sabato 14 gennaio 2012

Dino Risi ( I )

 
«Quanto alla pazzia , non ricordate più Gassman che si sdoppiava in “Anima persa”? Oppure l’altro Gassman che nel “Profeta” reagiva ad un ingorgo nel traffico abbandonando l’auto e andando a vivere su un albero? Mi chiedo se tutto ciò sia però pazzia...forse è preferibile parlare di corto circuito. (...) Tutto qua: diventare matti è una cosa che può succedere a chiunque di noi. Non occorre più chissà quale pedigree, oggi si diventa matti per stress, per fatica di vivere; una volta bisognava ammalarsi, oggi basta così poco. (...)
La depressione è un terremoto che arriva come per caso, così come si alza il vento. Ti alzi una mattina, e vedi tutto nero. Niente di che, solo che è così anche il giorno dopo. (...) Vittorio è uno che è abituato a recitare i sentimenti e forse la sua malattia (la depressione) è iniziata come una malattia da attore. (...) ha un’intelligenza straordinaria e, come spesso accade alle persone acute e sensibili, soffre di vere e proprie fobie. (da un’intervista di Paolo Brogi a Dino Risi, da L’Europeo 2.2.1990)
Quest'intervista partiva da un libro in cui Vittorio Gassman parlava della sua depressione: Dino Risi era laureato in medicina, ramo psichiatria, quindi aveva qualche competenza per parlarne. C’era anche questa frase: «I pazzi e i bambini si comprendono, appartengono alla stessa specie». (L’Europeo 2.2.1990). Ma qui dissento da Dino Risi, perché è facile osservare che questo non è vero: i bambini hanno paura dei pazzi, e fanno scherzi atroci a chi vedono come diverso. Basta poco per essere considerati diversi, da bambini: venire da un altro paese, essere grassi, portare gli occhiali, non essere vestiti all’ultima moda, non avere l’ultimo gadget alla moda (ma queste due ultime cose sono venute dopo, dagli anni ’80 in su).
Non mi perdevo un’intervista di Dino Risi, da quando avevo scoperto bene chi era, e i suoi studi di psichiatria: confesso che le sue interviste mi piacevano quasi sempre più dei suoi film.
Di film ne ha fatti tanti, Dino Risi: e sono tutti passati in tv, più di una volta, e continuano a passare; quindi è facile averne visti molti. Molti di questi film li ho subìti, da bambino e poi da ragazzo: non mi piaceva quel mondo, magari si rideva (difficile non ridere con Tognazzi e Manfredi...) ma era un mondo che io avrei voluto evitare, non mi sono mai piaciuti quei caratteri e c’era sempre una notevole dose di autocompiacimento nel descrivere quei difetti, ancora oggi ben visibile. Si prendevano in giro, c’era perfino della satira politica, ma anche loro erano così, registi attori e sceneggiatori: villoni, macchinone, vacanze a Cortina...
E, soprattutto, ho sempre detestato questo loro modo di presentare il sesso, l’amore, i “tradimenti”, i rapporti coniugali: purtroppo sono cose vere, appena un po’ caricaturali, me ne sono accorto presto che la vita funziona così, e appena ritrovavo nella mia vita questi modelli (non so se spontanei o piovuti dall’alto, cioè ad imitazione dei film stessi: è la vita che imita il teatro, o è il teatro che imita la vita?) mollavo subito la presa. Forse è per questo motivo che non mi sono mai sposato.
Alcuni di questi film, non solo quelli di Risi ma anche quelli di Monicelli, di Comencini, e degli altri bravi registi di quegli anni, sono dei capolavori; altri sono molto belli; ma la maggior parte sono film girati “ad uso alimentare”, o per meglio dire: girati per pagarsi i villoni, i macchinoni, le vacanze a Cortina o in luoghi esotici.
Hanno fatto bene, s’intende, Dino Risi e i suoi amici: chiunque di noi avrebbe fatto così. Il cinema rendeva molto, negli anni ’50 e ’60, ogni film era ben pagato, se ne facevano tanti, e magari tornassero quegli anni. Ma, detto questo, bisognerà ripetere: non è come con Fellini, Rosi, Petri, Germi, Antonioni; quasi mai siamo di fronte a grande cinema, o a grande scrittura cinematografica. C’è sempre molta approssimazione, molto tirar via, e se non ci si fa caso più di tanto è per la grande professionalità e l’altissimo livello tecnico e artistico di chi lavorava in quel cinema, dai direttori della fotografia agli scenografi fino all’ultimo degli attrezzisti.
Di tanti di quei film, non so nemmeno chi sia il regista: ed è effettivamente difficile distinguere un film di Sordi, Manfredi, Gassman, Tognazzi... Ci si potrebbe imbastire un quiz, o un gioco di società: indovinare al volo chi è il regista di quel film, se è Steno, Monicelli, Comencini, Lattuada, Risi... La confusione è alimentata dal fatto che autori e attori si mescolano, Luigi Zampa, Luciano Salce, Lattuada, Steno e Monicelli, Comencini, Scola, Age e Scarpelli, Benvenuti e De Bernardi, Sonego, Maccari... E magari scoprire che “Il federale” (buca, buca, buca con acqua...) è firmato da Luciano Salce; che quel film con Gassman e Anna Moffo è di Romolo Guerrieri (Il divorzio, 1970); o che “L’alibi” (1968) è stato girato in prima persona, e in trio, da Adolfo Celi, Gassman e Lucignani.  O che "La grande guerra" (con Gassman e Sordi) è di Monicelli, mentre "La marcia su Roma" (con Gassman e Tognazzi) è di Risi.
In complesso, alla fine di questo discorso, si può dire un bel “chi se ne frega”, prendere quel che c’è di buono, far finta di niente quando ci sono troppe goffaggini, alzarsi e fare un giro che ci si sgranchiscono le gambe quando una scena è troppo insistita o mal scritta. In ogni film di quel periodo, la famosa “commedia all’italiana” (quella degli anni '50 e '60, sia ben chiaro!), ci sono sempre almeno dieci minuti divertenti o interessanti, che ripagano della visione del film.
Purtroppo, a partire dagli anni ’80 Dino Risi ha diretto molti film brutti, quelli con Dorelli o con Pozzetto, che hanno fatto da giustificazione e hanno aperto la strada alla sciatteria seguente del cinema italiano. Niente a che vedere, comunque, con i film dei Vanzina e di Neri Parenti degli ultimi decenni: gli attori non sono quelli degli anni ’60 (che avevano dietro di sè una preparazione durissima: Mastroianni e Gassman recitarono in teatro con Visconti, per fare un solo esempio), anche i tecnici non sono più così bravi, i registi e gli sceneggiatori lavorano con il copia e incolla: e se mai arrivasse qualcuno con delle idee buone, e con voglia e capacità di lavorare, i produttori di oggi lo metterebbero sicuramente alla porta.
(immagini da "I mostri" e da "La marcia su Roma", due dei film più belli di Dino Risi)
(continua)

