L’infedele (Trolösa, 2000). Regia di Liv Ullmann. Scritto da Ingmar Bergman. Fotografia: Jörgen Persson. Montaggio: Sylvia Ingemarsson. Musica: Mozart (Il flauto magico), Bruckner (Sinfonia n.5), Brahms (Quartetto op.60), Böltz (Le baccanti). Con Lena Endre (Marianne Vogler), Erland Josephson (l’autore - Bergman), Krister Henriksson (David), Thomas Hanzon (Markus), Michelle Gylemo (Isabelle, figlia di Marianne e Markus), Juni Dahr (Margareta, amante di Markus), Philip Zanden (l’avvocato Martin Goldman), Thérèse Brunnander (Petra Holst), Marie Richardson (l’avvocato Anna Berg). In teatro: Stina Ekblad (Eva), Johan Rabaeus (Johan), Jan-Olof Strandberg (Axel), Björn Granath (Gustav), Gertrud Stenung (Martha), Åsa Lindström (suggeritore), Tomas Glaving (studente). Durata: 2h30’
“L’infedele” è un soggetto di Ingmar Bergman affidato alla regia di Liv Ullmann: non è la prima volta che Bergman cede sue sceneggiature ad altri registi, dato che Bergman inizia a lavorare per il cinema proprio come sceneggiatore, proseguendo poi a passare suoi soggetti ad altri registi ancora negli anni ’50 e ’60. In anni più recenti, e per ricordare solo alcuni titoli, “Con le migliori intenzioni” (1992) ha la regia di Bille August, “Il figlio della domenica” (sempre del 1992) è affidato alla regia di Daniel Bergman, uno dei figli di Ingmar. “Conversazioni private” del 1996 aveva la regia già affidata a Liv Ullmann; ma i film su soggetto e sceneggiatura di Bergman affidati ad altri sono molti, ed elencarli tutti sarebbe troppo lungo.
Protagonista è ancora una volta Erland Josephson, amico di vecchia data di Bergman, qui utilizzato come alter ego: nella sua sceneggiatura il personaggio si chiama proprio “Bergman”, e in un’intervista d’epoca Bergman dice ridendo che lo avrebbe volentieri interpretato lui, ma che Liv Ullmann si è opposta dicendo che “come attore sei proprio un cane, meglio chiamare Erland”. E, ovviamente, Erland (Josephson) recita benissimo la parte dell’Autore, Liv Ullmann gli dedica molti primi piani, e a tratti si rimane incantati a guardarlo.
L’inizio del film è molto bello: la situazione è quasi la stessa usata da Pirandello nei Sei personaggi, o magari da Palazzeschi in Perelà l’uomo di fumo: il personaggio che si materializza davanti all’Autore, discutendo con lui del suo carattere e della sua storia personale, con autonomia propria e con molta commozione. Il personaggio è una donna sui quarant’anni, interpretata da Lena Endre; è un’attrice di teatro e si chiama Marianne. Un altro rimando obbligato è a Strindberg, “Il sogno”, ma nel finale Marianne appare come una vera e propria Musa ispiratrice: il personaggio ha finito il suo percorso ma la Musa promette che tornerà, lei e l’Autore si salutano per rivedersi ancora.
Il resto del film non è che mi abbia molto appassionato, ho trovato il soggetto poco interessante ma può essere una mia colpa; questo è comunque il riassunto che ho trovato su wikipedia: «Una donna, creata dall'immaginazione e dalla vita di un anziano scrittore di nome Bergman (interpretato da Erland Josephson), gli racconta la propria storia.Marianne è una quarantenne, attrice di teatro, molto bella, sposata con un direttore di orchestra, Markus. Nasce una relazione amorosa con il loro comune amico regista David. Prima sembra una semplice avventura senza importanza, poi diventa una vicenda dalle conseguenze gravi che porta al divorzio e ad un doloroso conflitto per l’affidamento della loro figlia Isabelle. Markus approfitta un'ultima volta di Marianne, seducendola con la prospettiva di riavere la figlia. Poi, si toglie la vita, dopo aver cercato di convincere la bambina a seguirlo nell'estremo viaggio. Abbandonata da David, che sarà lacerato dal rimorso per il resto della vita, anche Marianne risulta essere morta per annegamento. Per quanto tutti i personaggi sono inventati, e senza riferimenti temporali, vi è un vago riferimento con le esperienze di vita vissuta da Ingmar Bergman.»
