martedì 28 giugno 2011

Il silenzio ( I )

IL SILENZIO (Tystnaden, 1962). Scritto e diretto da Ingmar Bergman. Fotografia: Sven Nykvist - Musiche: P.A. Lundgren, con inserti di J.S.Bach - Montaggio: Ulla Ryghe - Con: Ingrid Thulin (Ester), Gunnel Lindblom (Anna), Jörgen Lindström (Johan, figlio di Anna), Hakan Jahnberg (cameriere in albergo), Birger Malmsten (l’uomo di Anna), Eduardo Gutierrez e Gli Eduardini (troupe di nani acrobati), Lissi Alandh (donna del locale di varietà), Leif Forstenberg (uomo del locale di varietà), Nils Waldt (il cassiere), Birger Lensander (l'usciere), Eskil Kalling (il proprietario del bar), K.A. Bergman (il giornalaio), Olof Widgren (il vecchio). Durata: 95 minuti -

Intorno a “Il silenzio”, uno dei film più famosi ed enigmatici di Bergman, ci sono stati e ci sono ancora moltissimi interventi, quasi tutti a sproposito. La maggior parte di questi interventi, cioè quelli del tempo in cui uscì il film, sono dettati con ogni evidenza dall’emotività e dalla mancanza di tempo per riflettere e per provare a capire, e quindi le imprecisioni sono più che giustificate, soprattutto se si pensa che questo film fu abbondantemente tagliato e modificato (nei dialoghi) dalla censura, che arrivò perfino a vietarlo considerandolo scandaloso. Quindi una visione completa di “Il silenzio” è possibile soltanto oggi, quando abbiamo davanti la versione completa e originale del film, sia pure soltanto in dvd. Per questa ragione mi ha stupito molto trovare proprio sul dvd un intervento critico dove si comincia dicendo che il titolo avrebbe dovuto essere “Il silenzio di Dio”: non solo Ingmar Bergman non ne parla, ma in “Immagini” (il libro dove parla di tutti i suoi film) Bergman indica quale doveva essere il titolo originale (“Timoka”, il nome della città) ma mette “Il silenzio” non tra i film a tematica religiosa (il capitolo “Miscredenza e fede”, dove ci sono Il settimo sigillo, Come in uno specchio, Luci d'inverno) ma alla voce “Sogni e sognatori”, apparentandolo a Il posto delle fragole, L'ora del lupo, Persona, L'immagine allo specchio e Sussurri e grida. Dato che “Immagini” è uscito vent’anni fa, mi sembra strano che nel presentare il film non si sia tenuto conto di questo libro dove c’è l’intervento diretto dell’autore. “Il silenzio di Dio” è in altri film di Bergman, non nel “Silenzio”: in questo film la tematica religiosa è appena accennata, nascosta dietro le quinte e non in primo piano. Per citare quello che dice Gunnar Björnstrand in “L’occhio del diavolo”, qui siamo su un livello molto più vicino alla nostra terra e alla nostra condizione umana.
Per questi motivi, la tentazione di fare piazza pulita di tutto quanto è stato detto e scritto su “Il silenzio” è molto grande: e in questo senso procedo, aiutato dalle pagine scritte da Bergman in prima persona, che già dal loro incipit vanno in tutt’altra direzione. Però prima di tutto vorrei riportare questo dialogo tra le due sorelle, che avviene nella parte finale del film.
Siamo al minuto 70 circa: Anna (Gunnel Lindblom) dice alla sorella che è stanca delle sue prediche e del suo senso di superiorità, e lo fa in circostanze decisamente e apertamente sconvenienti e provocatorie nei riguardi della sorella.
Anna: ...ti sei messa in testa di essere un tipo a parte, non sai vivere se non ti senti diversa, questa è la verità. A te piace solo ciò che è “di importanza vitale”, significativo, “dotato di un senso”...
Ester: E come dovremmo vivere, allora? (...)
Il tema vero di questo film è probabilmente la solitudine dell’artista, vero o presunto che sia. Chi si occupa di cose “alte” finisce prima o poi per isolarsi, o per essere isolato: gli altri, la maggior parte della gente, anche le persone più vicine e più care, smettono di capire di che cosa si sta occupando e vanno altrove, o magari si ribellano apertamente, come fa Anna con sua sorella in questo film.
E’ il tema che verrà toccato apertamente da Tarkovskij con “Andrej Rubliov”, l’artista punito per la sua diversità, per il suo talento che disturba. E’ il Silenzio dell’artista, più che il silenzio di Dio.
Anche noi oggi, guardando fuori dalla finestra come fa il bambino protagonista, possiamo vedere carri armati per la strada (oggi la guerra in Libia o in Afghanistan, dove sono impegnati nostri soldati e mezzi), e uscendo possiamo incontrare gente che parla in maniera a noi estranea (non necessariamente stranieri...). E’ un’impressione che capita spesso, da bambini, di trovare persone adulte che non comprendiamo, che magari sono gentili e ci fanno giocare, ma che ci risultano estranee, magari simpatiche ma incomprensibili, come il vecchio cameriere al piano o come i nani acrobati ospiti dell’albergo: ma anche loro sono stati bambini, anche i nani si divertono quando trovano un bambino e possono tornare a giocare con lui, quasi come i burattini con Pinocchio (la scena è molto simile, compresa l’arrabbiatura del capocomico, un Mangiafuoco meno imponente e senza barba ma comunque molto arrabbiato); e naturalmente anche il bambino non è estraneo all’incomprensione verso agli altri, dato che non restituisce le fotografie al vecchio cameriere. Non solo non le restituisce: le nasconde sotto un tappeto. Eppure sono foto di famiglia, il vecchio gliele aveva mostrate per cortesia, per simpatia.
