giovedì 26 settembre 2019

Mon cas (Manoel de Oliveira)

 

Mon cas (1986) Regia di Manoel de Oliveira. Soggetto di Josè Règio. Estratti da Samuel Beckett e dal Libro di Giobbe. Adattamento e sceneggiatura di Manoel de Oliveira. Fotografia di Mario Barroso. Musiche di Joao Paes. Scenografia di Maria Josè Branco e Luis Monteiro. Costumi di Jasmim de Matos. Interpreti: Luis Miguel Cintra (l'intruso e Giobbe), Bulle Ogier (la prima attrice e la moglie di Giobbe), Axel Bougousslavsky (l'inserviente del teatro e Elifaz); Fred Personne (l'autore e Bildad), Wladimir Ivanovskij (lo spettatore e Zofar), Gregoire Ostermann (il proiezionista e Eliu), Heloise Mignot (la seconda attrice), Henri Serre (voce off), e molti altri. Durata: 87 minuti.
 
 
"Mon cas" è un film stupefacente, divertente e profondo, che lascia senza parole. Girato da un vero Maestro del cinema, termina con un finale magnifico, una delle sequenze più belle e più grandi nella storia del cinema, dove la scenografia ricostruisce il dipinto della Città Ideale conservato a Urbino (1480 circa, autore ignoto).
Si inizia in teatro, con un uomo (Luis Miguel Cintra) che fa irruzione sul palcoscenico vuoto, trafelato, scomposto, elegante ma con una giacca troppo grande per lui, dentro una scenografia liberty molto ben fatta, e si rivolge a noi (al pubblico) con queste parole:
« Signore e signori, il mio ingresso vi avrà sorpresi e avete ragione perché io non faccio parte della pièce. Ora vi spiego, in due parole, non c'è tempo da perdere. Ho saputo che il palcoscenico sarebbe rinasto deserto, sono riuscito a entrare dando uno spintone al guardiano (...) Come ben sapete, signore e signori, a teatro tutto è falso (...) tutto è commedia, tutto è teatro, sguazziamo nell'illusione come pesci nell'acqua (...) tutto è provvisorio, tutto è paccottiglia. Ed è qui che ha inizio il mio caso (...) »
 
Il suo caso , spiega, è importantissimo e riguarda tutti noi, dice che bastano due parole per raccontarlo ma poi parla d'altro, divaga, perde tempo, e viene infine raggiunto dal guardiano del teatro che cerca di portarlo via, perché la commedia sta per iniziare. Segue un alterco fra i due, interrotto dall'arrivo della prima attrice (Bulle Ogier), che avevamo già ascoltato in voce nei minuti iniziali del film, prima che facesse irruzione lo sconosciuto. La voce fuori campo diceva "m'ama, non m'ama", e ora prosegue sullo stesso tono perché sta preparando il suo monologo che fa parte di una commedia leggera, qualcosa tra Feydeau e Labiche. Intanto, l'inserviente e lo sconosciuto stanno ancora litigando: l'inserviente ha raccontato il suo caso, la moglie malata e i figli da mantenere, e ora rischia di essere licenziato per aver fatto entrare un intruso in teatro, e lo sconosciuto gli ribatte che è un caso banale, banalissimo, mentre il suo, il suo, invece...

 
Anche l'attrice entra nella discussione, che rischia di degenerare; arrivano poi l'autore della pièce, gli altri attori, infine uno spettatore, tutti parlano, tutti intenti a dire "io, io, io" nelle mille variazioni possibili del narcisismo quotidiano; alla fine cala il sipario. Cos'altro fare?

 
Cala il sipario, vediamo le due maschere del teatro greco (la tragedia e la commedia), si ricomincia da un secondo ciak dopo quello iniziale. Quello che vediamo è esattamente la stessa scena, ma in bianco e nero e senza sonoro. Si riparte da capo ma come se fosse un film muto in bianco e nero, gli stessi vaniloqui ma solo bocche e corpi che si agitano, resi ridicoli da una leggera accelerazione che evidenzia la mancanza di senso di ciò che fanno e dicono. Una voce fuori campo (Henri Serre) legge il testo di Samuel Beckett, tratto da "Pour finir encore et autres foirades":
Ho rinunciato prima di nascere. Non è possibile altrimenti. Doveva tuttavia nascere. Fu lui. Io ero dentro. E' così che io vedo la cosa. Ho rinunciato prima di nascere. Non è possibile altrimenti. (ripete) (qui musica e voci tipo Ligeti o Nono) E' così che io vedo la cosa. E' lui che ha gridato. E' lui che ha visto il giorno. Io non ho gridato. io non ho visto il giorno. E' impossibile che io abbia una voce. E' impossibile che io abbia dei pensieri. E parlo e penso. Faccio l'impossibile. Non è possibile altrimenti. (ripete) E' lui che ha vissuto. Io non ho vissuto. Ha vissuto male per causa mia. Lo racconterò, racconterò la sua morte. Mano a mano. Al presente. (ripete) La sua morte da sola non basterebbe. Non mi basterebbe. Se brontola, è lui che brontolerà, io non brontolerò. E' lui che morirà, io non morirò. Lo seppelliranno forse, se lo trovano. Io sarò dentro. (ripete) Marcirà. Io non marcirò. Resteranno solo le ossa. Io sarò dentro. Sarà solo polvere. Io sarò dentro. E' impossibile altrimenti. E' così che vedo la cosa. La fine della sua vita e la sua morte. Come farà a finire? E' impossibile che io lo sappia. Lo saprò a mano a mano. E' impossibile che io lo dica. (ripete)

 
E' impossibile che io lo dica. Lo dirò al presente. Non si tratterà più di me. Solo di lui, della fine della sua vita e della sua morte. Dei funerali, se lo trovano. E' là che finirà. (ripete) Non parlerò di vermi, di acqua e di polvere, non interessa a nessuno. A meno che io non mi annoi nella sua polvere. Mi stupirebbe, tanto quanto nella sua pelle. Qui, un lungo silenzio. Annegherà, forse. Voleva annegare. (ripete) Non voleva che lo trovassimo. Un'acqua profonda o una pietra al collo. Slancio spento come gli altri. Non voleva che lo trovassimo. Non può più volere niente. Ma un tempo voleva annegare. (ripete) Ma perché un giorno a sinistra? Perché non in un'altra direzione? Qui, un lungo silenzio. (ripete) Non ci sarà più "io". Non dirà mai più "io". Non dirà mai più niente. Non parlerà con nessuno. Nessuno gli parlerà. Non parlerà da solo. Non penserà. Andrà. Io sarò dentro. Si lascerà cadere per dormire. Ma non ovunque. (ripete) Dormirà male per causa mia. Si alzerà per andare più lontano. Starà male per causa mia. Non potrà più stare al suo posto per causa mia. Non c'è più niente nella sua testa. Ci metterò il necessario. Si lascerà cadere per dormire. Ma non ovunque. Dormirà male per causa mia. Si alzerà per andare più lontano. Starà male per causa mia.