Dino Risi ( II )

da http://www.wikipedia.it/ :
Dino Risi (Milano, 23 dicembre 1916 - Roma, 7 giugno 2008) è stato un regista e sceneggiatore italiano. Dopo aver conseguito la laurea in Medicina, non diventa uno psichiatra, come avrebbero desiderato i genitori, ma inizia la sua carriera cinematografica lavorando per Mario Soldati e Alberto Lattuada. La sua opera prima è un cortometraggio girato nel 1946, “Barboni”, sulla disoccupazione a Milano. A questo fecero seguito altri lavori, tra cui il corto “Buio in sala”, girato in una Milano con ancora i segni e le macerie della guerra, storia di un viaggiatore di commercio impacciato e un po' depresso che, entrato in un cinema dove si proiettava un film western, ne esce più forte e risoluto (Risi parlò del cinema come "maestro di vita"). Il corto, che era costato duecentomila lire, fu venduto a Carlo Ponti per due milioni e il fatto contribuì a rafforzare la vocazione creativa in Risi, che si trasferì a Roma. Qui, memore della sua esperienza ospedaliera, il suo primo lavoro fu la scrittura del soggetto del film “Anna” (1951) di Alberto Lattuada, con Silvana Mangano. All'età di 35 anni gira il suo primo lungometraggio, “Vacanze col gangster” (1951) nel quale lanciò l'allora dodicenne Mario Girotti nel mondo del cinema, il quale assunse in seguito il nome d'arte Terence Hill. Nello stesso anno nasce il figlio Marco. Il successo arriva grazie a “Pane, amore e...” (1955), sequel dei fortunati “Pane, amore e fantasia” e “Pane, amore e gelosia”, girati da Comencini. Continua con “Poveri ma belli” (1956), commedia girata con costi limitati ma che riscosse grande consenso di pubblico, tanto da avere anche due sequel. (...)
i film di Risi che ho sicuramente visto per intero:
Pane, amore e... (1955) V.De Sica, S.Loren, A, Cifariello, Tina Pica, Mario Carotenuto ***
Una vita difficile (1961) A. Sordi, Lea Massari, Claudio Gora ****
La marcia su Roma (1963) U. Tognazzi, V. Gassman, G.Albertini ****
Il sorpasso (1962) V.Gassman, JL Trintignant, C.Gora **
I mostri (1963) V.Gassman, U.Tognazzi ***
Operazione San Gennaro (1966) Nino Manfredi, Totò, Senta Berger **
Straziami, ma di baci saziami (1968) N.Manfredi, U.Tognazzi, P.Tiffin ****
Vedo nudo (1969) N.Manfredi, S.Koscina, EM Salerno *
Profumo di donna (1974) V.Gassman, A.Momo, A.Belli **
Anima persa (1977) V.Gassman, D.Mattei, C.Deneuve ***
Il giovane normale (1969) Lino Capolicchio, Janet Agren ***
L'amore in città - episodio Paradiso per 4 ore (1953) non prof. ***
Venezia, la luna e tu (1959) A.Sordi, N.Manfredi **
In nome del popolo italiano (1971) V.Gassman, U.Tognazzi ****
Scemo di guerra (1985) Beppe Grillo, Coluche, F.Testi, C.Bisio ***
I film di Risi che ho guardato in tv, magari a pezzi:
Caro papà (1979) V.Gassman, S.Madia, A.Clément * ; Sono fotogenico (1980) R.Pozzetto, E.Fenech, M.Boldi *; Sesso e volentieri (1982) J.Dorelli, G.Guida, L.Antonelli, L.Calandra *; Il commissario Lo Gatto (1986) Lino Banfi, M.Micheli, M.Ferrini, I.Russinova *; Poveri ma belli (1957) con Marisa Allasio, Renato Salvatori, Maurizio Arena; La nonna Sabella (1957) con Tina Pica; Belle ma povere (1957); Il vedovo (1959) con Sordi e Franca Valeri; Poveri milionari (1959); Il mattatore (1959) con Gassman; Un amore a Roma (1960); A porte chiuse (1961); Il successo (1963); Il giovedì (1963); Le bambole - episodio La telefonata (1965); Il gaucho (1965); I complessi - episodio Una giornata decisiva (1965); L'ombrellone (1966); Il tigre (1967); La moglie del prete (1970); Sessomatto (1973); Telefoni bianchi (1976); I nuovi mostri – con Scola e Monicelli (1977, episodi Con i saluti degli amici, Tantum ergo, Pornodiva, Mammina e mammone e Senza parole); La stanza del vescovo (1977); Fantasma d'amore (1981); Dagobert (1984); Teresa (1987).
Riserva poche sorprese (contrariamente a quello che credevo) l’elenco dei film scritti (magari solo in parte) da Risi: tolti i suoi, rimane di memorabile quasi solo Totò e i re di Roma (1951). La ragione è più che comprensibile: Dino Risi ebbe subito grande successo come regista, non aveva più bisogno di lavorare per gli altri.
(le immagini vengono da "La marcia su Roma" di Dino Risi)
(continua)

giovedì 12 gennaio 2012

Dino Risi ( III )