Per completare almeno in parte questo discorso riporto qui quello che ho scritto per un film di Bertolucci che ha la stessa età di “Il silenzio”, “Prima della rivoluzione”: il senso di essere estraneo, la percezione di avere interessi diversi e di essere respinti anche da chi si ama (come capita al personaggio di Ingrid Thulin nel film di Bergman) è qui vista in chiave politica, ma il senso complessivo del discorso è molto simile.
da “Prima della rivoluzione” di Bernardo Bertolucci (1963):
La parte del film veramente politica (politica in senso alto, nel vero senso della parola) è rappresentata dal dialogo che avviene nel finale, alla Festa dell’Unità nel Parco Ducale di Parma tra Cesare (Morando Morandini) nelle vesti di maestro e il giovane Fabrizio (Francesco Barilli) nella parte del giovane allievo. La trascrivo qui sotto perché molti suoi passaggi sono ancora di grande attualità, e si merita una lettura attenta. Si parte dai lavori per l’allestimento della Festa dell’Unità a Parma, e tutto il dialogo si svolge mentre ascoltiamo la canzone “avevo quindici anni”
- Sento che è tutto sbagliato, che anche questo modo di divertirsi è tutto sbagliato.
- E’ tutto il pomeriggio che vai avanti così...Cosa vuoi?
- Ma non c’è mica bisogno che te lo dica, che cosa voglio. Credevo che parlassimo la stessa lingua, io e te...che volessimo le stesse cose.
- Ma dai....la gente per divertirsi vuole vuole vedere Celentano da vicino, Mina...
- Per questo dico che è tutto sbagliato. E dire che ho passato metà estate a girare per le sezioni...Giuro che qui sta andando tutto a puttane. (tre ragazze fanno commenti sulla morte di Marilyn Monroe) Il popolo prende quello che gli si dà...mi fa paura.
- Beh, finché siamo noi a dare.
- Il popolo accetta ciecamente. E se fossimo nell’errore?
- In questo senso avremmo potuto sbagliare da sempre.
- Infatti avete sbagliato. No, non dico gli errori piccoli, gli errori degli uomini: avete sbagliato perché in vent’anni il popolo non si è formato neppure uno straccio di coscienza.
- Noi abbiamo le prove che una coscienza popolare esiste, e anche fortissima.
- Lo so cosa intendi, ma i fatti del luglio 1960 (la rivolta al governo Tambroni) non mi bastano. Non mi bastano le rivoluzioni di un giorno...
-Non contanto le lotte, gli scioperi, le conquiste sindacali?
- Non mi bastano gli scioperi, le agitazioni sindacali, i primi maggio con le bandiere rosse. Nel ’48, forse...(...)
- Il proletariato ha degli ideali, non dimenticarlo.
- Il proletario ha un solo ideale, irrazionale; ma non ne ha colpa, avete permesso che sognasse una dignità borghese e adesso vuole confondersi con i borghesi, vestire abiti borghesi, vedere gli spettacoli borghesi, leggere libri borghesi...
- I lavoratori vogliono migliorare le loro condizioni economiche, mi sembra giusto.
(passano Enore e il fratellino, anche loro all’opera per la Festa dell’Unità)
- Che cosa ha fatto il partito per Agostino?
- E tu che cosa hai fatto per Agostino? Tu dormivi, e la sua morte ti ha svegliato...E poi perché pretendi dal partito quello che non hai saputo fare tu?
- Proprio perché non l’ho fatto io.
- Ormai sei fuori, e credi di essere più dentro degli altri. Eh, ne ho già visti come te...Il tuo problema è un altro: se tu avessi più coraggio parleresti di Gina.
- Tu mi hai portato un libro, una volta...C’era una frase sottolineata: “Gli uomini fanno la loro storia in un ambiente che li condiziona”. Tu me l’hai spiegato così: gli uomini agiscono in un ambiente che esisste già, ma sono gli uomini a fare la loro storia, non l’ambiente in cui vivono. Io sono il fallimento di quella frase. Bisogna aprire gli occhi: tu volevi modificarmi, anch’io l’ho sperato. E invece io sono una pietra, non muterò mai. (...) Così, per me l’ideologia è stata come una vacanza, una villeggiatura. Credevo di vivere gli anni della Rivoluzione, invece vivevo gli anni prima della Rivoluzione, perché è sempre prima della Rivoluzione quando si è come me.
Il finale confermerà questa affermazione: Fabrizio ritorna nella sua classe d’appartenenza, sposando Clelia che fa parte della ricca borghesia, col palco di famiglia al Regio. La rivoluzione (“avete da perdere solo le vostre catene”, citazione dal Manifesto) non lo riguarda; la politica non lo riguarda, riguarda altri, quelli come Cesare e come i ragazzi della Festa dell’Unità.
A questo punto, lasciato Bertolucci, andrei direttamente al finale del “Silenzio” di Bergman: come gli aveva promesso, Ester ha dato al bambino un foglio con l’elenco delle parole straniere: l’ultima è ANIMA.
E’ con questa parola che si chiude il film, ANIMA: molto più di un indizio, direi.
(continua)

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