Quella sulle serie tv "belle come
il cinema" è una frase che si è letta e ascoltata spesso negli
ultimi anni, un po' in tutti i contesti (giornali,tv, radio,
internet...). Io l'ho sempre considerata come uno slogan
promozionale, soprattutto in orbita Netflix, e mi limitavo a
un'alzata di spalle perché so da tempo che contano gli autori
(attori, registi, sceneggiatori) più che il formato; ma ormai questa
frase è obsoleta, quasi scomparsa dalla circolazione perchè si dà
il fatto per scontato, "tutti guardano le serie tv" e la
questione non esiste nemmeno più. Dato che io non faccio parte di
quel "tutti" posso scrivere qualche riflessione in merito.
I nuovi canali tv, da Netflix a Tim
Vision a Raiplay (fate voi), basano la loro campagna per gli
abbonamenti quasi soltanto sulle serie tv; e mi sta bene, ma prima di
spendere soldi per abbonarmi ho cercato di capire quali altri film
avessero in archivio, Sky compresa, e non ci sono riuscito. Non si
usa più fare un elenco per titolo o per autore, così che basti un
motore di ricerca interno per vedere se nel catalogo c'è quello che
sto cercando; ci sono le "promozioni" e le spiegazioni, un
riassuntino della trama, un'immagine a caso, e soprattutto si dà per
scontato che a tutti interessi solo quella data cosa e non altro. E'
un po' la replica del sistema utilizzato dalle tv del digitale
terrestre (Iris, RaiMovie, etc), in prima serata "quello che
guardano tutti" e il resto, capolavori compresi, a notte fonda o
alle sei del mattino, da usare come riempitivo. Eppure, anche con i
film del passato si può fare audience e molti canali youtube lo
dimostrano.
E' una mentalità diffusissima e
invasiva, applicata anche al passato: facendo una ricerca su Raiplay
trovo scritto cose come "Michelangelo prima serie",
"Leonardo prima serie", "Vita di Dante prima serie",
come se fosse Beautiful, cioè come se dopo aver raccontato la vita
di Dante, Michelangelo e Raffaello i nostri eroi potessero continuare
a vivere nuove avventure in un sequel. Viene da dire: magari ci fosse
stata la possibilità di girare un seguito sulla vita di Leonardo...
Le serie tv, o i telefilm, chiamateli
come volete - in realtà conta chi c'è dietro, se è un autore vero
anche la soap opera o la telenovela o lo sceneggiato possono essere
dei capolavori, dipende sempre da chi li fa - in verità ci sono
sempre state, e i registi del cinema d'autore che hanno girato per la
tv o in modo seriale film e sceneggiati sono molti, alcuni dei quali
hanno realizzato autentici capolavori. Qualche titolo: "Heimat"
di Edgar Reitz, "Decalogo" di Kieslowski, il Francesco Rosi
di "Cristo si è fermato a Eboli", "I Clowns" e
"Prova d'orchestra" di Fellini, "Padre padrone"
dei Taviani, "L'albero degli zoccoli" e tutti i film di
Ermanno Olmi, l'elenco è lunghissimo e parte da lontano, sicuramente
dagli anni '70 in cui la Rai fece incetta di premi a Cannes e in
tutti i principali festival del cinema nel mondo. Questi film
uscivano al cinema, anche quelli di dodici ore, ma per la tv si è
sempre lavorato e con ottimi risultati. Lavorare non su un film di
un'ora e mezza ma su sei o dodici ore può essere un'ottima cosa, se
vuoi fare Tolstoi per esempio, e anche questa non è una novità (la
si spaccia per novità, ma così non è) ma devi avere delle idee e
saperle portare avanti, e questo con le "serie tv" non
sempre succede.
