini (è uno degli "allievi" di Mario Scaccia).
Il film è molto bello nelle immagini,
magnifici i colori (ricorda molto "Partner" di Bertolucci,
o i film di Ferreri di quegli anni, come "Dillinger è morto").
Il direttore della fotografia è Luigi Kuveiller; notevole anche la
musica di Ennio Morricone.
Altre note prese durante la visione: 1)
Tognazzi ha in casa un quadro di Campigli 2) oggi ci sono le macchine
che contano le banconote, il lavoro di Flavio Bucci non esiste più.
3) si può notare la brillantina sui capelli del poliziotto Orazio:
oggi c'è chi usa il gel, che unge di meno e ha la stessa funzione,
ma all'uscita del film era roba da vecchi, completamente fuori moda
4) molti marmi nella macelleria, come era normale, ma molti marmi
anche in casa del macellaio, marmi ovunque che danno un aspetto
piuttosto cimiteriale. 5) non ho trovato l'elenco dei posti dove è
stato girato il film, ed è un peccato. 6) nella scena in cui
Scaccia va a rubare le pellicce, si vede per un istante il
bigliettino del metronotte. I metronotte oggi sono stati sostituiti
dalle guardie giurate, ma erano una presenza molto comune; passavano
una volta o due davanti ai bar e ai negozi, davano un'occhiata che
tutto fosse in ordine e lasciavano il bigliettino a testimonianza del
loro passaggio, così il cliente sapeva che il controllo era stato
effettuato. Nel film, il metronotte strizza l'occhio al ladro. (Un
metronotte è descritto con simpatia da Carlo Emilio Gadda in "La
cognizione del dolore", all'inizio) 7) la cravatta dei bancari:
"posso tenere i guanti?" chiede Flavio Bucci al suo capo,
che gli risponde; "sì, basta che non tolga la cravatta".
Giacca e cravatta, e camicia bianca, erano d'obbligo in banca e anche
in molte altre ditte. 8) ci sono riferimenti alla morte di Pinelli e
alla strage di Piazza Fontana a Milano, del 1969, nella scena in cui
muore Albertone, in questura. Le preoccupazioni dell'ispettore di
polizia sono riferibili a ciò che successe a Milano con Pinelli. 9)
infine, "la proprietà è una malattia, non un furto": lo
dice Flavio Bucci, verso il finale, con riferimento alla sua allergia
- ma non solo.
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