IL SILENZIO (Tystnaden, 1962). Scritto e diretto da Ingmar Bergman. Fotografia: Sven Nykvist - Musiche: P.A. Lundgren, con inserti di J.S.Bach - Montaggio: Ulla Ryghe - Con: Ingrid Thulin (Ester), Gunnel Lindblom (Anna), Jörgen Lindström (Johan, figlio di Anna), Hakan Jahnberg (cameriere in albergo), Birger Malmsten (l’uomo di Anna), Eduardo Gutierrez e Gli Eduardini (troupe di nani acrobati), Lissi Alandh (donna del locale di varietà), Leif Forstenberg (uomo del locale di varietà), Nils Waldt (il cassiere), Birger Lensander (l'usciere), Eskil Kalling (il proprietario del bar), K.A. Bergman (il giornalaio), Olof Widgren (il vecchio). Durata: 95 minuti
Due miei appunti del secolo passato:
E’ da ripensare e da rivedere con calma. Non è nemmeno un film particolarmente angoscioso, anzi: quando il bambino gira per il corridoio ci sono parecchie scene buffe. Il personaggio della Thulin invece potrebbe quasi stare in “Sussurri e grida”, mentre Gunnel Lindblom rovina un po’ la parte, non per demerito suo ma per il ricordo del Settimo Sigillo e di quel suo bellissimo, oscuro e positivo, personaggio. In questo film la Lindblom è bellissima come mamma, meno come donna che va a rimorchiare gli sconosciuti (poco credibile). Lo stesso difetto trovo in “La fontana della vergine”, dove la Lindblom è molto dolce e severa, e ha ben poco di diabolico – o almeno io la vedo così. Tutto sommato, un film notevole e vivo. (16.11.1990)
E’ nel Silenzio di Bergman l’ispirazione per l’Overlook Hotel di Kubrick? Si direbbe proprio di sì, insieme ai nani felliniani e al carretto fantasma di Sjoeberg... Ma questo è il film dove la sensuale Lindblom e l’algida e malata Thulin sono la stessa persona, due facce della medaglia, Jekyll e Hyde (una sterile l’altra feconda). C’è anche Tarkovskij: il carro armato che fa tremare l’acqua...
Si intravvede Fanny e Alexander in questo film “di passaggio”, notevole (e con le meravigliose luci di Nykvist). (age 0405 26 feb)
Il riassunto del film, da “Immagini” (ed. Garzanti, 1992):
« Di ritorno dalle vacanze le sorelle Anna ed Ester e il figlio di Anna, Johan, sono costretti a fermarsi in un albergo di Timoka, una città straniera in un paese straniero. La sosta è causata dalla malattia di Ester. L'albergo è grande, ma i clienti sono pochi. E alloggiata lì anche una troupe di nani che si esibiscono in un varietà delle vicinanze. Si parla una lingua che nemmeno Ester, che è traduttrice, capisce. Johan girovaga per i corridoi dell'albergo fine secolo. Anna cammina per le strade calde. Prende contatto con il cameriere di un bar. Al varietà è testimone del rapporto sessuale di una coppia del pubblico. Eccitata da quello che ha visto, Anna ritorna al bar dal cameriere. Ester è a letto, sola. Un vecchio cameriere del piano l'aiuta. Quando Anna ritorna, Ester intuisce che è successo qualcosa e ha una discussione con la sorella. Anna lascia la stanza e va all'appuntamento con il cameriere. Johan racconta a Ester di aver visto che sua madre entrava in una stanza con uno sconosciuto. Ester cerca Anna, ma la sorella le volta le spalle e rimane con il suo amante silenzioso. Ester crolla. Il giorno stesso Anna continua il viaggio con Johan, abbandonando Ester al suo destino. Su un pezzo di carta, Ester ha scritto per Johan alcune parole nella lingua straniera.»