 

Siamo al minuto 43, la sequenza di prima è stata leggermente accelerata. Qui cala il sipario, rivediamo le due maschere, poi c'è il terzo ciak e tutto ricomincia come nella prima sequenza, tornata a colori e con il sonoro. Stessa scena, da capo, ma i dialoghi sono su un nastro alla rovescia, incomprensibili e senza senso. Stavolta però sul palcoscenico, dopo cinque minuti, arriva un servo di scena che monta uno schermo cinematografico su cui viene proiettata la vera tragedia, quella reale. Non il nostro io, non il narcisismo o il solipsismo quotidiano ma la guerra e la morte, la malattia, l'inquinamento ambientale, lo spreco della Terra, il disprezzo del mondo che ci è stato affidato. Stavolta, tutti si fermano e guardano. La proiezione finisce con Guernica di Picasso; la musica è una pianola vaudeville, la stessa che avevamo ascoltato nel primo ciak. La proiezione non ha però smosso più di quel tanto i personaggi, che ricominciano con i loro vaniloqui alla rovescia. Si finisce ancora con lo spettatore, come le altre due.


 
Al minuto 50 comincia la sequenza del Libro di Giobbe; sul sipario non ci sono più le due maschere ma solo quella tragica, che diventa enorme nel primo piano. Dentro una scenografia tra De Chirico e Finale di partita (Beckett), sullo sfondo di una discarica e auto rottamate, vediamo Giobbe e sua moglie interpretati dallo sconosciuto e dalla prima attrice. Il testo è quello della Bibbia, il Libro di Giobbe; Giobbe mostra il volto orribilmente segnato dalla malattia, come è indicato nel Libro. Altri tre attori della prima parte interpretano i tre amici che parlano a Giobbe, la voce di Dio nel finale è un altoparlante (un vecchio trucco di teatro, dai tempi del Deus ex machina, ma funziona: Manoel de Oliveira gli dedica un primo piano).


 
A 1h24 vediamo Giobbe risanato, accanto a sua moglie, dentro una scenografia che ricostruisce la Città Ideale, tra gente serena e felice, fanciulle che gettano fiori. Non più tragedie, non più recriminazioni, la perfezione divina. Le fanciulle portano anche la Gioconda di Leonardo, che chiuderà il film. Siamo in teatro, ma in platea c'è una troupe che riprende il tutto, e che viene a sua volta ripresa da un'altra troupe (o da Dio?). La Gioconda è nel monitor in platea, Oliveira le dedica un primo piano che chiude il film, sul suo sorriso enigmatico.
 

Altri miei appunti presi durante la visione:
1) La prima parte è ispirata da un testo del portoghese Josè Regio, "O meu caso", che immagino introvabile in Italia. Seguono Beckett e il Libro di Giobbe. 2) nella prima parte, tutti si rivolgono verso la platea, ma in platea non c'è nessuno e Oliveira ce lo mostra apertamente. 3) bisogna fare attenzione a quando la prima attrice dice "en rat!" all'inserviente: le stesse parole le troveremo nel Libro di Giobbe 4) Probabilmente l'ispirazione per i discorsi "alla rovescia" nasce sempre da Samuel Beckett: in "Watt", parte III, a pagina 172 dell'edizione Sugarco 1994, quando Watt parla a rovescio. 5) Sul libro del "Castoro Cinema" dedicato a Manoel de Oliveira l'autrice Mariolina Diana cita Pirandello, a me è venuto in mente Slawomir Mrozek. 6) Sempre Mariolina Diana nel libro citato parla dei tre sguardi differenti: teatro, tv, video. 7) il film è tutto recitato in francese 8) l'intruso sconosciuto, oltre che scomposto ed elegante, è anche "incazzato nero" come il personaggio del comico italiano Gioele Dix di qualche anno fa. A lui fa da pendant, nel finale lo spettatore "cittadino qualunque" che vuole esprimere la sua opinione (il suo caso, anche lui!) 9) tutti gli attori sono molto bravi, spendo una parola per Bulle Ogier che non immaginavo così brava, dai film che ha recitato non l'avevo mai capito ma evidentemente il teatro era la sua dimensione, più del cinema. 10) nella prima parte, gli attori inciampano nel tappeto: un'altra gag da cinema muto. 11) il pianoforte che suona da solo (qui una pianola a rullo) rimanda a "La regola del gioco" di Jean Renoir. Luis Miguel Cintra, l'intruso sconosciuto, rimanda anche a un altro film di Renoir, "Le docteur Cordelier" (cioè Dr Jekyll e Mr. Hyde) 12) il dipinto che si vede nella scenografia liberty della prima parte (una donna sdraiata) è di Felix Vallotton. 13) la musica nel finale sembra di Erik Satie 14) il sorriso della Gioconda, come il primo piano della bocca della maschera tragica? 15) Un sorriso lo ha strappato anche a me, perché in scena c'è l'Autore, poi lo Spettatore in platea, eccetera (ma non è Trivio, e neanche Mrozek). (Quest'ultimo punto, per chi fosse interessato, rappresenta il "mio" caso. Ovviamente, non potevo tirarmi indietro - I beg your pardon...)

PS: l'abbinamento fra Beckett e il Libro di Giobbe è presente già in "Shakespeare nostro contemporaneo" di Jan Kott (pagina 111 dell'edizione italiana disponibile negli anni '80). In particolare, Jan Kott parla di "Atto senza parole". E' un libro famoso, più che probabile che Manoel de Oliveira lo abbia letto.
 


 

 
 

martedì 24 settembre 2019

La bisbetica domata (Zeffirelli)


 
La bisbetica domata (The taming of the shrew, 1967) Regia di Franco Zeffirelli. Tratto dalla commedia di William Shakespeare. Sceneggiatura di Paul Dehn, Suso Cecchi D'Amico, Franco Zeffirelli. Fotografia di Oswald Morris. Musica di Nino Rota. Costumi di Danilo Donati. Interpreti: Elizabeth Taylor, Richard Burton, Cyril Cusack (Gramio), Alan Webb (Gremio), Giancarlo Cobelli (un prete), Natasha Pyne (Bianca), Michael York (Lucentio), Roy Holder (Biondello), Michael Hordern (Baptista), Alfred Lynch (Tranio), Mark Dignam (Vincentio), Bice Valori, Milena Vukotic, Lino Capolicchio, Alberto Bonucci, Gianni Magni. Durata: 120 minuti

