Il seme dell'uomo (1969) Regia Marco
Ferreri. Soggetto Marco Ferreri. Sceneggiatura Marco Ferreri e
Sergio Bazzini. Fotografia Mario Vulpiani. Musiche e canzoni di Teo
Usuelli; coro atto terzo dal Nabucco di Giuseppe Verdi. Interpreti:
Anne Wiazemsky (Dora), Marco/Marzio Margine (Cino), Annie Girardot
(la straniera), Rada Rassimov (donna bionda a seguito del Maggiore),
Maria Teresa Piaggio (donna riccia a seguito del Maggiore), Milvia
Frosini (il prete-Maggiore), Angela Pagano (la suora-militare),
Adriano Aprà (il giornalista televisivo), Mario Vulpiani (elicotterista), Vittorio Armentano (il tecnico scienziato
bruno), Luciano Odorisio (il tecnico scienziato biondo), Sergio
Giussani (l'elicotterista con la bottiglia di whisky), Mario Bagnato
(il militare spagnolo), Marco Ferreri (il padrone di casa, morto).
Durata 113 min
"Il seme dell'uomo" è uno
dei film più difficili di Ferreri, che spiega bene anche il
pessimismo di "Dillinger è morto", uscito l'anno prima e
citato indirettamente con l'apparizione per pochi istanti della colt
verniciata da Michel Piccoli. La presunzione e l'ignoranza dell'uomo
portano a una catastrofe, e due dei sopravvissuti (Marzio Margine e
Anne Wyazemsky), una coppia, non potendo più continuare il loro
viaggio, e costretti a fermarsi nel luogo dove sono rimasti bloccati,
iniziano a costruire un museo degli oggetti del passato; è
soprattutto lui che ci tiene, ed è lui che vorrebbe anche avere dei
figli, cioè vorrebbe la prosecuzione della razza umana. La donna,
invece, è disponibile al sesso ma si rifiuta di procreare.Quando
alla fine l'uomo riesce a fecondarla, dopo averla narcotizzata (lui
ha nozioni di erboristeria), ecco che un'esplosione, forse una mina
residua, li uccide entrambi. Il seme dell'uomo, quindi, va perduto;
la presunzione umana, ancora una volta, è soggetta ai capricci (o al
disegno) della Natura. Quasi un'operetta morale di Leopardi, però
con molto divertimento e con bei colori, dovuti all'arredamento e
soprattutto alla bellissima fotografia di Mario Vulpiani, che qui
compare brevemente anche come attore, pochi secondi. E' ottima anche
la scelta delle musiche e delle canzoni, magari non belle ma sempre
molto appropriate; si ascolta anche il coro atto terzo dal Nabucco di Giuseppe Verdi.
Marzio Margine è un attore di teatro,
poco presente al cinema; ascoltato in teatro ha una voce gradevole ma
molto acuta e qui sembrerebbe doppiato, ma non ho trovato
informazioni in proposito (manca anche il nome degli altri
doppiatori). Una cosa curiosa è che sui titoli di testa c'è scritto
Marco, e non Marzio; non saprei dire perché. Il suo personaggio si
fa crescere la barba in modo da somigliare a Marco Ferreri, e finisce
con il sembrare quasi identico a lui. Lo stesso Ferreri appare
brevemente, alla Hitchcock: è il padrone della villa-museo, anche
lui morto per l'epidemia. I due giovani lo seppelliranno e andranno a
vivere nella sua casa, all'inizio del film.
Anne Wyazemsky, attrice per Bresson e
per Godard (e per molto altro) appare meno magra, più piena e più
bella; come terza protagonista c'è Annie Girardot nel ruolo della
bella intrusa straniera che va a turbare l'intesa di coppia (la
Wyazemsky le farà fare una brutta fine, ma era stata assalita).