All’inizio del film c’è anche una didascalia scritta da Bergma, molto enfatica e pomposa (un po’ troppo): «Nessuna forma di fallimento comune, né malattia o rovina finanziaria, né sfortuna professionale, provoca un’eco tanto crudele e profonda nell’inconscio quanto il divorzio. Tocca direttamente l’origine dell’angoscia e la risveglia, con un colpo solo penetra fin dove arriva la vita.»
Il film inizia con un carillon che suona “Ein Mädchen oder Weibchen”, una delle arie di Papageno nel Flauto Magico di Mozart, che ascolteremo molto nel corso del film. Più avanti, al minuto 41 circa, un altro carillon suona sempre un brano dal Flauto Magico, che stavolta è la musica del glockenspiel nella scena dell’incantamento di Monostato, quando Papageno e Pamina cercano di fuggire dal palazzo di Sarastro.
Su questa musica vediamo Erland Josephson sulla riva del mare, tra gli alberi, ed è forte l’impressione di rivedere Sacrificio di Tarkovskij, sembra quasi che il protagonista di quel film (lo stesso Josephson) sia tornato a casa, e che questo ne sia il seguito. Ma “L’infedele” è tutt’altra cosa dal film di Tarkovskij, come vedremo presto.
Erland Josephson, l’Autore, è poi alla sua scrivania e apre un cassetto con delle foto, quasi come farà Liv Ullmann in “Sarabanda” due anni dopo. Qui appare il personaggio di Marianne, “Marianne Vogler, la famosa attrice” (vedi “Il volto”, il mago Vogler...) sposata con Markus, direttore d’orchestra; dapprima è solo una voce, poi quando l’Autore ne ha fatto la descrizione la vediamo comparire.
«Parliamo di David», le dice l’Autore, e si comincia la narrazione.
David è un regista di teatro, molto amico del marito di Marianne. Al minuto 15, David è in crisi dopo la separazione dalla moglie e Marianne lo consola, ma ancora senza far l’amore con lui; nel ricordare questo momento dice all’Autore che per la prima volta lo aveva guardato come una persona realmente esistente. A questo proposito, interroga l’Autore:
Marianne: Perdonami la domanda stupida, è ancora un gioco?
L’Autore: Perché stiamo giocando? E’ un diversivo prima della morte, nello spazio oscuro del tempo che rimane. Le cose accadono solo perché il tempo stringe, un’attrazione, un vortice che ti attira, le emozioni dimenticate che cominciano a riaffiorare...Sto cercando la risposta a domande che tanto tempo fa ho dimenticato di fare (...) chiederò a Marianne di aiutarmi, e così giochiamo con domande sempre più pressanti e troviamo difficile fermarci.
Marianne: Non capisco esattamente di cosa stai parlando, ma immagino cosa intendi dire: che dobbiamo continuare.
L’Autore: Sì.
Marianne: E allora facciamolo, anche se questa parte non mi piace molto. La domanda è: che si fa, adesso?
L’Autore: La lettera di David. (Marianne comincia a leggere la lettera)
Il soggetto, dopo un ottimo inizio, finisce però per diventare qualcosa tra Beautiful (l’ambientazione tra gente ricca e famosa, le belle case e i bei vestiti) e il racconto di un fatto di cronaca nera. Lo si guarda volentieri perché è ben fatto e ben recitato, ma alla fine non rimane dentro molto, e parlando di Ingmar Bergman questo è un vero peccato.