"La bisbetica domata" esiste in due versioni; la più antica è la versione del 1594 ("in quarto"), che precede quella del 1623 ("in folio"), ha molte differenze nella trama secondaria ed è più breve; inoltre è ambientata ad Atene e non nel Veneto. La consuetudine, seguita anche da Zeffirelli, è di eseguire la seconda versione; decisione più che rispettabile e apprezzata dal pubblico, ma così facendo si taglia il prologo, o meglio la "cornice" prevista dalla versione più antica. La versione 1594 inizia infatti con un personaggio che si chiama Sly, un calderaio, che si ubriaca e si addormenta. Un ricco signore di passaggio lo trova abbandonato sul pavimento della locanda e decide di preparargli una burla, per puro divertimento. Dà ordine ai suoi servitori di rivestirlo e di portarlo in una camera ben arredata, e di fare in modo che si creda davvero ricco e riverito al suo risveglio. Nel frattempo, arrivano anche degli attori (come nell'Amleto, più o meno) e il ricco signore chiede loro di mettere in scena qualcosa: sarà appunto "La bisbetica domata", alla quale assiste anche il povero Sly, sempre un po' ubriaco e ormai convinto di essere davvero un ricco signore anche lui. Sly interferisce ogni tanto nella recita, facendo commenti, gli danno ancora da bere e a un certo punto si addormenta. Viene spogliato dagli abiti ricchi e rivestito con i suoi originali, e rimesso nella stessa posizione e nello stesso posto in cui si era addormentato all'inizio. E' qui che lo trova l'oste, e lo sveglia perché ormai è mattina. Tutti se ne sono andati da tempo, sia gli attori che il ricco signore con il suo seguito; Sly non è ancora del tutto in sè e finisce col convincersi di aver sognato.
SLY: E questo chi è? L'oste! O Signore, stanotte ho fatto il più bel sogno che tu abbia mai sentito in vita tua.
TAVERNIERE: Sicuro, ma è meglio che tu torni a casa subito, perché sai quante te ne darà tua moglie per il sogno di stanotte.
SLY: Ah sì? Ma adesso lo so come domare una bisbetica. Me lo sono sognato tutta la notte fino a stamattina, e tu mi hai svegliato dal più bel sogno che abbia mai fatto in vita mia. Adesso però vado subito da mia moglie, e saprò domare anche lei, se appena appena mi fa arrabbiare.
TAVERNIERE: Aspetta, aspetta Sly, voglio accompagnarti a casa per sentire bene il resto del tuo sogno. (escono tutti)
(La bisbetica domata, traduzione Masolino D'Amico, introduzione di Anna Luisa Zazo, Oscar Mondadori anno 2000)
Non troverete questa battuta nel film di Zeffirelli, perché il personaggio di Sly è stato eliminato; anche l'edizione citata (nella versione di Masolino D'Amico) riporta queste battute in appendice e non come parte del testo. Nel testo del 1623 Sly esiste, ma solo nel prologo.
Ho visto la versione del 1594 in un'ottima edizione Rai del 1958, e posso dire che mi è sembrata più completa e più sensata rispetto alla versione "senza prologo". La regia era di Daniele D'Anza, con Glauco Mauri come Sly, e con Gabriele Ferzetti e Lea Padovani nei due ruoli principali.

 
Il film di Zeffirelli piace, è bello e colorato, ha costumi splendidi e ottimi attori, ma l'impressione finale è che tutto resti piuttosto fine a se stesso, vuoto e anche un po' insensato; oggi posso dire che è probabilmente Sly a dare senso a tutta la commedia. Senza Sly, senza il sogno e il teatro nel teatro, senza l'idea che Sly torni a casa da sua moglie, magari bastonato, "La bisbetica domata" rischia di diventare un testo terribile, una sequenza di luoghi comuni e di cose copiate dai canovacci della Commedia dell'Arte. "La bisbetica domata" oggi può apparire perfino imbarazzante, vista l'enfasi che si pone sulla violenza alle donne; i metodi di Petruccio non sono certo dei più gentili, e ascoltando certe battute viene spontaneo pensare a quello che racconta la cronaca dei nostri tempi. Non sarebbe giusto farlo, perché delle dispute fra moglie e marito è piena la storia del teatro, della letteratura e anche delle barzellette; ed è fuori discussione che il testo sia divertente, ma io continuo a pensare che sia Sly a dare il suo vero senso a "La bisbetica domata". Cosa succederà a Sly, una volta tornato a casa? Facile immaginarsi che la moglie ridimensioni bruscamente il suo bel sogno...
Di attualità è anche la battuta di Petruccio sulle carni malcotte (bruciate) che "fanno male alla salute": è in atto Iv scena 1 quando i due arrivano a casa di Petruccio e lui non la fa cenare.

 
Il film è girato in bellissimi posti, ma trovare dove di preciso è un'impresa (dove il matrimonio?).
Musiche di Nino Rota, costumi di Danilo Donati. Liz Taylor e Richard Burton si divertono e fanno divertire; Cyril Cusack è Gramio servitore di Petruccio. Giancarlo Cobelli è un prete, Natasha Pyne è Bianca e si sposerà con Michael York. Roy Holder è un giovanissimo Biondello, nel cast anche Bice Valori usata malissimo nel finale come moglie di Gremio. In piccolissimi ruoli Milena Vukotic, Lino Capolicchio, Gianni Magni, Alberto Bonucci. Un film che piace e che continua a piacere, e che anticipa di poco "Romeo e Giulietta".






domenica 22 settembre 2019

Anonymous (William Shakespeare)


 
"Anonymous" (2012) Regia di Roland Emmerich. Scritto John Orloff. Fotografia di Anna Foerster. Musiche per il film di Harald Kloser e Thomas Wanker, più il Requiem di Mozart. Interpreti: Rhys Ifans (De Vere adulto), Jamie Campbell-Bower (De Vere da ragazzo), Vanessa Redgrave (la regina anziana), Joely Richardson (la regina da giovane), David Thewlis (William Cecil), Edward Hogg (Robert Cecil). Xavier Samuel (Southampton), Sam Reid (Essex-Roberto Devereux), Helen Bakendale (Anne Cecil), Sebastian Armesto (Ben Jonson), Rafe Spall (William Shakespeare), Tristan Gravell (Christopher Marlowe), Derek Jacobi (narratore nel prologo), Robert Emms (Thomas Dekker), Paolo De Vita (Francesco), e molti altri. Durata: 130 minuti
 
"Anonymous" di Roland Emmerich, scritto dall'americano John Orloff, è un film su Shakespeare e sul suo periodo; riprende una delle teorie secondo le quali William Shakespeare non è il vero autore delle sue opere, che in questo caso sarebbe Edward De Vere conte di Oxford. La teoria fu esposta nel 1920 da J. Thomas Looney nel libro "Shakespeare identified".
Nel film si vede De Vere, da bambino, che dà spettacoli a corte (c'è già Puck con Bottom, come nel "Sogno di una notte di mezza estate"); per la sua posizione sociale, però (De Vere cresce in casa di William Cecil, consigliere della Regina), scrivere poesie e commedie è sconveniente. Ma lui non può smettere: dice di avere "delle voci" che lo spingono a comporre in versi, e se ne libera solo scrivendo. A teatro, De Vere ormai adulto nota il lavoro di Ben Jonson (1572-1637) e pur di vedere in scena i lavori che ha continuato a scrivere di nascosto propone al commediografo già celebre di di mettere in scena, in segreto assoluto, i suoi drammi (quelli di De Vere) ma continuando a firmarli con il nome Ben Jonson. Lo scrittore è finito in carcere proprio per via dei suoi drammi, De Vere gli offre la libertà e molti soldi: non gli resta che accettare. Una volta libero, Ben Jonson si confida con l'amico attore William Shakespeare (qui presentato come "analfabeta e puttaniere"), e Shakespeare si offre di farlo al suo posto, perché i soldi gli fanno gola e perché non è giusto che un autore affermato come Ben Jonson debba firmare con il suo nome opere scritte da altri.