Ho visto molti telefilm "a
puntate": da bambino mi piaceva "Rin tin tin", poi
"Forte Coraggio", che era divertente, uno dei miei
preferiti; e molti altri telefilm sia da bambino che da adulto. C'era
però una caratteristica costante: dopo le prime dieci puntate
cominciavano ad essere meno belli. Gli autori, dopo aver bene
impostato i personaggi, dopo un po' non sapevano più cosa fargli
fare, e si vedeva. Un po' meglio andava con serie come Bonanza, che
però a un certo punto dovette chiudere. Ho voluto rivedere di
recente una serie molto famosa, oggi si direbbe un "cult",
quella del "Prigioniero" con Patrick Mc Gowan, e ho
ritrovato le stesse impressioni avute negli anni '60 e '70: tutto
molto bello, l'idea originale, gli attori e le attrici, le
scenografie, i colori originali, le location, però dopo la prima
puntata tutto diventava molto ripetitivo e anche un tantino noioso.
La serie del "Prigioniero", con il protagonista
misteriosamente rapito e portato senza spiegazioni in un posto
piacevole ma dal quale non si poteva fuggire, di fatto non ebbe mai
un finale. Per essere più precisi: il finale esiste, ma è deludente
e sembra appiccicato lì per esigenze di produzione. La stessa
sensazione l'ho provata in anni recenti con "Lost": tutto
bello, attori, location, idee di partenza (non siamo molto distanti
dal "Prigioniero") ma a un certo punto mi sono chiesto se
mi stavano prendevano in giro e ho lasciato perdere. Sensazioni
simili le ho avute con i telefilm "Ufo" degli anni '70, e
anche con "Star Trek" che ho sempre trovato molto
ripetitivo (parlo dei telefilm). Insomma, personalmente preferisco
che ci sia un inizio, uno svolgimento e una conclusione; e in questo
avere un limite di tempo aiuta, a meno che non si tratti di Guerra e
Pace e di altre storie che non si possono comprimere in un'ora e
mezza. Ma qui siamo nel campo dei pareri personali, come è ovvio;
liberi di farvi piacere le serie tv e di passare la vostre vite
davanti al "Trono di spade", se a voi piace.
Intervistati, attori e registi
importanti di cinema e di teatro dicono che sono felici di lavorare
per la tv, che offre loro tante possibilità, eccetera: non so quanto
siano sinceri. La realtà è che si tratta di lavoro, le nuove
generazioni non vanno più al cinema, se vuoi fare l'attore il lavoro
è questo qui, da qui arrivano i soldi: non dal teatro né dal cinema
ma dalle serie tv. O fai le serie tv, o cambi mestiere, magari ti
tocca anche di andare a lavorare. Se a Scorsese o ai fratelli Coen
arrivano offerte da Netflix, cosa vuoi che facciano? Se Jude Law e
Cate Blanchett ricevono ricche offerte per recitare in una serie tv,
vuoi forse che si tirino indietro? La stessa cosa ho pensato di
recente per la musica, con il violoncellista Mario Brunello che -
unico tra i grandi concertisti - si è dichiarato favorevole allo
streaming: lì per lì sono rimasto perplesso, da lui non me lo
aspettavo, ma poi ho concluso che è lo streaming che ti dà i soldi,
ormai, e che probabilmente è questa la ragione della presa di
posizione di Brunello, così come dei Coen e di Scorsese nei loro
rispettivi ambiti. Bisogna pur guadagnare, per andare avanti, a meno
che non si sia ricchi di famiglia.
Concludo con alcuni estratti da
un'intervista recente con un'esperta del genere, che mi sembrano
significativi; questa intervista mette in evidenza la mancanza di una
vera critica, sostituita da fans militanti e da uffici stampa. C'è
da fidarsi? Io direi di no, e anche se so di lasciare qualcosa di bello
per strada, non ho voglia di perdere tempo con queste cose. Prima di
chiudere ricordo per un istante "Beautiful" e "Un
posto al sole", che guardavo per fare compagnia a mia mamma,
dove mi toccava constatare con sgomento che da un giorno con l'altro
i bambini diventavano ventenni e i loro genitori passavano da
ventenni a quarantenni e poi subito nonni. Letteralmente, da una
puntata all'altra, come se fosse una cosa normale. Per il resto, "Friends",
"Happy Days"... se vi piace guardateli pure, io vado a fare
qualcos'altro.