Straziami, ma di baci saziami (1968)
scritto da Dino Risi con Age e Scarpelli (Agenore Incrocci e Furio Scarpelli). Interpreti principali: Ugo Tognazzi, Nino Manfredi, Pamela Tiffin.
Un film molto bello e molto divertente, che si rivede sempre volentieri: oltretutto c’è un Ugo Tognazzi in forma strepitosa, un’interpretazione unica che rimanda direttamente a Harpo Marx. Il titolo è un verso della canzone “Creola dalla bruna aureola”, molto popolare dagli anni ’30 agli anni ’50 (un tango, se non sbaglio).
L’ultima volta che l’ho visto mi ero segnato queste righe: Lo psicoanalista cerca di spiegare a Nino Manfredi che Marisa non esiste, che è solo una proiezione delle sue ansie infantili. «Ma come, Marisa non esiste?» protesta flebilmente Manfredi, reduce da un tentativo di suicidio e per questo ricoverato in clinica. «Marisa esiste, eccome se esiste...» L’analisi di Dino Risi, dottore laureato in psichiatria, è perfetta. Anche a me molte volte, anche senza arrivare a cose drammatiche, hanno tentato di spiegare che il problema non esiste, che il problema è solo frutto della mia fantasia, che il problema sono io: ma poi non solo Marisa esiste (qualsiasi nome abbia preso nel frattempo), ma poi le ruspe sotto casa mia sono ruspe solide, si sono già mangiate un pezzo del mio giardino, il muro di cemento che hanno tirato su è vero e lo sto toccando. Ma poi sono trent’anni che cambio canale quando vedo Canale 5, eppure Canale 5 è sempre lì, sono sempre su Canale 5. Non solo: Canale 5 si è ingrandito, si è mangiato anche la Rai, è entrato in casa mia sotto forma di governo; e potrebbe andare anche peggio in futuro. Il caso Musti anticipa il caso Carfagna, anche questo mica me lo sono sognato. Quello che fa più spavento è che dal di fuori si neghi l’evidenza, mentre nelle nostre nevrosi la realtà esterna ha un posto preponderante. (anno 2008)
Da non confondere con “Per grazia ricevuta” che è di Nino Manfredi (1971): regia di Nino Manfredi, scritto da Nino Manfredi con Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Luigi Magni, con Nino Manfredi, Lionel Stander, Delia Boccardo, Mariangela Melato, Mario Scaccia. La scrittura dei due film è ababstanza simile, il personaggio e l’interpretazione di Nino Manfredi hanno diversi punti in comune; è in questo film la scena della farmacia notturna, il dialogo col farmacista interpretato da Lionel Stander.
Una vita difficile (1961)
Regia di Dino Risi, scritto da Rodolfo Sonego. Con Alberto Sordi, Lea Massari, Claudio Gora.
Un capolavoro del cinema italiano, una storia esemplare, e finalmente un personaggio positivo per Alberto Sordi, che nel finale (scritto magnificamente) si riscatta da tutti i compromessi che ha dovuto sopportare. Non a caso, dopo questo film Alberto Sordi si terrà sempre ben stretto Rodolfo Sònego, autore del soggetto e della sceneggiatura. Da antologia anche la sequenza della cena mentre arrivano dalla radio i risultati del referendum monarchia-repubblica. Ottimi tutti gli attori, con Lea Massari in magnifica forma. E’ Claudio Gora che riceve lo schiaffone finale: un grande attore che ho avuto il piacere di vedere recitare anche in teatro (nella “Tempesta” di Shakespeare diretta da Strehler, accanto a Tino Carraro e Giulia Lazzarini). Di questo film mi dispiace soltanto la battuta di Sordi su Cantù-Cermenate, che sono due città qui vicino a casa mia. Si tratta di due paesi ben distinti: Cantù è un grosso centro, in seguito diventato famoso anche per la squadra di basket; Cermenate è un po’ più piccola. Il nome “Cantù-Cermenate” è quello della stazione delle Ferrovie dello Stato.
Profumo di donna (1974)
Da un romanzo di Giovanni Arpino, sceneggiatura di Dino Risi con Ruggero Maccari. Interpreti principali Vittorio Gassman, Alessandro Momo, Agostina Belli.
L’ho visto al cinema quando era appena uscito, a Como. Non mi era piaciuto e continua a non piacermi, e mi ha stupito molto vedere che ne è stato fatto un remake a Hollywood in anni recenti, con tanto di premio Oscar ad Al Pacino, nella parte che fu di Gassman. Probabilmente il romanzo di Arpino è migliore, ma non ho mai avuto una gran voglia di leggerlo: racconta di un ufficiale ancora giovane ma cieco di guerra, che deve essere assistito da un giovane soldato di leva. E’ però una commedia, piuttosto cinica, e non un vero e proprio dramma. Dato che al protagonista piacciono molto le donne, molte battute e molte scene sono virate sul sesso, con risultati che mi sono sempre sembrati di quart’ordine. Ho cercato di rivederlo di recente, me lo ricordavo ancora bene e continua a non piacermi. Data l’età che avevo quando l’ho visto per la prima volta, mi ricordo soprattutto di una scena e di una battuta all’inizio: il giovane soldato incontra Agostina Belli mentre lei sta facendo la modella di nudo per l’Accademia d’Arte, dove anche lui studia disegno; quando la incontra di nuovo le dice che “di solito le altre donne prima le si incontra vestite, e poi nude” ; lei ride e comincia la loro amicizia (trattandosi di Agostina Belli, la battuta non poteva passare inosservata). Il particolare triste di questo film è che Alessandro Momo, allora giovanissimo e in grande ascesa, morì poco tempo dopo alla guida di una grossa moto.
Anima persa (1977)
da un romanzo di Giovanni Arpino, scritto da Dino Risi con Bernardino Zapponi. Interpreti principali: Vittorio Gassman, Catherine Deneuve, Danilo Mattei
Sgradevole, disturbante, eppure profondo: anche questo lo avevo visto al cinema, a Como, appena uscito. Non so se lo rivedrei volentieri, non direi che sia un capolavoro, Gassman va spesso troppo sopra le righe, ma comunque merita una visione. Giovanni Arpino era uno scrittore molto presente, negli anni ’70, sia come scrittore che per i suoi articoli sui giornali; la sceneggiatura è scritta da Risi insieme a Bernardino Zapponi, abituale collaboratore di Fellini. Su internet ho trovato un buon riassunto del film, ne porto qui l’inizio: «Con Anima persa, Dino Risi abbandona momentaneamente la commedia e mette la sua professionalità al servizio del genere thriller psicologico e della storia, tesa e coinvolgente ma ricolma degli archetipi del genere, un po’ macchinosa, ingarbugliata, in affanno per il moltiplicarsi delle piste e troppo protesa al colpo di scena finale: il giovane Tino è ospite degli zii Fabio ed Elisa nella loro villa veneziana. Presto però si accorge che la casa nasconde un mistero; nella soffitta è segregato il fratello demente di Fabio, colpevole di aver causato la morte di una bambina. Tino non saprà resistere alla curiosità e aprirà la porta della soffitta…»
(continua)

Dino Risi ( IV )