 
La prima opera che va in scena dopo il patto tra De Vere e Ben Jonson è "Henry V", presentata come opera di un anonimo. Il dramma storico ha grande successo e la gente reclama a gran voce l'autore ignoto sul palcoscenico. De Vere è presente a teatro, e con suo grande stupore vede avanzarsi non l'uomo con cui aveva sottoscritto il contratto (Ben Jonson), ma un'altra persona. William Shakespeare sorprende tutti e prende nelle sue mani la situazione; d'ora in avanti, per forza di cose, l'autore dei drammi di De Vere sarà lui, e non Ben Jonson. Si riesce comunque a mantenere il segreto; William Shakespeare più avanti busserà a soldi (concessi) e con questi soldi farà costruire il Globe Theatre. Su questa esile trama, che non ha fondamenti reali, si vede scorrere la storia inglese del periodo elisabettiano, soprattutto la grande potenza di William Cecil e poi di suo figlio Robert Cecil. Si dice anche apertamente che la "regina vergine" ebbe molti figli (come Essex e Southampton) tutti tenuti segreti. Solo alla fine Robert Cecil svelerà il terribile segreto e De Vere si ritroverà, come Edipo, inconsapevole padre del giovane Southampton.

 
Orloff ed Emmerich, insomma, le sparano grosse e su internet queste teorie vengono demolite senza pensarci troppo. Wikipedia mette il link a un articolo del Guardian ( qui ) che sottolinea le maggiori incongruenze: 1) i Cecil furono effettivamente avversi ad Essex, però Essex era favorevole a Giacomo I; qui invece si mostra la sua ribellione che gli costerà la testa, avvenuta per tutt'altri motivi. 2) Henry V non è un canovaccio o una sceneggiata napoletana, gli spettatori sapevano benissimo che i "francesi" erano solo attori e non sono mai saliti sul palco contro " 'o malamente" 3) Hamlet va in scena quando William Cecil è già morto; qui invece si dice che Polonio è William Cecil, e si mostra che Edward De Vere uccise veramente un uomo che si era appartato dietro una tenda credendo che fosse il suo tutore William Cecil. 4) si confonde Riccardo III con Riccardo II e si dice che la gobba e la deformità di Riccardo III siano aperta e riconoscibile caricatura del giovane Cecil, che aveva preso il posto del padre morto come potente consigliere della regina. Ma così non è, perché Riccardo III è andato in scena dopo i fatti di cui si narra. 5) i buoni sono biondi e con i capelli fluenti, i cattivi e i mediocri hanno i capelli scuri e sono piccoli di statura. Eccetera.

 
Va detto che Emmerich risponde per le rime all'autore dell'articolo, ma anche da semplici lettori e non da esperti, vedere Shakespeare rappresentato come analfabeta e Ben Jonson così incolore dà da pensare sull'attendibilità della sceneggiatura. Esperti di Shakespeare, come Giorgio Melchiori, danno una versione convincente della realtà: William Shakespeare portò alla stampa i testi così come si erano stratificati durante le recite, con molte cose non di sua mano ma opera degli attori (improvvisazioni, come la scena del portinaio nel Macbeth, o come la didascalia "entra l'orso", senza altre spiegazioni) o magari veramente di filosofi e scrittori o scienziati come Bacone. Da parte mia, sto con Alphonse Allais, secondo il quale "tutte le opere di William Shakespeare sono state in realtà scritte da un'altra persona che si chiamava anch'egli William Shakespeare". Guardo con interesse ipotesi e ricostruzioni d'epoca, anche le più stravaganti (del tipo: Shakespeare sarebbe in realtà un valtellinese che si chiamava Crollalanza), ma già a leggere William Shakespeare c'è da perdersi e non si finisce mai di trovarci qualcosa di nuovo. Di conseguenza, preferisco rileggere l'Amleto piuttosto che perdere del tempo a fare congetture.
 

Molti difetti si vedono anche a prescindere dalla verità storica: la sceneggiatura è molto confusa, già è difficile districarsi fra nomi e persone e a complicare le cose arrivano i moltissimi flashback che rendono arduo capire cosa succede. Per esempio, quando salta fuori Marlowe che tenta di uccidere Essex (o era De Vere?): non lo si era mai visto prima, da dove salta fuori Christopher Marlowe? E poi gli attori spesso si somigliano, difficile capire al volo chi è Essex e chi è De Vere da giovane, ci si confonde fra Ben Jonson e altri personaggi, eccetera.

 
Il vero soggetto del film sembra però essere un altro, ed è questo: scrivere poesie, scrivere libri, è una cosa sconveniente? E' roba per deboli, per falliti? Lo dice apertamente, nel finale, Robert Cecil a De Vere: « mio padre aveva scelto te, e ti aveva fatto sposare mia sorella, perché pensava che tu saresti diventato re dopo Elisabetta.» Ma il piano viene presto accantonato perché al giovane De Vere-Oxford interessa solo il teatro, il dramma, la poesia. Tutto questo non si conviene a un vero uomo di Stato, e William Cecil dovrà rinunciare ai suoi piani sul giovane De Vere. Forse è questo il punto che interessava veramente Orloff ed Emmerich, non tanto la storia di William Shakespeare quanto dimostrare che chi scrive non è necessariamente uno sfigato.