Intervista con Emily
Nussbaum
di Riccardo Staglianò, La
Repubblica 29 maggio 2020
La televisione era
spazzatura. Peggio, era «gomma da masticare per gli occhi», secondo
la definizione splendidamente feroce del critico teatrale John Mason
Brown. Intrattenimento sempre, arte mai. Un ingombrante pezzo di
mobilio. Un medium senza speranza dove «la volgarità è innalzata a
potere. Il potere viene abbassato verso la volgarità» sentenziava
nel 1980 sul NewYorker George W.S. Trow. Epperò insidioso: «Un
additivo sospetto che le aziende avevano aggiunto all'acqua corrente
della cultura, un elemento in grado di indebolire la spina dorsale
dello spirito» ricorda oggi Emily
Nussbaum, che della medesima rivista è stata a lungo critica
televisiva, premio Pulitzer e autrice degli articoli di intelligenza
pirotecnica raccolti in "Mi piace guardare" (minimum fax).
Poi sono successe delle cose. Era il 1999 ed è arrivata I Soprano,
«una serie per adulti, qualcosa di cui vantarsi e non scusarsi. E fu
quella che definì il modello di “televisione di qualità".
(...) « I Soprano enfatizzava l’immaginario più che l'azione, i
personaggi più che la trama, attraverso linee narrative spesso
lasciate in sospeso a vantaggio della costruzione della storia. Dava
l'impressione di un romanzo e sembrava un film».
(mio commento
personalissimo: "I Soprano" mi è sempre sembrato una
sequenza di luoghi comuni e rimasticature; questo può essere un mio
parere discutibile come tutti i pareri, ma quelle della Nussbaum sono
definizioni da ultrà, da fan sfegatati, senza riscontri e senza
analisi; un "ipse dixit", anch'esse personalissime opinioni
più che discutibili).
« (...) cruciale è
stato il passaggio dal modello pubblicitario a quello degli
abbonamenti. Finché i soldi si facevano solo con gli spot servivano
programmi che garantissero un pubblico sufficientemente vasto
affinché chi produceva corn flakes o auto ritenesse vantaggioso
spendere una fortuna per raggiungerlo. Non si poteva osare troppo,
perché servivano numeri importanti. Quando invece si è cominciato a
pagare direttamente i canali con gli show si è potuto pensare di
fare anche una mini-serie per una nicchia. Perché il plurale di
nicchie fa comunque pubblico».
(a me sembra l'elogio
della Rai anni 50-70, ma anche dei giornali come L'Espresso o il
Manifesto, del cinema, dei giornali dell'Ottocento, eccetera; e
comunque si può ricordare che molti registi di cinema per ottenere
questa libertà decisero di fondare proprie case di produzione, da
Charlie Chaplin a Wim Wenders, la lista è lunga e ormai più che
centenaria)
- E' troppo dire che quel
passaggio ha coinciso con quello da protagonisti positivi ad
anti-eroi?
« Una vecchia regola tra
gli sceneggiatori era di non creare mai personaggi che non avremmo
voluto far entrare in casa nostra. Autori come David Chase (Soprano)
sono cresciuti odiando quelle regole e la tv che ne derivava. Ora
quella generazione ha vinto e lo spettro di personaggi che ci piace
vedere si è allargato a dismisura. Carrie Bradshaw (Sex & the
City) è stata la prima anti-eroina televisiva femminile. Tony
Soprano,WalterWhite di Breaking Bad, le spie di The Americans sono
tutte persone che, a cose normali, starebbero in prigione e non nel
nostro salotto. E invece li facciamo accomodare e gli offriamo anche
da bere».