Ci sono brevissime apparizioni di
componenti della troupe, come Mario Vulpiani (presentato con il suo
nome e cognome) e Luciano Odorisio; il critico Adriano Aprà appare
come lettore dell'ultimo telegiornale. Nel cast anche personaggi
curiosi come un prete che è anche un maggiore, la religione
militarizzata: lo interpreta una donna doppiata con voce maschile
(l'attrice si chiama Milvia Frosini). Il prete-maggiore, che arriva a
cavallo insieme ai butteri maremmani (il film è girato a Capalbio)
sembra molto rigido e severo, dice che adesso ogni donna deve essere
fecondata per garantire la prosecuzione del genere umano, ma poi
approva l'idea della casa-museo, nomina Cino come gestore e si mostra
molto gentile prima di ripartire.
Notevole anche la balena, una grande
carcassa spiaggiata che entusiasma lui, pieno di riferimenti
letterari (Moby Dick, Pinocchio), e invece preoccupa lei: "tra
poco qui non potremo più stare", dice Dora e così succederà.
La donna ha colto al volo la realtà, l'uomo non ha capito cosa succede e gioca con fantasie e illusioni destinate a crollare nella vita quotidiana (è una nota di Ferreri per la prima proiezione del film alla Rai).
Alla fine, della carcassa della balena divorata dai gabbiani rimarrà
un grande scheletro, ma prima la putrefazione della grande massa
spingerà i due a cercare un'altra casa (ma torneranno, nel finale).
"Il seme dell'uomo" ha
immagini nitide e belle, molta luce, colori brillanti, tutto in
contrasto con la sgradevolezza (cannibalismo compreso) tipica di
Ferreri e del suo pessimismo, che qui appare molto attenuata. C'è
un'emergenza, ma il tono del film è disteso e rilassato, quasi non
sembra, anche i poliziotti sono gentili ed educati, quieti; curano i
morenti meglio che possono, tolgono solo l'auto ai due protagonisti
ma quasi sembra dispiacergli.
Il rapporto di coppia, la coppia
lasciata sola a se stessa in un posto deserto, fa pensare a un altro
film di Ferreri, "La cagna" (con Mastroianni e Catherine
Deneuve, 1972), la grande balena spiaggiata rimanda alla grande
scimmia di "Ciao maschio" (sempre Ferreri, 1978) anch'essa
a suo modo "spiaggiata".
Altri appunti presi durante la visione:
1) le cascate, con i fanghi curativi, nel finale. 2) il "conteggio"
davanti alla balena, nella scena a tre con la Girardot, serviva per
calcolare il tempo necessario per lo sviluppo delle fotografie
Polaroid, a sviluppo immediato. 3) i pupazzi di plastica, sempre nel
finale, che poi Cino seppellisce in mare. 4) un'automobile ritrovata
viene trascinata con i cavalli nella casa-museo: ormai l'automobile è del tutto inutile e servirà solo per il museo degli oggetti ritrovati dopo la catastrofe 5) il maggiore-prete
usa una scatola per il trucco al posto dell'inchiostro, per scrivere;
il pennello per il fard serve da penna. 6) ancora nel finale, Anne
Wyazemsky truccata come la Primavera di Botticelli.
Nel film ci sono molte sequenze
documentarie, che iniziano fin dalla sequenza sui titoli di testa. Le
musiche sono di Teo Usuelli, collaboratore abituale di Ferreri; dal
Nabucco di Giuseppe Verdi si ascolta il celebre "Va' pensiero"
sulle immagini dell'ultimo telegiornale, una versione quasi integrale
e in una registrazione che si direbbe piuttosto antica, ma sulla
quale mancano indicazioni. Gli esterni sono a Capalbio, Forte
Macchiatonda, e in un autogrill nelle sequenze iniziali.
Un film da rivedere e da ripensare, che
è diventato nel frattempo (purtroppo) di grande attualità: non è
un bel mondo quello in cui stiamo vivendo, con la riesumazione del
nazifascismo e con la distruzione dell'ambiente in cui viviamo. La
cosa più triste, però, è che di tutto questo la gente sembra non
preoccuparsi; e il sorriso sempre sulle labbra di Cino (Marzio Margine)
è il dettaglio che più mi è rimasto nella memoria alla fine della
visione.
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