Roland Emmerich è tedesco, nato nel 1955, e ha al suo attivo molti grandi successi: "Stargate", "Indipendence Day", "Godzilla", "Diecimila aC", "Duemiladodici", quindi grandi voli di fantasia e mentalità molto commerciale. L'autore dell'articolo sul Guardian lo mette fra i permalosi, dice che "come tutti i seguaci di Looney e delle sue teorie non accetta critiche e segue quelle fantasie come se fossero una fede religiosa intoccabile" (la frase tocca anche Orloff e non solo Emmerich). (Detto en passant, "Stargate" è uno dei miei film preferiti, lo rivedo sempre volentieri).
Gli attori: Rhys Ifans è De Vere adulto, Jamie Campbell-Bower è De Vere da ragazzo. Vanessa Redgrave è la regina anziana, sua figlia Joely Richardson è la regina sui 30-35 anni, nei flashback al tempo della sua relazione con De Vere dalla quale (secondo Orloff ed Emmerich) nacque Southampton. David Thewlis è William Cecil, Edward Hogg è suo figlio Robert Cecil. Xavier Samuel è Southampton, Sam Reid è Essex (Roberto Devereux conte di Essex), Helen Bakendale è Anne, figlia di William Cecil e sorella di Robert Cecil nonché moglie di Edward De Vere (a cui rinfaccia di aver passato il suo tempo scrivendo, facendo così fallire le proprietà di famiglia).
Sebastian Armesto è Ben Jonson (ruolo da protagonista, con De Vere). Rafe Spall è William Shakespeare, Tristan Gravell è Christopher Marlowe (parte brevissima). C'è una battuta anche per Thomas Kyd, un altro dei più importanti commediografi elisabettiani: scrisse molto, ma di suo ci è arrivato solo "Una tragedia spagnola".
Derek Jacobi introduce il film nelle prime sequenze (ai nostri giorni), Robert Emms è Thomas Dekker. Un misterioso Francesco al servizio di Essex o di De Vere (l'attore si chiama Paolo De Vita) è il fedele servitore che morirà durante la rivolta di Essex e che rappresenta uno dei tanti buchi nella sceneggiatura: a un certo punto c'è questo Francesco, chi è e da dove viene? In un film queste cose vanno spiegate, introdotte, spesso basta poco. Un film non è un saggio con le note a piè di pagina...

 
Il film si svolge fra il 1598 e il 1603, con alcuni flashback su De Vere bambino che allestiva spettacoli a corte molto graditi dalla Regina Elisabetta ma invisi ai puritani Cecil, per i quali il teatro è un'invenzione del diavolo, molto sconveniente. L'opera messa in scena dal bambino De Vere è già "Sogno di una notte di mezza estate".
Il matrimonio di Edward De Vere con la figlia di William Cecil ha per sottofondo il Requiem di Mozart (mica male come anacronismo, Mozart nascerà solo nel 1756). Il vero Marlowe fu effettivamente spia dei servizi segreti e fu coinvolto in molte risse con il coltello, però non ho trovato nulla su un suo coinvolgimento in congiure contro De Vere o Essex, e sulle cause del suo omicidio ancora si discute.
Il film è quindi poco attendibile, però molte cose sono ben fatte, la ricostruzione al computer della Londra elisabettiana è così perfetta da sembrare vera, e soprattutto film come questo sono di grande aiuto per me nel tenere in memoria almeno qualche nome e qualche fatto storico, al di là delle invenzioni della sceneggiatura o di qualche inevitabile imprecisione storica. A questo proposito si può abbinare la visione di "Anonymous" a quella di "Shakespeare in Love", per bilanciare le informazioni o magari per aumentare la confusione, che fa pur sempre parte della nostra vita.
 
 

venerdì 20 settembre 2019

Shakespeare in love


Shakespeare in love (1998) Regia di John Madden. Scritto da Tom Stoppard. Sceneggiatura di Tom Stoppard e Marc Norman. Fotografia di Richard Greatrex Musiche di Stephen Warbeck Interpreti: Gwyneth Paltrow (Viola), Joseph Fiennes (Shakespeare), Judi Dench (la Regina), Geoffrey Rush (Philip Henslowe), Tom Wilkinson (Hugh Fennyman), Martin Clunes (Richard Burbage), Sandra Reinton (Rosaline), Simon Callow (Tilney), Imelda Staunton (balia di Viola), Colin Firth (lord Wessex), Ben Affleck (Mercuzio- Edward Alleyn), Rupert Everett (Christopher Marlowe) e molti altri. Durata: 120 minuti

"Shakespeare in love" è scritto da Tom Stoppard, come "Rosencrantz e Guildenstern sono morti"; per la precisione, "Rosencrantz e Guildenstern " è del 1990, "Shakespeare in love" è stato scritto nel 1996. La sceneggiatura è dello stesso Stoppard, con Marc Norman; la regia di John Madden. La maggior parte dei dialoghi viene da "Romeo e Giulietta", con alcune battute dall'Amleto ("dubita che le stelle siano fuoco, dubita che il sole si muova": Amleto atto II scena 2). Ci sono molti riferimenti anche a "La dodicesima notte" , soprattutto per il personaggio di Viola: però "La dodicesima notte" è del 1601, cioè sette anni dopo "Romeo e Giulietta". Il personaggio di Wessex è ispirato al Paride promesso sposo di Giulietta; Henslowe è ispirato al capocomico a cui dobbiamo molte delle notizie che abbiamo sul vero William Shakespeare, scritte su un brogliaccio che fu pubblicato intorno al 1850, non un diario ma un resoconto degli spettacoli. Come nel film sui due personaggi minori dell'Amleto, che aveva la regia dello stesso Stoppard, anche "Shakespeare in love" è un divertimento su temi originali; il risultato è sempre piacevole, più leggero di "Rosencrantz e Guildenstern" (che era più buffonesco ma anche più tragico), e con più attenzione al botteghino, il che non guasta. Ben fatta comunque la ricostruzione d'epoca, molto credibili gli spettacoli, si divertono anche gli attori ed è sempre bello quando succede.



Nel film ci si immagina un giovane e aitante William Shakespeare che si trova quasi senza volerlo a innamorarsi della giovane Viola, figlia di nobili con la passione per il teatro; per i nobili occuparsi di teatro era considerato sconveniente, e inoltre al tempo in cui viveva Shakespeare era proibito portare le donne sul palcoscenico. Il personaggio di Viola, interpretata da Gwyneth Paltrow, gioca sul travestimento: la giovane donna che si fa passare per uomo, come accade in molte opere di Shakespeare (quello vero, non quello del film). "Shakespeare in love" è da vedere più che da raccontare, molti dettagli sono originali o interessanti; ed è curiosa l'invenzione sull'omicidio di Christopher Marlowe: Will Shakespeare per evitare guai dice di chiamarsi come l'amico Marlowe, e lord Wessex (promesso sposo di Viola) manda dei sicari a uccidere proprio Christopher Marlowe. Il vero Marlowe fu effettivamente ucciso, ma le cause di questo omicidio non furono mai chiarite, e ancora se ne discute.

Molte le "strizzatine d'occhio" alla realtà del nostro tempo: c'è una specie di psicoanalista (con clessidra per misurare la durata della seduta), le barche sul Tamigi sono come i taxi e gli autisti-barcaioli chiacchierano con i clienti come a New York, eccetera. Anche la scena che aveva fatto sbuffare Giorgio Melchiori, uno dei nostri maggiori esperti di teatro elisabettiano, con William Shakespeare in crisi d'ispirazione che butta via la carta appallottolandola (la carta era costosissima e preziosa, se ne usava ogni minimo frammento) va inserita in questo contesto.

