venerdì 15 novembre 2019

La proprietà non è più un furto


La proprietà non è più un furto (1973) Regia di Elio Petri. Scritto da Elio Petri e Ugo Pirro. Fotografia di Luigi Kuveiller. Musiche di Ennio Morricone. Interpreti: Ugo Tognazzi, Flavio Bucci, Daria Nicolodi, Salvo Randone, Mario Scaccia, Orazio Orlando, Elena Fabrizi, Ada Pometti, Cecilia Polizzi, Julien Guiomar, Jacques Herlin, Ettore Garofolo, e altri. Durata: due ore

"La proprietà non è più un furto" è un film del 1973, che arriva dopo "La classe operaia va in paradiso" e precede "Todo modo". E' uno dei film più duri e difficili che ho incontrato, del tutto scomparso dalla programmazione tv, una vera e propria censura non tanto politica e nemmeno per il sesso (figuriamoci, con tutto quello che passa in tv a ogni ora...) ma dovuta proprio alla difficoltà e alla durezza della narrazione. Il film all'uscita fu vietato ai minori di 18 anni, non so se il divieto persista ancora ma in ogni caso sarebbe ora di lasciar perdere quel divieto, visto e considerato che i condannati per truffa ai danni dello Stato, qui da noi, vanno ogni sera al telegiornale a spiegare cosa fare per raddrizzare l'Italia. E' un effetto che Elio Petri e Ugo Pirro (autori del soggetto e della sceneggiatura) non potevano prevedere, sta di fatto che gli italiani votano da decenni, e con sempre maggior seguito, per partiti fondati da condannati in via definitiva al carcere per corruzione, per mafia, per evasione fiscale, o magari per essersi intascati i soldi dei loro stessi elettori. Davanti a questi fenomeni, il Tognazzi protagonista di questo film sembra una mammoletta.


Il soggetto è questo: un impiegato di banca (Flavio Bucci), stufo di contare i soldi degli altri e per di più allergico al denaro, decide di passare all'azione. La sua vittima sarà dapprima un ricco macellaio (Ugo Tognazzi), poi andrà a cercare un ladro vero e proprio, un artista del furto (Mario Scaccia), ma la storia finirà male. Finirà male per il povero impiegato, s'intende, e per il suo maestro: i ladri veri se la passano benissimo e il film si concluderà con un monologo paradossale sulla necessità sociale dell'esistenza dei ladri, recitato da Gigi Proietti. Come faremmo senza i ladri, cosa sarebbe della nostra società senza chi ruba?


"La proprietà non è più un furto" fu accolto malissimo, sia dalla critica che dal pubblico, e anche dagli intellettuali. Penso che lo abbiano capito in pochi, e che tra quei pochi che l'hanno capito molti se la siano presa a male. Gli operai e la FIOM (il sindacato dei metalmeccanici), a cui fu presentato in anteprima, contestarono duramente Petri; che d'altra parte scriverà cose come questa, presa da un bel documentario a lui dedicato:
«Nell'ultimo periodo della mia vita io ho fatto film sgradevoli. Sì, film sgradevoli in una società che ormai chiede gradevolezza a tutto, persino all'impegno. I miei film, al contrario, oltrepassano addirittura il segno della sgradevolezza. A cosa è imputabile tutto questo? Perché faccio film così? Evidentemente, è per una netta sensazione di essere arrivato al punto in cui mi pare che tutte le premesse che c'erano quando io ero ragazzo si siano proprio vanificate. La società ha preso tutto un altro indirizzo, e in me questo non poteva non lasciare una traccia profonda.»
(da "Appunti su un autore", 2005, documentario su Elio Petri a cura di F. Bacci, N. Guarneri e S. Leone)
Sgradevole, come l'omino di Altan viene da dire; e forse è stata una fortuna per Petri che gli sia stato risparmiato quello che è arrivato dopo. Per mia fortuna avevo messo da parte questo ottimo documentario su Elio Petri (realizzato da F. Bacci, N. Guarneri e S. Leone nel 2005) e sono riuscito a prendere qualche punto di riferimento.