In nome del popolo italiano (1971)
Scritto da Risi con Age e Scarpelli. Interpreti principali Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman.
Un grande film, forse il più politico di Risi, e di grande attualità dato che il tema è la corruzione: Tognazzi è un magistrato, Gassman un imprenditore senza scrupoli, è un film serio e la trama è molto complessa. Da rivedere con calma, non appena ne avrò l’occasione.
La marcia su Roma (1962)
Scritto da Dino Risi con Sandro Continenza, Ghigo De Chiara, Age e Scarpelli, Scola, Ruggero Maccari. Interpreti principali: Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi.
Ne ho già parlato per esteso su questo blog, è in archivio alla voce “Risi”.
I mostri (1963)
Scritto da Risi con Age e Scarpelli, Scola, Ruggero Maccari, Elio Petri. Regia solo di Dino Risi.
Interpreti principali: Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman.
Il segmento finale, quello con Tognazzi e Gassman pugili suonati, è un capolavoro assoluto. E’ molto divertente, ma fa star male perché si capisce subito che si tratta di una storia vera: il finale è splendido e indimenticabile ma è anche un autentico pugno nello stomaco, se mi si passa il gioco di parole. Uno dei “capricci” di Goya, verrebbe da dire. Di ottimo livello anche gli episodi precedenti, spesso molto brevi: Tognazzi che fa il vigile perfidissimo multatore (allora era una caricatura, ma oggi sono tutti così, anzi al loro posto ci sono i semafori taroccati, macchine inerti con le quali non si può nemmeno più discutere), ancora Tognazzi che insegna al figlio ad essere spregiudicato e a beffarsi delle regole (anche questa oggi è normalità, i bambini e le bambine tirati su in questo modo diventano ministri e ministre, sindaci e sindachesse, presidenti di enti pubblici e privati, eccetera). E poi Gassman monsignore, Gassman e Tognazzi carabinieri, e poi basta, cosa sto qui a raccontare: è un film da vedere e rivedere. Da segnalare la presenza fra gli autori di Elio Petri.
Scemo di guerra (1985)
Da un romanzo di Mario Tobino, scritto con Age e Scarpelli Interpreti principali: Beppe Grillo, Coluche, Fabio Testi
Film molto interessante, tratto da un romanzo di Mario Tobino, grande scrittore oggi purtroppo dimenticato. Tobino era un medico psichiatra, il suo libro più importante è probabilmente “Le libere donne di Magliano”, dove descrive le sue esperienze nei manicomi, prima della riforma voluta da Mario Basaglia. Altri libri di Tobino: “Gli ultimi giorni di Magliano”, “Per le antiche scale”.
Tobino era anche un reduce della campagna di Libia, e qui descrive un’altra sua esperienza di vita: ma non si tratta solo di memorie, Mario Tobino era davvero un ottimo scrittore e i suoi libri andrebbero recuperati. Sullo stesso soggetto, un ufficiale in servizio che dà fuori di testa (ma nessuno se ne vuole accorgere, ed è grave) è anche l’ultimo film di Mario Monicelli, “Le rose del deserto”, sempre tratto dai libri di Mario Tobino. Il film ha anche qualche interesse perchè è uno dei pochi girati da Beppe Grillo come protagonista (in quegli anni ci sono anche “Cercasi Gesù” di Comencini e “Topo Galileo” di Laudadio, addirittura al fianco di Jerry Hall, moglie di Mick Jagger), che se la cava benino anche se recitare non è che sia proprio il suo mestiere. A fianco di Grillo ci sono il comico francese Coluche, Bernard Blier, Fabio Testi, e molti altri attori italiani e francesi (è una coproduzione). Nel film c’è anche Claudio Bisio, che però nel suo sito ufficiale sbaglia a scrivere il nome di Mario Tobino, colpa direi gravissima.
Vedo nudo (1969)
Regia di Dino Risi, scritto da Risi con Fabio Carpi, Iaia Fiastri, Ruggero Maccari, Bernardino Zapponi. Interpreti principali: Nino Manfredi, Sylva Koscina, Véronique Vendell, Daniela Giordano
Lo ripesco dai palinsesti notturni, e scopro che è molto lungo, quasi due ore, e che è un film a episodi scritto per Nino Manfredi, che li interpreta tutti tirando fuori le sue macchiette antiche e recenti: il contadino ciociaro, l’omosessuale travestito da donna, eccetera. Scopro purtroppo che non è Sylva Koscina a interpretare l’episodio che dà il titolo al film, e che anzi la Koscina appare imbruttita da una parrucca che la fa sembrare finta, una bambola di plastica (nella sceneggiatura c’è anche una battuta su quel “toupé”). Sylva Koscina appare nel primo episodio, dove interpreta se stessa (come nel Vigile di Sordi e Zampa), soccorre un ferito in un incidente stradale, duetta con Manfredi primario d’ospedale. Nel complesso è un film molto brutto, sciatto, con pochi scatti d’ingegno e pochissime idee, forse il punto più basso di Risi. Poche idee decenti, molto belle le scenografie e gli interni, buono comunque l’inizio dell’episodio finale, il “Vedo nudo” del titolo, per la perfetta imitazione di un pubblicitario fatta da Nino Manfredi. Probabilmente il soggetto ha un’origine politica: un pubblicitario di successo riempie di nudi femminili la città e le tv, ma finisce per esserne ossessionato. Però poi il film vira subito sulla barzelletta, ed è un peccato, perché l’ambientazione “alla Antonioni”, se la si guarda bene, non ha nulla da invidiare a “Blow up”. Le premesse per fare qualcosa di più, insomma, c’erano. Era un film che aveva colpito la mia immaginazione quand’era uscito (avevo undici anni) non l’avevo mai visto per intero, vedendolo oggi trovo molte immagini “da collezione”, come un numero di Linus del 1969, e tante altre piccole cose. Curioso l'episodio dell'uomo che tradisce la moglie con una locomotiva; buona la risposta del vigile sulla domanda: "Ho visto una donna nuda che guidava l'auto: secondo lei è possibile?"
(continua)

martedì 10 gennaio 2012

Dino Risi ( V )