"Shakespeare in love" è ancora più divertente dopo aver letto "Romeo e Giulietta" e magari dopo aver visto "Romeo e Giulietta" di Zeffirelli (e altre versioni), perché si riesce a capire bene il lavoro di Stoppard. C'è anche da dire che a tratti "Shakespeare in love" sembra proprio un calco del film di Zeffirelli: i costumi, la balia, le scene al balcone, si assomigliano molto.
 

Judi Dench è la regina Elisabetta: appare in due sole scene di cinque minuti l'una, ma vale da sola la visione del film. Viola di Lesseps è Gwyneth Paltrow, molto bella e molto brava (siamo in zona "Sliding doors", uscito nello stesso anno) che è la vera star del film. Joseph Fiennes è William Shakespeare-Romeo, a me è sembrato un po' incolore ma sarà piaciuto alle ragazze. Geoffrey Rush è Henslowe, Tom Wilkinson è Fennyman, l'attore e impresario Burbage è Martin Clunes: i tre personaggi sono tre nomi reali, che si trovano sulle locandine degli spettacoli del vero William Shakespeare. Sandra Reinton è Rosaline, personaggio preso direttamente da "Romeo e Giulietta" ma che in "Romeo e Giulietta" è poco più di un nome buttato lì da Romeo; le spettano scene di sesso molto esplicite con l'impresario Burbage. Per chi avesse visto in tv "Doc Martin", l'interprete del dottore inglese è Martin Clunes, che qui vediamo esattamente vent'anni prima di quei telefilm. Simon Callow è Tilney, "master of the Revels", una specie di ministro dello spettacolo che riferisce direttamente alla regina e può aprire o far chiudere i teatri, fare censura, far arrestare.

Anche qui, prima che in "Anonymous" (2012, regia di Roland Emmerich), la regina Elisabetta è presentata come appassionata di teatro e delle feste, quindi in contrasto con i puritani. La nurse di Viola è Imelda Staunton; la nurse di Giulietta a teatro è invece un attore-clown. Lord Wessex è Colin Firth, non nuovo ai ruoli di principe azzurro bello ma antipatico o noioso. L'attore Edward Alleyn che fu il primo Mercuzio è affidato a Ben Affleck; Christopher Marlowe è Rupert Everett. Anche qui, come poi sarà in "Anonymous", Marlowe è presentato come rivale affermato ma anche come punto di riferimento, e come amico e suggeritore di idee. Sullo sfondo, a Londra, un'epidemia di peste che fa paura e porta anch'essa alla chiusura dei teatri e dei luoghi pubblici.

 

 

 

lunedì 16 settembre 2019

The athlete (Abebe Bikila)


 
The athlete (L'atleta, 2009). Regia di Rasselas Lakew e Davey Frankel. Scritto da Rasselas Lakew, Davey Frankel, Mikael Awake. Fotografia di Toby Moore, Philip Pfeiffer, Radoslav Spassov, Rodney Taylor. Musiche di Christian Meyer. Interpreti: Rasselas Lakew, Dag Malmberg, Ruta Gedmintas, Abba Waka Dessalegn, e molti altri. Durata: 92 minuti
 
"The athlete" è un film del 2009 su Abebe Bikila, due volte campione olimpico nella maratona (1960 e 1964, a Roma e a Tokyo). E' molto bello, quasi un road movie nella parte iniziale, con panorami di grande bellezza dell'altipiano etiopico, e ha anche il pregio, per noi italiani, di raccontare la Storia da un punto di vista diverso da quello della propaganda fascista, che purtroppo lavora ancora. La storia è questa: a 37 anni, Abebe Bikila dopo i successi a Roma e Tokyo e il ritiro alle Olimpiadi di Città del Messico (dove vinse un altro etiope) si sta preparando per Monaco di Baviera 1972. Siamo nel 1969 e Bikila sta tornando a casa, dove ha madre e un figlio, su una Volkswagen maggiolino. Sulla strada avrà un incidente, e rimarrà paralizzato alle gambe.

 
Durante il viaggio, prima dell'incidente, dà un passaggio a un prete cristiano ortodosso: non un missionario perché siamo in Etiopia, terra cristiana da duemila anni per chi non lo sapesse. Il prete lo rimprovera perché non va a Messa e si è dimenticato il Salmo di David, il Miserere, che recitano insieme. (Abbi pietà di me, Signore, secondo la tua misericordia... Libro dei Salmi n.50).
Al minuto 34 trovano in mezzo alla strada un cavallo di piccola taglia, di quelli usati dai contadini; il cavallo non si sposta e Bikila riconosce subito cosa è successo. Il cavallo è stato abbandonato dopo essere stato accecato, perché inabile al lavoro. Abebe Bikila prende la sua pistola d'ordinanza (è un militare) per finirlo ed evitargli altre sofferenze, ma il prete gli chiede di non farlo:
- Non è compito tuo. Lasciagli il tempo che gli resta da vivere.
- Lo uccideranno le iene - risponde Abebe, e si avvicina al cavallo ma poi ripone la pistola e lo lascia andare, accompagnandolo lontano dalla strada. Il prete lo loda per non averlo ucciso, e prega che trovi conforto presso dei contadini più umani.
 
 
Al minuto 30, dopo aver portato il prete a destinazione, Abebe Bikila si incontra con il suo allenatore, il finlandese Onni, che è suo grande amico. Onni gli dice che c'è molto scetticismo intorno a lui, Bikila ha 37 anni ed è considerato finito dopo i due ritiri consecutivi alle maratone di Città del Messico e di Boston. L'atleta si sta comunque allenando per le Olimpiadi del 1972, a Monaco di Baviera. Questo è il dialogo fra Onni e Bikila:
Onni: Stai ancora pensando a Boston e a Mexico?
Bikila: A Monaco.
Onni: Per Monaco dovranno passare tre anni...
Bikila: Sono solo sei raccolti.
Onni: (sorride) Monaco, come le nuvole dell'autunno, sarà lì ad aspettarti.
Bikila: Mentre venivo qui ho incontrato un'anima cieca sulla strada. Era alla fine dei suoi giorni, ma ho voluto che continuasse a vivere perché le sue gambe viaggiavano più lontano di quanto i suoi occhi potessero vedere. Monaco sarà la mia ultima gara. (...)
Onni: Allora attenderò con impazienza il settimo raccolto.
 