Direi che su tutto domina l'ambiguità, a partire dai titoli di testa (un dipinto di Renzo Vespignani con i volti degli attori) dove al centro c'è il volto di Mario Scaccia, diviso a metà dal trucco. In questo film, infatti, non è Salvo Randone (che pure è presente) il personaggio chiave, ma è proprio Scaccia; e bisogna fare attenzione proprio alle scene in cui compare Scaccia. L'ambiguità intesa nel senso che nessuno dei protagonisti è positivo, il poliziotto è ambiguo, il protagonista (come gli rimproverà il padre) non è né carne né pesce, né ladro né onesto; la donna si presta volentieri a essere considerata una cosa e lo dice apertamente. Quanto al ricco macellaio, in teoria è il più sporco di tutti, ma quando ha in mano un'arma decide di non usarla e ha perfino dei momenti di comprensione umana verso il prossimo.

Dal documentario citato ho preso queste osservazioni su "La proprietà non è più un furto", dettagli raccontati dai collaboratori di Petri e dagli stessi attori:
1) "l'attore è come un ladro", e qui Flavio Bucci ruba a Tognazzi (macellaio) proprio i simboli del suo mestiere e del suo successo: il coltello, la casa, l'automobile, la donna... Gli attori "rubano" alle persone che incontrano, e alla vita (la loro, e quella degli altri).
2) "l'avere distrugge l'essere": nel film c'è una citazione esplicita sull'avere e sull'essere, Erich Fromm era molto citato in quegli anni, se ne parlava molto, e questo è un altro tema fondamentale per il film.
3) Tognazzi è un macellaio, come in Brecht ma anche come in Slawomir Mrozek (Il mattatoio) e anche questo è un simbolo molto evidente. Un macellaio molto ricco, facoltoso, e anche disonesto. Il romanesco volutamente artefatto di Tognazzi (che avrebbe sicuramente potuto farlo molto meglio) è un altro elemento da non sottovalutare, un prendere le distanze, il sottolineare che questo personaggio, pur reale, è un simbolo o una maschera; c'è qualcosa che va oltre il personaggio in sè. Il capitalismo, ambiguità, arroganza... Quando gli danno in mano un fucile per sparare al ladro, Tognazzi non spara: non ne ha nessuna intenzione, non è il suo ambito.
4) Vedere Tognazzi in questo film fa pensare a "La tragedia di un uomo ridicolo" di Bertolucci; direi che i due film sono speculari, forse è addirittura lo stesso film. Con Bertolucci Tognazzi interpreta un allevatore di maiali, si vedono le scene del macello, la preparazione delle salsicce, tutte cose che in Petri vengono solo dette e rimangono lontane anche se ben presenti. "L'uomo è un animale carnivoro" è la frase incisa sulle pareti della macelleria, vicina alla cassa. Nel film di Bertolucci c'è il sequestro del figlio, in Petri il furto delle cose materiali.
5) il personaggio di Bucci, all'inizio, è un bancario che è allergico al denaro; da qui parte la sua ribellione, o meglio la sua ricerca di un autentico se stesso che però non troverà. A un certo punto, dopo aver rubato molto, suo padre (Salvo Randone) gli dirà: "non sei un ladro ma non sei nemmeno onesto; e allora, cosa sei?". Nel documentario, a proposito di questo dettaglio, si dice: "il denaro brucia". (da "Appunti su un autore", 2005, documentario su Elio Petri a cura di F. Bacci, N. Guarneri e S. Leone)
 