(mie osservazioni:
queste cose c'erano già nel cinema degli anni '30, storie di
gangsters e di banditi si sono sempre fatte, anche in tv; e,
soprattutto: ma questi cosa leggono, cosa studiano, quante ore
passano davanti a scemenze, come si fa a vivere di sole cose come queste...)
- Lei scrive che un altro
agente di cambiamento è stato il pulsante "pausa" sul
telecomando, che ha
trasformato lo spettacolo
da un flusso a un testo...
« E' così. Prima c'erano
stati i videoregistratori ma era tutto molto laborioso. Quando è
stato facile fermare le immagini, risentire un passaggio, magari
cercare su internet un riferimento, di colpo nessuna storia è
diventata troppo complessa o audace da far digerire. I dialoghi
pensati da David Simon per The Wire erano così densi che non
sarebbero stati concepibili senza la possibilità di fermarsi un
attimo. E no, vi assicuro, non è una cosa che fanno solo i critici o
i fan ossessivi. Da onanistica qual era, guardare la tv é diventata
una pratica molto più sociale».
(ripeto: ma da dove
vengono, dove vivono, cosa fanno, quanti anni hanno? con le vhs e con
i dvd era già possibile tornare indietro e mettere in pausa un film
già trent'anni fa...sembra che stiano dicendo che oggi "anche
un cretino può farlo") (e io che guardavo Bergman e Kurosawa e
Tarkovskij al cinema, in sala, al buio, senza la possibilità di
fermarsi e rivedere: forse oggi manca la capacità di capire un film
dall'inizio alla fine, manca la concentrazione necessaria, non si
riesce a stare attenti più di dieci minuti di fila, è questo che
stanno dicendo?...)
(...)
- E com'è possibile
allora che dalla raccolta sia rimasto fuori Breaking Bad? E il suo
prequel Better Call Saul?
«Ahahaha! Un po'
rimpiango di non averla inclusa. Avevo cominciato a scriverne quando
poi mi è venuta un'idea per un saggio su Archie Bunker, protagonista
di una grandiosa vecchia serie, che mi ha dato modo di affrontare il
tema dei "bad fan", i"fan cattivi", ovvero quelli
che tifano spudoratamente perché il protagonista continui a fare
cose riprovevoli, come per White vendere metanfetamina. E non volevo
ripetermi! A dire tutta la verità, ho un problema con il finale
della serie: è come se gli autori si fossero innamorati troppo della
loro creatura, in una sorta di transfert psicoanalitico che non mi ha
convinto. Per non dire dell'altro problema con Skylar, la moglie.
Insomma, riconosco che è una grande serie, ma con alcune riserve.
Quanto a BCS, non ho amato la prima stagione e mi sono arenata. Poi
mi è capitato di sentire amici che mi invitavano a riprovare,
dicendo che avevano anche risolto alcuni dei punti critici di BB,
incluso migliorare lo spessore dei personaggi femminili. Se me lo
dice anche lei magari ci riproverò!».
(mi viene da dire: "ma,
e andare a lavorare?". La maggior parte della gente lavora, ha
una vita oltre la tv, ma questa qui non sa cos'è una fabbrica...)
(sono sorpreso che un bravo giornalista come Staglianò si presti a
queste cose, e se questa è davvero Emily Nussbaum significa che il
livello della critica è davvero infimo, e se danno poi il Pulitzer a
una così...) (mamma mia)
(nelle immagini, dall'alto: un fotogramma da "Good morning" di Yasujiro Ozu, 1959; "The prisoner" con Patrick Mc Gowan; Larry Storch e Melodie Patterson in "Forte Coraggio"; Bonanza; Get Smart; Fame-Saranno famosi; dell'ultima non ricordo il titolo italiano, è un antenato di "Friends" che ebbe molte riprese e molto successo)