Paradiso per quattro ore (1953)
episodio da L’amore in città, girato con Fellini, Antonioni, Lizzani, Maselli, Lattuada.
Quindici minuti di piccole storie in una sala da ballo: poco più che un abbozzo, comunque piacevole. Peccato che non sia diventato un film intero.
Il sorpasso (1962)
Regia di Dino Risi, scritto da Dino Risi con Ettore Scola e Ruggero Maccari. Interpreti principali: V.Gassman, JL Trintignant, Catherine Spaak, Claudio Gora
Un film molto celebre, che non sono mai riuscito ad apprezzare perché mi è sempre sembrato troppo costruito; e poi non mi sono mai interessato alle automobili (che invece piacevano, e molto, ai registi e agli attori del cinema), e vien da dire che forse è l’auto sportiva di Gassman la vera protagonista del film, che la voce del clacson è la sua vera colonna sonora, e che tutto il resto è secondario. Anche la morte nel finale di Trintignant mi sembra troppo scontata, così come tutto il rapporto fra il “giovane secchione” e il “viveur quarantenne”, due maschere molto stereotipate. A rendermi poco simpatico questo film è anche il fatto che tutti citino subito una battuta, quella su “Occhiofino”: la battuta “occhio fino – finocchio” la lascerei volentieri a Lino Banfi e a Pippo Franco, ed è forse (mi dispiace dirlo) la vera cifra stilistica di questo film. Ogni tanto provo a rivederlo, l’unica cosa che apprezzo veramente del “Sorpasso” è Catherine Spaak a vent’anni (forse anche meno, a pensarci bene).
Operazione San Gennaro (1966)
Regia di Dino Risi. Scritto da Dino Risi con Adriano Baracco, Ennio De Concini e Nino Manfredi.
Interpreti principali: Nino Manfredi, Claudine Auger, Senta Berger, Totò, Mario Adorf, Harry Guardino.
Nei primi anni ’60 avevano avuto grande successo i film su rapine spettacolari e complicate, compiute in posti straordinari: il museo Topkapi di Istanbul, per esempio ("Sette uomini d'oro", o meglio ancora “Topkapi”, anno 1963, regia di Jules Dassin, con Melina Mercouri, Maximilian Schell, Peter Ustinov). “Operazione San Gennaro” è un tentativo, ben riuscito, di farne una versione all’italiana: si tratta di rubare il tesoro di San Gennaro, a Napoli. Divertente, non riuscitissimo, una delle ultime apparizioni di Totò.
Il giovane normale (1969)
Regia di Dino Risi, soggetto di Umberto Simonetta, scritto da Risi con Ruggero Maccari. Interpreti principali: Lino Capolicchio, Janet Agren.
Un film del tutto desueto e ignorato, fra quelli di Risi e non solo fra quelli. Lo recupero per caso su una piccola tv locale, tirato fuori da chissà quale magazzino. Non è male, anche se si tratta di uno dei precursori dei film con Massimo Boldi (la firma dell’autore televisivo Umberto Simonetta è del resto una cifra stilistica precisa). Racconta di tre americani che che si portano a spasso in Tunisia un giovinotto milanese, interpretato da Lino Capolicchio. Capolicchio è un attore che a metà degli anni ’60 era in piena ascesa, stava diventando molto popolare ma poi è stato messo da parte (non so perché, ma capita). La ragazza è Janet Agren. Molte belle le riprese di viaggio, tutto sommato divertente. Ne ho visto solo una parte, sconfitto dagli spot pubblicitari che lo hanno spezzettato in maniera indecente: un po’ mi dispiace, sarà difficile recuperarlo per intero. (settembre 2004)
Venezia, la luna e tu (1959)
Regia di Dino Risi, scritto da Risi con Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa. Interpreti principali: Nino Manfredi, Alberto Sordi, Marisa Allasio, Inge Schöner
Alberto Sordi e Nino Manfredi nelle vesti di due gondolieri: è possibile? Direi di no, direi anzi che è insopportabile, per uno come me di famiglia veneziana-padovana, ascoltare la finta cadenza dialettale dei romanissimi Sordi e Manfredi: che non si sono sforzati più di quel tanto per rendersi credibili. E’ la stessa sensazione di fastidio che credo abbiano provato i romani quando il milanesissimo Celentano interpretò “Er più” e “Rugantino”: sia chiaro che sono cose che si possono fare, lo si è visto per esempio a teatro con Strehler e “Le baruffe chiozzotte” di Goldoni, dove nessuno degli attori era veneziano o chioggiotto, ma tutto funzionava a meraviglia – ma qui si tratta di tutt’altra cosa. Detto questo, si è detto tutto: si aggiunga che la recitazione è quasi sempre sopra le righe, e che la storia raccontata è molto risaputa. Non è che sia un brutto film, anzi: ma proprio non lo sopporto. E, più in generale, non sopporto l’umorismo e il tipo di scrittura di Pasquale Festa-Campanile, autore del soggetto.
(continua)

Dino Risi ( VI )