 
A Monaco di Baviera, nel 1972, Abebe Bikila avrebbe avuto 40 anni esatti; era cresciuto sotto l'occupazione italiana (fascista), e si era rifugiato sulle montagne con sua madre. I fascisti furono sconfitti nel 1941, dopo solo cinque anni; Abebe era un bambino essendo nato nel 1932. A Roma, correndo la maratona, era passato sotto la stele di Axum: "Cinquecentomila italiani per conquistare l'Etiopia, un solo etiope per conquistare Roma" fu il titolo dei giornali dell'epoca. Bikila fece notizia, nel 1960, anche perché corse la maratona scalzo; in seguito spiegò che gli avevano fornito scarpe difettose, che gli facevano male. In mancanza di ricambi validi, preferì correre senza scarpe. A Tokyo, nel 1964, vincerà correndo con le scarpe. Nel 1968, a Città del Messico, Bikila non terminò la gara: era la sua terza Olimpiade. Monaco di Baviera, 1972, era la sua occasione di riprendersi il posto che meritava. La preparazione per Monaco di Baviera fu però interrotta da un grave incidente, che vediamo nel film: l'automobile di Abebe Bikila esce di strada e si ribalta, Bikila rimane paralizzato.
Nel 1969, dopo l'incidente, Bikila fu ricoverato a lungo in Inghilterra per la riabilitazione, ma non recupererà l'uso delle gambe, e solo in parte l'uso delle mani. Durante la degenza imparò il tiro con l'arco e partecipò alle paralimpiadi di Heidelberg in quella specialità, con un buon piazzamento. Nel 1971 su invito del musicista norvegese ... (cieco) partecipò come conducente a una gara di cani da slitta in Norvegia, vincendola anche dopo essersi rovesciato, rialzandosi da solo. L'invito gli pervenne tramite Onni, l'amico finlandese suo allenatore. Da questa sequenza proviene l'immagine sulla locandina del film. Bikila fu comunque presente a Monaco 1972, dove fu premiato insieme a Jesse Owens. Morirà il 23 ottobre 1973, in Etiopia, per emorragia cerebrale.
 
 
Altri miei appunti presi durante la visione:
1) "Non si risolve una battaglia se prima non la si accetta", dice Abebe Bikila a 1h05' in una conferenza stampa dopo l'incidente e dopo le gare di tiro con l'arco, dove fece buona figura. 2) Il miele dell'altipiano, che Bikila sta portando a casa; a vederlo fa davvero gola. Più in là, il vino al miele nella scena della locanda con gli ufficiali etiopi. 3) Molto bella la sequenza iniziale con la proiezione al cinema, la pellicola, etc. 4) "macchina italiana?" chiede il prete ad Abebe Bikila, salendo sul maggiolino VW. "no, tedesca" risponde Bikila sorridendo. E' evidente il sottinteso.

"The athlete" è scritto, diretto e interpretato dall'ottimo Rasselas Lakew, purtroppo su imdb è menzionato solo questo film (in tutte e tre le mansioni) ed è impossibile trovare altre informazioni su di lui on line. Davey Frankel ha qualche titolo all'attivo, non molti (documentari, uno su Fidel Castro). Gli attori: Dag Malmberg interpreta Onni, allenatore di Abebe e suo amico; Onni era finlandese, cresciuto in Svezia in tempo di guerra, innamorato del sole dell'Etiopia. Ruta Gedmintas è l'infermiera della riabilitazione a Londra. Abba Waka Dessalegn è il prete a cui Bikila dà un passaggio in auto.
Manca, purtroppo, un apparato critico, soprattutto su Hailé Selassié e sulla storia dell'Etiopia; ma il film è comunque bello da vedere, ben recitato e intenso, con panorami mozzafiato, e con molti filmati originali. Siamo molto lontani dalla nostra banalità televisiva per le biografie di Coppi, di Bartali, del Torino 1949, eccetera. Questo è un film serio, ben diretto e ben interpretato.
Un altro appunto da fare al film è che mancano le figure femminili, ed è strano: perché Bikila viveva separato da moglie e figli? Al di là delle curiosità biografiche, dal punto di vista narrativo sarebbe stato utile almeno un accenno alla questione.


Ho visto "The athlete" due volte, uno sulla Tv Svizzera e poi su Telenova, non mi risulta sia mai passato sulla Rai o su altri canali a larga audience. "The athlete" è doppiato in italiano, ma l'impressione è che in Italia sia stato di fatto censurato, in parte perché è un film serio e ben fatto (e questo non piace, "l'argomento non fa audience") ma soprattutto, direi, per motivi di propaganda fascista ancora attiva. L'occupazione dell'Etiopia vista dalla parte degli etiopi, anche se non è al centro del film, evidentemente dà ancora fastidio a qualcuno. Una doppia censura, insomma.

 

venerdì 13 settembre 2019

Invincibile (Werner Herzog)


 
Invincibile (Invincible, 2001) Scritto e diretto Werner Herzog. Fotografia di Peter Zeitlinger. Musiche di Klaus Badelt e Hans Zimmer. Interpreti: Jouko Ahola, Tim Roth, Anna Gourari, Max Raabe, Jacob Wein, Gustav Peter Wöhler, Udo Kier, Herbert Golder, Gary Bart, Renate Kroessner. Durata: 133 minuti
 
"Invincibile" di Werner Herzog è del 2001 e racconta la storia del mago Hanussen (1889-1933) intrecciandola con quella di Siegmund "Zishe" Breitbart, un giovane ebreo polacco che si esibì con grande successo come "uomo forzuto" nei circhi e nei teatri di inizio Novecento. Breitbart però morì otto anni prima di Hanussen, essendo vissuto fra il 1883 e il 1925 (notizie da wikipedia), quindi ci sono alcune libertà nella narrazione; nella didascalia finale però Herzog dice che Zishe morì nel 1933.
La storia di Hanussen è famosa: ebbe molta influenza su Hitler e sui capi nazisti, si fingeva "nobile danese" ma si chiamava in realtà Herschel Steinschneider, ebreo cecoslovacco. Quando la verità si venne a sapere, fu rapito e ucciso e il suo corpo fu ritrovato sfigurato, come si vede nel film (wikipedia dice che la sua vicenda è narrata fedelmente). Sulla figura del mago e veggente sono stati girati diversi film come "Hanussen" del 1955, regia di Georg Marischka, e il più famoso "Hanussen" (stesso titolo) del 1988, regia di Istvan Szabò con Klaus Maria Brandauer ed Erland Josephson. Alla figura di Hanussen deve sicuramente molto anche "Il dottor Mabuse" di Fritz Lang, il cui primo episodio fu girato quando il mago era ancora in vita e molto influente.

 
Zishe Breitbart è un invece un giovane uomo molto forte fisicamente, figlio di un fabbro polacco, che divenne famoso come "il nuovo Sansone". Herzog lo affida a un culturista finlandese, Jouko Ahola, che pur non essendo un attore di professione è molto bravo nel renderlo giovane e sincero. (Herzog, come si sa, non è nuovo nell'affidare parti da protagonista a non professionisti).