Bergman nei suoi film migliori non è mai così esplicito nel mostrare i sentimenti, forse il soggetto andava completato e rifinito ma non ci è riuscito e ha preferito affidarlo ad altri, anche per toglierselo di torno (capita, lo spiegava bene anche Italo Calvino, in molti casi la pubblicazione di un libro è anche un modo di considerare concluso un percorso che in realtà non era affatto concluso ma si era fatto troppo lungo o troppo complicato, spesso inutilmente complicato). Devo dire che non apprezzo affatto i particolari troppo espliciti nei rapporti sessuali, Bergman ha spesso questa tentazione “pornografica” (vedi anche “Persona”, il racconto di Bibi Andersson), che però nei suoi film è quasi sempre fuori posto. Si tratta comunque di poca cosa, soprattutto in rapporto a quello che si viene a sapere nel finale, e cioè che la bambina si è salvata per poco.
Ottima la regia di Liv Ullmann, bellissimo l’uso della luce, una luce chiara e nitida, magnifici e molto confortevoli gli arredi, ottimi gli attori
Alcune note sparse: 1) David parla di fallimento, cosa che lo apparenta col personaggio interpretato da Max von Sydow in “Passione”. 2) Isabelle, figlia di Markus e Marianne, che a Marianne appare così legata al padre da sembrare a lei estranea e misteriosa, è la protagonista occulta del film, o forse così vorrebbe essere, i litigi fra gli adulti passano su di lei, lei assiste ai litigi e cerca di nascondersi. Forse stava qui il vero interesse del soggetto, che probabilmente andava trattato come in “Il silenzio”, dove il bambino è al centro della narrazione anche se l’azione del film non passa attraverso di lui. 3) Un po’ goffi e vagamente fastidiosi gli accenni a persone realmente esistenti nell’ambito del cinema e dello spettacolo, Toscan du Plantier, Isaac Stern, Tullio Pineda, Gerard Corbiau; goffa e di maniera anche la rappresentazione del direttore d’orchestra, roba da spot pubblicitario. 4) Nel finale, come accade spesso in Pirandello, la verità che avevamo appresa verrà messa in discussione: Marianne scoprirà che Markus aveva un’amante da vent’anni, ma lei non se ne era mai accorta. Magdalena è l’amante di Markus, ed è interpretata da un’attrice che non conoscevo, si chiama Juni Dahr e mi è piaciuta moltissimo, anche più di Lena Endre. 5) Nella versione italiana Omero Antonutti doppia Josephson, Roberta Greganti doppia Lena Endre.
Il rischio con soggetti come questo è di far passare per degli idioti i protagonisti, che in effetti si comportano come tre idioti, rovinando la loro vita e quella degli altri. E’ un rischio che viene superato grazie all’ottima regia e all’ottima prova degli attori, ma forse sta qui il motivo della delusione che si prova alla fine della vicenda; e va comunque detto che anche noi nelle nostre vite quotidiane ci comportiamo spesso come idioti, e che quindi il film va considerato, da questo punto di vista, molto realistico. Mentre scrivo, tra l’altro, sono appena accaduti due tristissimi fatti di cronaca ancora più cupi di questo raccontato nel film: non sarà né la prima né l’ultima volta, purtroppo.
A risollevare il tutto c’è però un ottimo finale, con il saluto tra Marianne e l’Autore, e con il carillon di Papageno come all’inizio, il mare e l’orizzonte lontano in cui perdersi.
Nel corso del film vediamo frammenti di opere realizzate in teatro: la sequenza più lunga è dedicata a una tragicomica rappresentazione di “Il sogno” di Strindberg, dove in mezzo a un bel campionario di attori nevrotici e superficiali diventa difficile riconoscere nella protagonista (la figlia di Indra) Stina Ekblad, cioè il misterioso e androgino Ismael di “Fanny e Alexander”.
Nel finale, Marianne è protagonista di “Le baccanti” di Euripide, in un allestimento stavolta molto suggestivo del quale vediamo pochi istanti.
Altri titoli citati o accennati nel corso del film: Ostrovskij, “La sposa senza dote” e Botho Strauss, “Die Widmung” (la Dedica).
Le musiche:
Mozart, Il flauto magico (al carillon), due arie di Papageno
Anton Bruckner: finale della Sinfonia n.5
Johannes Brahms: quartetto op.60 il terzo tempo
Daniel Börtz (svedese, 1943): musica per Le Baccanti di Euripide
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