Intervista con Dino Risi, 21.10.2004
(da un blog precedente, anno 2008)
Del dottor Dino Risi (era laureato in medicina, psichiatra) ho conservato quest’intervista con Claudio Sabelli Fioretti, che fu pubblicata sul “Corriere della sera Magazine” del 21 ottobre 2004. L’ho dovuta tagliare un po’ perché era molto lunga, ho cercato di togliere meno che potevo, solo i riferimenti all’attualità di quel momento (non c’è nulla di più effimero dell’attualità), e qualche ripetizione.
Dino Risi ha 88 anni. È stato uno dei più prolifici registi della commedia all’italiana. Ha diretto Poveri ma belli, il Sorpasso, Una vita difficile. Ha inventato i film a episodi con I mostri. Ha avuto amanti famose: da Anita Ekberg ad Alida Valli. Da dieci anni non gira più film, da trenta vive in un residence romano, da qualche mese è diventato scrittore (I miei mostri) per Mondadori.
- Aveva programmato di morire nel 2000.
«Ho già sforato di quattro anni».
- Ne siamo tutti felici.
«Mi sento come un inquilino abusivo. Sono rimasto senza amici. Erano tutti più giovani di me e se ne sono andati prima di me, Gassman, Fellini, Zapponi, Lapegna, Tognazzi, Mastroianni, Sordi, Manfredi. Non so più con chi parlare. Il linguaggio dei giovani è insopportabile. I miei nipoti vanno avanti a “puntocom” e “vuvuvu”. Io non ho nemmeno il coso, come si chiama, il fax. Imbuco sempre le lettere nella cassetta».
- La posta a cavallo l’hanno abolita, te l’hanno detto?
«Andava benissimo». (...)
- Una volta il Giornale scrisse che eri morto.
«Dieci anni fa. Feltri mi telefonò per chiedermi scusa. Mi disse: “Io sono un suo grande ammiratore, non dimenticherò mai Mani sulla città”. “Ma no! Io sono Risi. Quello è Rosi”. “Ah, mi scusi ancora”».
- Come vorresti morire?
«Non in automobile. Già vedo i titoli: “Muore in un sorpasso il regista del Sorpasso”. È una delle ragioni per cui non guido più».
- Hai preparato il tuo necrologio?
«Walter Chiari ha fatto scrivere sulla sua lapide: “Non preoccupatevi, è solo sonno arretrato”».
- Tu potresti fare scrivere: “Qui giace uno stupido infedele bugiardo vile ipocrita fatuo”. Sono parole tue.
«Una volta Nanni Loy mi disse: “Puoi definirti in tre parole?”. Io ho detto: “Sono un fallito riuscito”. Questa è la lapide per me».
- Le donne, l’amore, il sesso.
«Ormai me ne sono liberato. Era un’idea fissa. Ho cominciato all’età di tre anni». (...)
- Tu sei religioso?
«Laico dalla nascita».
- Ma con tua moglie Claudia ti sei sposato in chiesa.
«Lei. Io no. Io l’ho solo accompagnata. Lei si è sposata con me in chiesa, ma io non mi sono sposato con lei in chiesa».
- Ma dai.
«Ho fatto il matrimonio civile con lei, ma il matrimonio religioso non l’ho fatto». (...)
- A volte dici che sei stato fedele. A volte infedele.
«Si può esser infedeli e fedeli nello stesso tempo».
- Questa non è male.
«Mi piaceva l’infedeltà e mi piaceva tornare in famiglia. Una volta, a piazza Euclide, avevo finalmente avuto un appuntamento con Sylva Koscina. Stava per salire in macchina quando sentii le voci dei miei frugoletti: “Papà papà”. E dietro, la mamma».
- E Sylva Koscina?
«Sparita per sempre dalla mia vita». (...)
- E adesso la politica.
«Non sono mai stato della sinistra cinematografica. Non mi è mai piaciuto intrupparmi. Sono terzista anche se non so che cosa voglia dire».
- Hai conosciuto Berlusconi?
«Una volta ha invitato una decina di noi a cena. C’erano Magni, la Wertmüller, Age e Scarpelli. Alla fine si è messo al piano, con Confalonieri, ed ha cantato La vie en rose».
- Sempre la stessa scena.
«Alla fine gli ho dato un biglietto da diecimila lire: “Per l’orchestra”. Lui è stato spiritoso, l’ha strappato in due: metà l’ha data a Confalonieri».
- Voteresti mai per lui?
«Mai. Non ha la faccia da capo del governo. Io sono faccista». (...)
- Ci sono bravi attori oggi?
«Ce ne sono molti di medio livello».
- Tognazzi, Manfredi, Mastroianni, Gassman, Sordi.
«Nessuno al livello dei cinque colonnelli».
- Definiscili.
«Tognazzi simpatico, divertente, terreno, vivo, umano. Gassman intelligente e complicato. Manfredi noioso e rompiballe. Arrivava alle tre di notte e bussava alla mia porta in albergo per correggere una frase».
- E tu che gli dicevi?
«Vaffanculo. Sordi divertente ma non affidabile, chiuso. Mastroianni l’ho visto piangere per amore. Chi l’avrebbe mai detto?».
- Il più amico?
«Gassman. All’inizio lo odiavo. Era antipatico. Ma le maestre impazzivano per le sue belle gambe».
- Hai detto una volta di Visconti: è un buon arredatore.
«Ci divertivamo con Gassman a creare queste definizioni cattive. Visconti un arredatore, Fellini un fotografo. Avevamo fatto la classifica dei grandi cani mondiali. Primo, più cane di tutti, Gregory Peck».
- Quali erano i rapporti fra voi registi?
«Non ci frequentavamo quasi. Antonioni una volta mi disse: “Facevi belle cose. Perché adesso fai schifezze?”. Avevamo appena visto la prima di un mio film. Lui era con Monica Vitti. A lei piacevano i miei film, molto più dei film di Antonioni».
- Chi frequentavi?
«Qualche volta andavo col gruppo Monicelli, Scola, Age e Scarpelli. Si riunivano negli anni Sessanta per fare quegli stupidi giochi di società tipo le attinenze, i mimi. Non sapevano ancora di essere comunisti».
- I critici ti piacciono?
«Li leggo pochissimo. Non mi piace quello del tuo giornale, Paolo Mereghetti, con quelle sue frasette: “Per farsi del male”, “Riuscito a metà”, “Se non avete di meglio”, “Meglio una pennichella che vedere questo film”».
- E tu rispondi.
«Meglio una pennichella che leggere Mereghetti».
- A un giornalista una volta dicesti: “La sua è una domanda del cazzo”.
«Era vestito da cowboy. Già faceva ridere senza fare domande. Alle conferenze stampa fanno sempre domande imbecilli».
- Hai detto che Riso Amaro è un pessimo film.
«Un film terribile. Un po’ anche per colpa di Gassman. Una di quelle gigionate da vergognarsi per tutta la vita».
- Ha avuto successo.
«Grazie alle cosce di Silvana Mangano».
- Gioco della torre. Muccino o Moretti?
«Butto Moretti. Si piace troppo. Esagera».
- Di Moretti hai detto una cosa tremenda: “Spostati che non mi fai vedere il film”.
«Non mi era piaciuto. Una sdolcinatura».
- Vi siete sentiti dopo?
«Gli ho anche chiesto scusa per aver esagerato».
- Loren o Lollobrigida?
«Butto la Lollo».
- Ti sei mai innamorato della Loren?
«Mai. Non è il mio tipo. È troppa. Una bellezza prepotente».
- Monroe o Bardot?
«La Bardot aveva l’alito cattivo, come tutti i francesi che mangiano rane e cipolle».
- Che ne sai dell’alito di BB?
«Me lo disse Gassman dopo averla baciata».
- In un film. Immagino.
«Nella vita. Immagino». (...)
(Dino Risi, intervista con Claudio Sabelli Fioretti, Corsera Magazine 21 ottobre 2004)
(le immagini vengono tutte da "Vedo nudo", un film di Dino Risi del 1969)

domenica 8 gennaio 2012

Parola e utopia

Parola e Utopia (Palavra e utopia, 2000) Regia di Manoel de Oliveira. Fotografia di Renato Berta. Scenografia Rui Alves. Costumi Isabel Branco. Musiche originali di Carlos Paredes e Massimo Scapin. Con Luis Miguel Cintra, Ricardo Trepa, Lima Duarte (padre Vieira nelle tre diverse età), Renato De Carmine (padre Cattaneo), Miguel Gulherme (padre Soares), Diogo Doria (l’inquisitore), Leonor Silveira (regina Christina), Duarte de Almeida (papa Clemente X) Rogerio Vieira (re Joao IV) e molti altri. Girato a Roma, Londra, Parigi, Salvador de Bahia Durata: 130 minuti

