PASSIONE (En Passion, t.l. “Una passione, 1968). Scritto e diretto da Ingmar Bergman. Fotografia: Sven Nykvist (colori) - Scenografia: P.A. Lundgren. Interpreti: Max von Sydow (Andreas Winkelmann), Liv Ullmann (Anna Fromm), Bibi Andersson (Eva Vergérus), Erland Josephson (Elis Vergérus), Erik Hell (Johan Andersson); e poi Sigge Fürst (Verner), Svea Holst (sua moglie), Annika Kronberg (Katarina), Hjördis Pettersson (sorella di Johan), Lars-Owe Carlberg e Brian Wikström (poliziotti), Barbro Hiort af Ornäs, Malin Ek, Britta Brunius, Brita Oberg, Marianne Karlbeck (donne nella sequenza del sogno), Ingmar Bergman (voce fuori campo) Durata: 101 minuti
Al termine della sequenza del sogno vediamo arrivare in casa dei poliziotti: portano la notizia della morte di Johann, che ha lasciato una lettera per Andreas. Andreas (Max von Sydow) la legge ad alta voce: il vecchio vicino di casa è stato percosso e abbandonato dopo che è svenuto, poi si è ucciso. Prima di uccidersi, ha scritto la lettera per Andreas. E’ stato qualcosa di molto simile al linciaggio: in paese si erano convinti che fosse Johann a uccidere gli animali, ma non c’era alcuna prova e soprattutto – come vedremo in seguito – gli atti di violenza verso gli animali continueranno, sempre più gravi.
Qui c’è il primo serio scontro fra Anna e Andreas: Anna si ritira a pregare per l’amico morto, Andreas si spazientisce e le dice che in realtà sta pregando solo per se stessa.
A 1h16 dall’inizio Andreas si reca a casa dell’amico, e veglia per qualche minuto il cadavere di Johann. In casa ci sono anche due donne parenti del morto, che si dividono le poche cose rimaste (echi di Gesù sotto la croce e i centurioni che si dividono le sue cose?).
A 1h18 siamo ancora a casa di Andreas: Anna sta lavorando a una traduzione, e Andreas è assalito dal ricordo di tempi felici, il ricordo di una giovane donna, una felicità ormai perduta. Non sappiamo molto di Andreas e del suo passato (nel film si sorvola su questi dettagli) ma la sequenza è molto bella, ed è girata esattamente nella maniera in cui ci appaiono talvolta i nostri ricordi, apparizioni improvvise e così vere da poter cogliere ogni particolare.
L’effetto creato da Bergman ottiene ancora più risalto da quello che succede subito dopo: Anna (Liv Ullmann) va a prendere del latte in frigorifero, ma la tazza le cade di mano e si frantuma sul pavimento. E’ una sequenza breve ma impressionante, che verrà ripresa da Andrej Tarkovskij nel suo ultimo film, “Sacrificio”, girato proprio nell’isola di Farö.
Andreas e Anna si abbracciano, entrambi hanno capito che qualcosa sta succedendo. Ne segue un lungo dialogo, che riporto qui.
Anna: Dovremmo fare un viaggio, lasciare questo posto e andarcene. Farebbe bene a tutti e due.
Andreas: Vorrei risponderti di sì.
Anna: Allora non esitare.
Andreas: Parlerò con Elis per farmi prestare dei soldi. Ma fra noi due c’è un muro, e non riesco a parlarne né a mostrarmi contento. Vedo il tuo volto, so che sei lì ma non riesco a raggiungerti. Capisci quello che voglio dire?
Anna: Sì, lo capisco. Capisco benissimo, Andreas.
Andreas: Sono al di là di quel muro: sono fuori, me lo sono chiuso alle spalle; ho preso il volo e sono lontano mille miglia.
Anna: Lo so, Andreas, ed è una strana sensazione.
Andreas: L’hai detto, è strano. Vorrei essere affettuoso, sentirmi vivo. (Isak Borg nel “Posto delle fragole”?) Voglio scuotermi, ma sai cosa provo.
Anna: E’ come in un sogno: vuoi muoverti, sai cosa devi fare, ma non puoi, non ci riesci, le gambe e le braccia sono più pesanti del piombo. Ti sforzi di parlare, ma sei muto.
Andreas: Ho il terrore di essere disprezzato, è un eterno sconforto. Ho accettato le umiliazioni, le ho assimilate in me, e dentro di me sono rimaste. Capisci quello che sto dicendo?
Anna: Sì, io ti capisco.
Andreas: E’ tremendo essere un fallito, ognuno può sentirsi in diritto di darmi degli ordini, col suo bonario disprezzo...E’ il sadico desiderio di calpestare qualcosa di vivo.
Anna: Ti capisco.
Andreas: Sono morto, Anna... No, non sono morto, non voglio essere melodrammatico: io non sono morto, ma ho perso ogni rispetto di me stesso. So che sembra una cosa assurda, pretenziosa, in un mondo in cui quasi tutti hanno perso la stima di se stessi, sono umiliati nell’animo, frustrati, bistrattati: vivono e basta. E’ tutto ciò che sanno, non conoscono alternative, e se anche gliele offrissero forse le respingerebbero. Le umiliazioni per me sono una calamità, o una malattia che ci ha castigati senza speranza. Vorrei essere libero, Anna, ma la libertà è un tremendo veleno per chi è ridotto a schiavo. Forse la parola libertà è solo una droga che lo schiavo usa come se fosse ossigeno...Io non ho più la forza di reagire, ci ho rinunciato. Non ce la faccio più a lottare, ogni giorno mi sembra di essere soffocato dal cibo che mangio, dalle feci che elimino, dai miei discorsi, o soltanto dal buio, straziato da fantasmi e da ricordi. Hai mai fatto caso che la gente più è nei guai e meno si lamenta? Alla fine, ammutolisce. Benché siano creature viventi, con occhi, mani, nervi...Un’armata di vittime e di carnefici. Il sole che sorge e che tramonta bruscamente, il freddo che avanza, l’oscurità, il caldo, gli odori, sono tutti muti, silenziosi. (qui per pochi istanti si vede il volto di Johann). E’ inutile andare via, non vedo cosa risolveremmo. E’ troppo tardi per qualsiasi cosa.
Al termine di questo monologo, il quarto e ultimo ciak annuncia l’intervista con Erland Josephson, che ci parla del suo personaggio, l’architetto Elis Vergerus.
In dissolvenza, torniamo alla casa dove Andreas e Anna stanno facendo colazione. L’apparenza è cordiale, ma è evidente che dopo il colloquio precedente qualcosa si è rotto, forse definitivamente.
Qui ha inizio la sequenza della scure, della quale ho parlato nel primo post: è interessante riportare una frase di Anna, rivolta ad Andreas: «So la verità su di te». E’ una delle frasi che più scatenano la rabbia di Andreas.
La farfalla sul vetro alla fine di questa scena è una vanessa, molto comune anche da noi. Si tratta di una farfalla diurna, forse la vanessa dell’ortica; si direbbe fuori stagione, dato che c’è la neve fuori; ma in Svezia può darsi che le vanesse siano più resistenti. Forse vale la pena di ricordare che la farfalla, e in genere tutti gli animali che fanno la muta della pelle o che cambiano stato e forma, sono da sempre simboli antichi di morte e di rinascita. Qui la farfalla è sul vetro, e non riesce ad uscire.
(continua)
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