 
"Invincibile" si guarda con piacere, ed è il primo film recitato dopo una decina d'anni di documentari da parte di Herzog. La storia comincia in Polonia, quando Zische grande e grosso viene scoperto da un impresario e parte dalla Polonia col fratellino Benjamin (Jacob Wein) per esibirsi nelle fiere e poi, con crescente successo, anche nei teatri. Ribattezzato "il nuovo Sansone", Zishe raggiungerà Vienna e i grandi teatri dove incontrerà anche il mago Hanussen. Hanussen è Tim Roth, come sempre molto bravo. Bella la ricostruzione storica, il tavolo di Hanussen è identico a quello del Mabuse di Lang, le canzoni anni '20 sono cantate da Max Raabe, che è anche fra gli interpreti del film. Anna Gourari, pianista, suona veramente Beethoven (Concerto n.3 secondo movimento, orchestra Beethoven Halle di Bonn direttore Anthony Bramall). Rudolph Herzog è il prestidigitatore che si vede all'arrivo di Zishe nel teatro di Hanussen. Udo Kier è un nobile tedesco.

 
Il film è recitato in inglese, girato in Lituania e Lettonia; le meduse sono dell'acquario di Monterey Bay, i granchi rossi del sogno di Zishe erano già nel film su Bokassa e vengono dall'Isola di Natale. Tra questi granchi Herzog ambienta anche il finale, col volo finale del fratellino Benjamin, in stile Chagall: una visione di Zishe morente per l'infezione conseguente alla ferita di un chiodo, che si direbbe ispirata al Gargantua di Rabelais e invece è verità.
Max Raabe canta con la sua Palast Orchestra; i tre brani di Haendel nelle incisioni del 1927 di Emmi Leisner sono due arie dal Giulio Cesare e dal Serse; "Dank sei dir Herr" viene da una della Cantate (non è indicato il numero d'opera, la definizione è "Cantata con stromenti").
 


"Invincibile" si apre con questa storia raccontata da dal piccolo Benjamin al fratello Zische, al minuto 3, nello shtetl polacco dove vivono:
- In un paese lontano, non so bene quale, comunque una terra lontana, un principe impazzì e si convinse di essere un gallo. Si nascondeva sotto il tavolo, stava nudo e mangiava solo grano. Il Re suo padre chiamò per guarirlo dottori e stregoni, ma invano. Un giorno arrivò a corte un saggio che nessuno conosceva; si spogliò e andò sotto il tavolo con il principe, dicendo che era anche lui un gallo; e alla fine lo convinse a vestirsi e a sedersi a tavola con gli altri. «Ma non crediate - disse il saggio - che solo perché mangia seduto a tavola con gli altri un gallo smetta di essere tale. » Qualunque cosa tu faccia con gli uomini, o per gli uomini, rimani sempre il gallo che eri prima.
Questa storia verrà ripresa nel finale, quando Zishe nel delirio dell'infezione dice al fratellino di vedere un gallo nella stanza.
 
 
A 1h15 dall'inizio, seduto al tavolo "di Mabuse" Hanussen (Tim Roth) spiega a Himmler cos'è la "clairvoyance":
- Come può la chiaroveggenza conciliarsi con il principio di causa ed effetto, e con le leggi di natura?
- La natura non si cura di come noi la interpretiamo, né delle leggi che le attribuiamo. In realtà, la chiaroveggenza non esiste, perché a mio avviso il futuro non esiste.
- Cosa significa?
- Il futuro non esiste, esistono solo gli eventi. Non si può pensare che l'universo sia stato oggetto di trasformazione, né che continuerà ad esserlo. Gli eventi sono immobili, solo l'uomo va avanti. Immagini che il tempo sia un dado, e che i vari momenti (time sections) siano le facce del dado. Un uomo normale vede solo una faccia, quella che ha davanti a sè: quello è il presente. Il chiaroveggente, invece, quando è in stato di trance cammina intorno al dado e lo vede anche da dietro (back): quella è la faccia del futuro, che poi diventerà presente.

 
Un terzo estratto lo prendo a 1h38 quando Zishe va a parlare con il rabbino in sinagoga: siamo verso la fine del film, Zishe si sente "clairvoyant" come Hanussen (che ormai è stato ucciso) ma la sua visione riguarda il popolo ebraico, "a horrible danger", "un pericolo che non capisco". Zishe è ormai molto popolare tra gli Ebrei, è "il nuovo Sansone" e non solo per la sua forza.
Rabbino: Sai una cosa, Zische? Da come parli, sembri uno dei Giusti.
Zishe: Cosa significa? Chi sono i Giusti?
Rabbino: Vedi, Zishe, per ogni generazione il popolo ebraico dà i natali a trentasei uomini prescelti da Dio per sopportare il peso della sofferenza umana, e per godere il privilegio del martirio. Il mondo poggia su questi trentasei Giusti (Just Men) che sono indistinguibili dai comuni mortali. Spesso, nemmeno loro sanno di esserlo. I più commoventi sono i Giusti che non scoprono la loro vera identità; quando sale in cielo un Giusto che non sa di esserlo, è così freddo (frozen) che Dio deve scaldarlo fra le sue dita per mille anni prima che la sua anima si apra al Paradiso. Succede anche che alcuni di loro rimangano talmente legati al dolore umano che neanche Dio riesce a scaldarli; così, di tanto in tanto, il Creatore (sia lodato il Suo nome) sposta la lancetta del Giudizio Universale un minuto più avanti.
Zishe cercherà di mettere gli Ebrei a conoscenza del pericolo, ma non verrà creduto: gli rispondono che i nazisti sono in Germania, ma qui siamo in Polonia e il pericolo vero sono i russi (i pogrom), la Polonia ha confini solidi... Zishe morirà come Gargantua, per la piccola ferita non di un granchio ma di un chiodo arrugginito (nel film, i granchi sulla spiaggia si spostano al suo passaggio)

 
Il film di Herzog lascia a tratti un po' perplessi, soprattutto per le molte libertà rispetto alla storia vera di Zishe, però l'ho visto con piacere e con molto interesse, dura due ore abbondanti ma quasi non me ne sono accorto. Non assomiglia ai film precedenti di Herzog, e lo si direbbe girato da un altro regista. Lo stile è molto diverso da "Kaspar Hauser" o da "Nosferatu", ai quali si apparenta per i costumi e per l'aspetto favolistico, e rispecchia già l'Herzog che verrà anche nel sonoro. Ho trovato qualcosa di Straub e Huillet in alcune sequenze. Gli interni rimandano un po' a "L'invenzione di Morel" di Emidio Greco, forse per la vicinanza temporale (gli anni '20). E' comunque un ottimo film, ben fatto e ben recitato, e su temi e storie importanti che è bello conoscere.

 
(le immagini vengono dal sito www.imdb.com)