E’ una biografia del gesuita padre Antonio Vieira, figura importante nella storia del Portogallo, nato nel 1608, amico degli indios e dei negri, grande predicatore. Il film è visivamente bellissimo, ricorda Paradzhanov nei suoi passaggi più visionari e fantastici, e Rossellini nei momenti storico-descrittivi; la luce è speso quella di Vermeer e di Rembrandt, il colore rosa del convento è stupendo. Vermeer, ma a volte Hopper: come la finestra a 1h22’. Insomma, un Manoel de Oliveira al quadrato, bello come “Le soulier de satin”. Le difficoltà vengono dall’argomento, che è strettamente legato alla storia del Portogallo (che io conosco pochissimo), e ai sermoni originali di padre Vieira, belli e spesso surreali (come la predica sul polipo) ma spesso assai difficili. Segnalo anche la grande bellezza dei crocifissi scelti da Oliveira per questo film, e le chiese e i pulpiti che fanno da sfondo alle prediche di Vieira.
Leggendo le recensioni su questo film (pochine e quasi tutte annoiate) viene da pensare una volta di più che fare il critico cinematografico di mestiere non è esattamente un piacere, non sempre almeno. Per fortuna, oggi il mestiere di critico (cinematografico, letterario, musicale, d’arte) è ormai quasi definitivamente estinto, soppiantato dal marketing e dalla pubblicità; e si parla quasi soltanto di film facili e commerciali; quindi si può anche evitare di raccontare i film belli e originali, a chi vuoi che importino. Per parte mia, sono invece contentissimo di aver visto questo film, e ringrazio Ghezzi e Raitre che lo hanno trasmesso, sia pure nottetempo (come si conviene ormai ai capolavori), e ringrazio anche l’invenzione degli apparecchi per registrare le immagini, altrimenti non sarei mai riuscito nemmeno a conoscere Manoel de Oliveira.
Nel frattempo, ho imparato qualcosa che non sapevo (altro grave difetto, visti i tempi che corrono). Questa breve biografia di padre Vieira viene da un sito di numismatica, “Numismatica e storia” http://numistoria.altervista.org/  da dove ho preso anche le immagini.
Padre António Vieira (Lisbona, 6 febbraio 1608 – Salvador de Bahia, 18 luglio 1697) è stato un gesuita, missionario e scrittore portoghese. Si tratta di uno dei personaggi più importanti del secolo XVII in campo politico, distinguendosi anche come missionario in Brasile. In questa veste difese infaticabilmente i diritti umani degli indigeni, combattendo le esplorazioni e la schiavitù. Veniva chiamato Paiaçu (Padre Grande). Nato da un copista della Inquisizione a Lisbona, all'età di sei anni, nel 1615, andò a raggiungere il padre che anni prima si era trasferito in Brasile, a Salvador de Bahia. Fu educato nell'unica scuola presente allora, il collegio gesuita di Bahia; entrò al noviziato gesuita nel 1623. A causa dell'invasione olandese in Brasile, António Vieira fu costretto a rifugiarsi nelle zone interne del paese; qui sentì la vocazione missionaria e nel 1625 pronunciò i primi voti. All'età di diciotto anni iniziò a studiare presso il collegio di Olinda, dove approfondì la retorica, la logica, la fisica, la matematica, l'economia e la teologia dogmatica. Nello stesso periodo scrisse le lettere annuali della provincia. Nel 1635 fu ordinato presbitero e iniziò presto a distinguersi come oratore: i tre sermoni patriottici che pronunciò a Bahia negli anni 1638-40 si connotano per la loro potenza di immaginazione e per la dignità del linguaggio. In partiocolare, il sermone per la vittoria del Portogallo sull'Olanda è stato commentato da Abbé Raynal come "il discorso più straordinario mai sentito da un pulpito cristiano". La sua opera ha ispirato il film Parola e utopia di Manoel de Oliveira. Nel gennaio 2011 la zecca del Portogallo ha emesso una moneta d'oro del valore di 1/4 di euro (25 centesimi) a lui dedicata. Essa fa parte della serie Portugal universal, composta da nove monete dedicate a importanti personaggi della storia portoghese. La moneta è in oro puro, pesa 1,56 grammi ed ha un diametro di 14 millimetri; la tiratura è di 10.000 pezzi.
All’inizio del film, il giovane Vieira prende i voti giurando fedeltà al Papa, ma promettendo a se stesso e a Dio di aiutare gli indios e i neri (l’impero coloniale portoghese, dall’Africa al Brasile), dei quali si dispone ad imparare le lingue. Inizia presto a predicare.
VIEIRA: ...si pensa che la maggiore preoccupazione dell’uomo sia il cibo. Guardatevi attorno, e vedrete come tutto si riduce nella ricerca di qualcosa da mangiare. Che cosa fa il contadino quando ara la terra, la scava, la irriga, la monda, la semina? Cerca il cibo. Che cosa fa il marinaio quando issa le vele, scandaglia il fondale, lotta contro le onde e contro i venti? Cerca il cibo. E lo studente quando prende appunti, scorre i libri, si rovina gli occhi per leggere? Cerca il cibo. Tutto si risolve nella ricerca del cibo, e tutte le energie vengono spese per trovarlo.  Non c’è terra più difficile da governare della propria patria, e non c’è ordine più mal tollerato e mal eseguito di quello dato da un nostro pari.
(minuto 20)
Vieira parla qui del potere temporale, dopo aver parlato del potere spirituale:
VIEIRA: ...lanciare fulmini, scuotere il mondo con i tuoni, assalire torri, saccheggiare case, ammazzare uomini: tutto è molto facile per chi ha il potere e abusa di esso.
Sullo sfondo, un grande crocifisso; dietro ancora, la Morte: un santo col teschio in mano, in una statua che sembra una vera figura umana. Alla fine di questo sermone, padre Antonio Vieira viene arrestato. Nella cappella vuota, una colomba vola cercando inutilmente di uscire.
Sono gli anni in cui Giovanni IV (Joao IV) separa il Portogallo dal Regno di Castiglia.