Gli attori: Ugo Tognazzi è il ricco macellaio che ruba sul peso della carne, ma fa anche speculazioni immobiliari, fa lavoro nero, evasione fiscale; truffa l'assicurazione, corrompe i funzionari di banca, e altro ancora. Daria Nicolodi è "la sua concubina" per usare la definizione data dal poliziotto; nel suo monologo (ogni personaggio ha un suo monologo, guardando in camera direttamente verso noi spettatori) dice che lei è come se fosse una cosa, che è stata comperata come i pelati al negozio, e ride verso noi spettatori, l'essere considerata una cosa non le dispiace.
Flavio Bucci (un grande attore di cui ci si dimentica troppo spesso) è il protagonista, Salvo Randone è suo padre, anche lui bancario ma in pensione. Qui Randone è un po' defilato rispetto agli altri film di Elio Petri, ma le sue battute sono importanti e Petri gli affida la chiusura del film. Orazio Orlando è l'ispettore di polizia, parte importante e che va ricollegata in parte a "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto"; ma è Tognazzi quello che somiglia Volontè ispettore di polizia per Petri, le basette e la pettinatura identici a quelli di Volonté in "Indagine", anche molte sue espressioni nei primi piani. E infine Mario Scaccia, che nel film è attore di teatro ma anche abilissimo scassinatore, ladro sopraffino; lo vediamo in teatro nel numero del cabarettista metà uomo e metà donna, un'ambiguità che non è solo sessuale, tutt'altro: qui il sesso è solo un depistaggio dell'autore. Nel dipinto all'inizio del film il volto di Scaccia è proprio come in questo numero comico, diviso verticalmente a metà (come in Calvino, "Il visconte dimezzato" ?). Mario Scaccia è un altro grande attore di teatro, utilizzato poco e male dal cinema italiano: qui si ha un'idea di cosa avrebbe potuto fare, magari anche solo con uno sguardo. Nel film c'è anche Gigi Proietti: appare nel finale, e a lui spetta il discorso in lode dei ladri, modellato sul Bruto di Shakespeare. Un altro monologo notevolissimo, tenuto per il funerale di Albertone (il personaggio di Mario Scaccia). In piccoli ruoli si vedono anche Elena Fabrizi, sorella di Aldo (all'inizio, cliente di Tognazzi al negozio) ed Ettore Garofolo, che fu protagonista di "Mamma Roma" con Pasolini (è uno degli "allievi" di Mario Scaccia).
Il film è molto bello nelle immagini, magnifici i colori (ricorda molto "Partner" di Bertolucci, o i film di Ferreri di quegli anni, come "Dillinger è morto"). Il direttore della fotografia è Luigi Kuveiller; notevole anche la musica di Ennio Morricone.


Altre note prese durante la visione: 1) Tognazzi ha in casa un quadro di Campigli 2) oggi ci sono le macchine che contano le banconote, il lavoro di Flavio Bucci non esiste più. 3) si può notare la brillantina sui capelli del poliziotto Orazio: oggi c'è chi usa il gel, che unge di meno e ha la stessa funzione, ma all'uscita del film era roba da vecchi, completamente fuori moda 4) molti marmi nella macelleria, come era normale, ma molti marmi anche in casa del macellaio, marmi ovunque che danno un aspetto piuttosto cimiteriale. 5) non ho trovato l'elenco dei posti dove è stato girato il film, ed è un peccato. 6) nella scena in cui Scaccia va a rubare le pellicce, si vede per un istante il bigliettino del metronotte. I metronotte oggi sono stati sostituiti dalle guardie giurate, ma erano una presenza molto comune; passavano una volta o due davanti ai bar e ai negozi, davano un'occhiata che tutto fosse in ordine e lasciavano il bigliettino a testimonianza del loro passaggio, così il cliente sapeva che il controllo era stato effettuato. Nel film, il metronotte strizza l'occhio al ladro. (Un metronotte è descritto con simpatia da Carlo Emilio Gadda in "La cognizione del dolore", all'inizio) 7) la cravatta dei bancari: "posso tenere i guanti?" chiede Flavio Bucci al suo capo, che gli risponde; "sì, basta che non tolga la cravatta". Giacca e cravatta, e camicia bianca, erano d'obbligo in banca e anche in molte altre ditte. 8) ci sono riferimenti alla morte di Pinelli e alla strage di Piazza Fontana a Milano, del 1969, nella scena in cui muore Albertone, in questura. Le preoccupazioni dell'ispettore di polizia sono riferibili a ciò che successe a Milano con Pinelli. 9) infine, "la proprietà è una malattia, non un furto": lo dice Flavio Bucci, verso il finale, con riferimento alla sua allergia - ma non solo.


 
 
 

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