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Prima di tutto, è un bel film: Coppola è in gran forma, è l’uomo che ci ha dato “Apocalypse Now” e “Il padrino”, non si è certo dimenticato il mestiere e questo è un film da grande schermo, non una storietta come tante. Come seconda cosa, questo è un film che raccomando agli amanti del paranormale, e di tutte quelle storie che parlano dell’aldilà: la seconda parte è tutta dedicata al tema, ed è roba seria, una storia d’amore commovente e spettacolare. Come terzo motivo per vedere il film, metterei d’istinto Bruno Ganz, un attore che vedo sempre molto volentieri e per il quale (non credo di essere l’unico) nutro un vero e proprio affetto. Qui è un serissimo dottore, il medico che si prende cura del protagonista all’inizio del film, e che lo aiuta molto. Si potrebbe aggiungere ancora qualcosa sulla meraviglia delle immagini: Coppola tira fuori dal cappello del mago, per fare solo un piccolo esempio, un meraviglioso colore da anni ’50 per l’episodio indiano, sembra quasi un filmato d’epoca, un film vero e non una ricostruzione. E poco dopo l’inizio c’è una sequenza di buio totale. Buio al cinema: da quanto tempo non mi capitava? Il buio è una delle cose più antitelevisive che si possano immaginare, ma al cinema rende benissimo, ed è di grande effetto.
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Ha molte analogie con il racconto di Borges “Il miracolo segreto” (in “Finzioni”), dove il tempo si ferma davanti al condannato a morte nell’attimo in cui il plotone d’esecuzione sta per sparare: il tempo si ferma solo per lui, per un attimo, permettendogli di portare a termine il suo poema.
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Ho letto poco di Eliade, ho letto invece molto del suo amico e collega Elemire Zolla negli anni passati (una passione nata intorno ai miei trent’anni: se vi piacciono questi temi, di Zolla vi consiglio soprattutto “Aure” e “Archetipi”, due libri scritti meravigliosamente). Eliade si diverte a mettere nel suo romanzo due persone vere: Giuseppe Tucci e il suo assistente Blasi. Giuseppe Tucci, romano, 1894-1984, è stato uno dei massimi orientalisti mondiali. Ha lasciato molti libri, e di lui parla molto anche Fosco Maraini, che fu suo assistente e fotografo in viaggi avventurosi in Nepal, Tibet, Himalaya e India.
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Solo quando udì la campana della cattedrale della Mitropolie si ricordò che era la notte di Pasqua. E all'improvviso la pioggia, quella pioggia che l'aveva accolto quando era uscito dalla stazione e che minacciava di diventare torrenziale, gli parve anomala. Procedeva a passo svelto, al riparo dell'ombrello, le spalle curve, lo sguardo a terra, cercando di scansare i rivoli d'acqua. Senza rendersene conto si mise a correre, tenendo l'ombrello vicino al petto, come uno scudo. Ma dopo una ventina di metri dovette fermarsi al semaforo rosso. Aspettava nervoso, saltellando, alzandosi sulle punte dei piedi, cambiando continuamente posto, guardando costernato le pozzanghere che coprivano buona parte del boulevard. L’occhio rosso si spense, e un attimo dopo un’esplosione di luce bianca, incandescente, lo scosse con violenza e lo accecò. Si sentì come se un ciclone infuocato si fosse incomprensibilmente scatenato proprio alla sommità della sua testa e lo stesse risucchiando.
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Allora udì di nuovo la campana della Mitropolie, e quelle di tutte le altre chiese e, vicinissimo a lui, il suono di un'altra, solitaria, disperata. «Che spavento!» pensò, e prese a tremare. «È a causa dell'acqua» realizzò alcuni istanti più tardi accorgendosi di giacere steso per terra, nella pozza accanto al ciglio del marciapiede. «Il freddo mi è entrato fin nelle ossa...».
«Ho visto quando il fulmine lo ha colpito» sentì una voce affannosa, una voce d'uomo spaventato. «Non so se è ancora vivo. Stavo guardando giusto in quella direzione, era sotto il semaforo e l'ho visto prendere fuoco dalla testa ai piedi, e, nello stesso istante, il suo ombrello, il suo cappello e i suoi vestiti hanno cominciato a bruciare. Se non fosse stato per la pioggia, sarebbe arso come una torcia...non so se è ancora vivo» ripeté. «E anche se è vivo, che cosa ne dobbiamo fare?». Era una voce lontana, stanca e, gli parve, amara. «Chissà di quale colpa si sarà macchiato se Dio l'ha folgorato nella notte di Pasqua, e proprio dietro la chiesa!» e dopo una pausa aggiunse: «Vediamo che cosa ne pensa il medico di turno». (...)
(Mircea Eliade, Un’altra giovinezza, editore Rizzoli)Non è un fulmine, dicevo: è un fuoco che non consuma. E’ qualcosa di simile al fuoco dionisiaco, o al roveto ardente, o – se proprio si vuole esagerare – al Paracleto. Ma qui non siamo in ambito propriamente cristiano, è Shiva che si chiama in causa, anche nel corso del film. Shiva ha due volti: distruttore violento, ma anche creatore e ricostruttore. I due volti non sono in contraddizione tra di loro, esistono contemporaneamente. Shiva appare spesso rappresentato col volto come bruciato, fumante.
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