Al minuto 25, padre Antonio viene espulso dal suo Brasile. La predica seguente è letta mentre scorrono immagini di onde sul mare aperto (l’Oceano):
VIEIRA: ...ma già che siamo negli anfratti del mare, prima di uscirne fuori vi troviamo fratello polipo: a cui vengono rivolte lagnanze, e grandi. Il polipo, con quel suo cappello in testa, sembra un monaco; con quei raggi distesi, sembra una stella; con quel suo non avere né osso né spine sembra l’immagine della mitezza e della mansuetudine. E sotto quest’apparenza così modesta, questa ipocrisia così santa, testimoniano concordemente i due grandi dottori della Chiesa, il greco san Basilio e il latino sant’Ambrogio, che il suddetto polipo è il più grande traditore del mare. Oh grande lode veramente ai pesci, e grande ignominia e confusione agli uomini.
La nave fa naufragio, si capovolge e poi ritorna dritta; prima ancora era stata assaltata dai pirati olandesi. Don Antonio Vieira sbarca alle Azzorre, dopo il naufragio, prima di tornare in Portogallo, e ringrazia il Signore citando Giona.
A Coimbra, nel 1663, è sotto processo: è lì che inizia il film. Questa prima parte è in flashback, o quasi.
Il 23 dicembre 1667 Vieira viene condannato: gli si vieta di predicare e viene rinchiuso in un convento. Però il suo accusatore muore pochi giorni dopo, e il primo gennaio del 1668 viene deposto Alfonso VI. A giugno padre Antonio è libero, e nel 1669 viene mandato a Roma a perorare la beatificazione di Ignacio Acevedo e anche per precauzione. A Roma padre Antonio Vieira fa le sue prediche dalla Chiesa dei Portoghesi, e diventa presto celebre. Conosce e frequenta anche Cristina di Svezia.
Qualche notizia storica, presa dalla Garzantina:  Cristina di Svezia (1625-89) figlia di Gustavo Adolfo, regina di Svezia dal 1632 al 1654. Fu donna colta e sovrana illuminata; abdicò a favore di Carlo X Gustavo, e si convertì al cattolicesimo. Dopo aver abdicato si trasferì a Roma, e nel suo palazzo romano nacque l’Accademia Clementina (il papa era Clemente X), punto d’origine del movimento dell’Arcadia. Clemente X fu papa dal 1670 al 1676, il romano Emilio Bonaventura Altieri, eletto al soglio in età avanzata (era nato nel 1590). Prima di lui Clemente IX , il pistoiese Giulio Rospigliosi, papa per soli due anni. (nell'immagine qui sotto, la regina Cristina è con Cartesio)
Questo sermone parla del Portogallo: Vieira si riferisce a una leggenda sui 30 denari di Giuda, parte dei quali sarebbero stati spesi per una piccola terra, appunto il Portogallo.
VIEIRA: ...nascere piccolo e morire grande è arrivare ad essere uomini. Per questa ragione Dio ci ha concesso così poca terra per i nostri natali, e così tanta per la nostra sepoltura. Per nascere poca terra, per morire tutta la terra. (minuto 47)
Al minuto 50, davanti a Cristina di Svezia, due musici e due cantanti (un bambino e un tenore) terminano una Cantata su David.
VIEIRA: Mirabile fu David nell’arpa, e mirabile nella fionda. Con l’arpa cacciava i demoni, con la fionda ammazzava i giganti. Queste sono le due azioni o le due scene di questo nostro gran teatro. Arpa e fionda, coro e pergamo, musica e predica, ambedue per lo stesso fine. La musica è come l’arpa di Davide non è solo per ricreare i sentimenti e per cacciar via dal cuore di Saul lo spirito maligno che, come padre della discordia, ancor per antipatia naturale, è nemico della consonanza. La predica è come la fionda di Davide, non serve per gioco o per tirare all’aria ma è per ferire, per uccidere, per gettare ai piedi di Dio i suoi nemici, tanto più quanto più sono grandi.  Dividendo dunque il teatro, e cedendo a ciascuno lo strumento che gli appartiene, ai musici lascio io l’arpa, e per me prendo la fionda. Spiriti romani e generosi, se volete statue nel Campidoglio, o di questo o dell’altro mondo, sappiate che ognuno in capo suo porta la miniera dei metalli. Se vi conoscerete come corpo, tutta la statua sarà di creta; se vi conoscerete come anima, tutta la statua sarà d’oro. Conoscetevi nobilmente, e questo basta. (...)
Poi si fa scappare due parole in portoghese, e Cristina di Svezia ride; ma Vieira prosegue nel sermone, rivendicando il diritto a usare ogni lingua, pur nel rispetto per il latino. Nella scena seguente, sempre di fronte alla regina Cristina, disputa con Geronimo Cattaneo (interpretato da Renato De Carmine) su Democrito ed Eraclito, cioè sul riso e sul pianto: dice che il pianto è la ragione (ma prima aveva fatto scegliere a Cattaneo, e Cattaneo aveva scelto il riso).
Vieira viene benedetto da papa Clemente X, e poi gira l’Europa (Olanda e Francia) discutendo con calvinisti e rabbini. Torna anche in Spagna e in Portogallo, pur tenendo presente l’Inquisizione spagnola che ancora lo tiene sotto processo. Ha i primi problemi con la vista e comincia a portare gli occhiali, che non ama.
A 66 anni dice che sono già 35 volte che attraversa l’Oceano: «Che cosa sa chi ha visto il mare solo da terra?»
Conflitti fra il re del Portogallo e il Papa, che si lamenta di non ricevere gli atti dei processi dell’Inquisizione. Il re la ritiene un’ingerenza. A Roma, è amico di padre Giampaolo Oliva.
Nel 1681, a settant’anni passati, chiede al re di tornare in Brasile, e viene accontentato. In Brasile avrà ancora problemi, perché difende con toni accorati e veementi i negri e gli indios; verrà per questo nuovamente sospeso come tanti anni prima. «Né di vivere né di morire mi è accordato...» (a 1h54’)
Vieira si rivolge al suo superiore, il padre generale dei gesuiti, che gli “renderà” la voce di cui era stato privato: ma la lettera giunge quando padre Antonio Vieira è già morto. «Tutto è vento, tutto è fumo» sono le sue ultime parole.
Oltre ai sermoni, padre Vieira scrive libri come “La storia del futuro” (del Portogallo) e “Clavis prophetarum”: tra le cose che gli rimproverava l’Inquisizione c’era anche questa sua passione per i profeti e per le profezie.
Il film dura due ore e cinque minuti, poi c’è una serie di frammenti: una sequenza degna di Dreyer, impressionante, appare dopo la fine. Sul letto di morte, padre Antonio si rialza tre-quattro volte, per poi giacere definitivamente. «Non temo la morte, temo l’immortalità», dice la sua voce fuori campo, da un suo sermone. All’inizio e alla fine l’attore Lima Duarte legge brani di Vieira accompagnato da un sitar.
Duarte interpreta nel film padre Vieira da vecchio. Padre Vieira da ragazzo è Ricardo Trepa, nella parte centrale della sua vita l’interprete è Luis Miguel Cintra, mentre la regina Cristina è interpretata da Leonor Silveira. Nel film si cita anche «Sei stato pesato e sei stato trovato mancante», frase del profeta Daniele a re Baldassarre: è “mané, techel, farès”.