Ingmar Bergman, da “Immagini”:
“Il silenzio” originariamente si chiamava « Timoka». Avvenne per pura combinazione. Vidi la parola su un libro estone, senza sapere che cosa significasse. Pensavo che fosse un bel nome per una città straniera. La parola significa «appartenente al boia». (...) La città straniera era un motivo che mi seguiva da tempo. Prima del Silenzio avevo scritto un film che rimase incompiuto. Raccontava di una coppia di acrobati che perdeva un partner e finiva congelata in una città tedesca, Hannover o Duisburg. Siamo alla fine della Seconda guerra mondiale. Durante ripetuti bombardamenti i loro contatti vanno perduti. Qui si nasconde non solo Il silenzio ma anche L'uovo del serpente. La perdita del partner si muove come un'ombra anche nel Rito.
A voler guardare in profondità, credo di poter dire che il motivo della città proviene originariamente da un racconto di Sigfrid Siwertz. Nella raccolta Il circolo del 1907 ci sono alcuni racconti che si svolgono a Berlino. Uno di essi, che s'intitola La tenebrosa dea della vittoria, deve aver colpito fortemente la mia giovane coscienza. Quel racconto diventò lo stimolo a un sogno ricorrente: mi trovo in una grande città straniera. Sono in cammino verso una parte della città dove c'è il proibito. Non si tratta soltanto di loschi quartieri di piacere, ma di peggio. Là sono le stesse leggi della realtà e le regole della vita sociale ad essere abolite. Tutto può succedere e tutto succede. Ho fatto questo sogno più e più volte. La cosa irritante era che io ero in cammino verso il proibito, ma non ci arrivavo mai. Mi capitava sempre di svegliarmi o di cambiare sogno.
All'inizio degli anni Cinquanta scrissi una pièce radiofonica che intitolai La città. Là c'è l'atmosfera di una guerra che si avvicina, o è finita da poco, manifestata in un modo diverso che nel Silenzio. La città è costruita su un terreno perforato e minato al di sotto. Le case crollano, si aprono voragini e le strade si spaccano. La pièce narra di un uomo che arriva in questa città straniera ma, a un tempo, misteriosamente ben nota. Ha molto a che fare con l'allontanamento da moglie e bambini e con i miei perpetui fallimenti sia sul piano personale che sul piano artistico.
Se scavo ulteriormente per cercare l'origine della città straniera, raggiungo le mie prime esperienze di Stoccolma. All'età di dieci anni cominciai a vagabondare. Spesso la meta era il passaggio di Birger Jarl, che per me era pieno di magia, con le sue vetrine da guardare e il suo piccolo cinematografo, Maxim. Là, per venticinque soldi, si poteva entrare di nascosto a vedere film vietati ai minorenni e anche salire su, nella cabina di proiezione, dal vecchio frocio. Nelle vetrine erano esposti busti e pompette uterine, protesi e stampati leggermente pornografici.
Quando oggi rivedo Il silenzio, devo ammettere che in alcune parti risente di una certa letterarietà.
Si tratta, in primo luogo, dell'intesa tra le sorelle. Il dialogo conclusivo e un po' timoroso tra Anna e Ester è anche superfluo. Per il resto non ho alcuna recriminazione da fare. Posso vedere dei dettagli che avremmo potuto fare meglio, se avessimo avuto più soldi e più tempo: parte delle scene di strada, la sequenza del varietà e così via. Ma facemmo il possibile per rendere le scene comprensibili. Talvolta può essere un vantaggio non avere troppo denaro.
Lo stile dell'immagine in Come in uno specchio e in Luci d'inverno è austero, per non dire casto. Un agente di distribuzione americano domandò con voce disperata: «Ingmar, why don't you move your camera anymore?». Nel Silenzio, Sven e io avevamo deciso di essere spudoratamente impudichi. Là c'era una lussuria cinematografica che ancora ricordo con gioia. Era semplicemente divertente, in modo pazzesco, fare Il silenzio. Inoltre, le attrìci erano dotate, disciplinate e quasi sempre di buon umore. Che Il silenzio, in certo qual senso, sia diventato la loro disgrazia, questa è un'altra storia. Il film fece sì che i loro nomi divenissero internazionalmente noti. E l'estero, come al solito, si degnò di fraintendere la peculiarità del loro talento.
(Ingmar Bergman, da “Immagini” ed. Garzanti 1992)
Nessun commento:
Posta un commento