martedì 3 agosto 2010

Weir, Vermeer, Metsu

Witness (Il testimone, 1985). Regia di Peter Weir. Scritto da William Kelley, Pamela Wallace, Earl W. Wallace. Fotografia di John Seale. Musica originale di Maurice Jarre. Canzoni: What a wonderful world (Cooke-Alpert-Adler), Shocking behaviour (Chiten-Sheridan), Party down (Brackett-Sherry). Girato in Pennsylvania (Philadelphia e Contea di Lancaster). Con Harrison Ford, Kelly McGillis, Lukas Haas (il bambino), Jan Rubes (Eli, il suocero), Alexander Godunov (Daniel Hochleitner), Brent Jennings (Carter), Josef Sommer, Danny Glover, Angus Mac Inness, Patti Lupone, Frederick Rolf, Viggo Mortensen. Durata 112 minuti

Quando Peter Weir stava preparando il film “Witness”, che si svolgeva quasi interamente nella comunità Amish della Pennsylvania, gli capitò di andare a una grande mostra sulla pittura fiamminga e olandese del Seicento. Oltre che dalla loro bellezza, fu molto colpito dall’uso della luce impiegato da Rembrandt, da Vermeer, e da tutti i grandi maestri loro contemporanei; e decise che avrebbe usato quella luce per il suo film. Si tratta quindi di una vera e propria dichiarazione d’intenti (l’intervista è sul dvd, negli “extra”), e il motivo è chiarissimo: gli Amish, americani da prima della nascita degli United States, sono una comunità religiosa che nasce dal protestantesimo, e che ha come caratteristica distintiva il rifiuto della modernità. Nelle comunità Amish si vive ancora come ai tempi di Vermeer, più o meno: qualche concessione è stata fatta, ma non vi esiste elettricità, non si usano automobili né motori, i mobili sono ancora di legno, e anche gli abiti sono ancora molto simili.
Al nome di Jan Vermeer va aggiunto anche quello di Gabriel Metsu, anch'egli olandese (1629-1667), e si potrebbe continuare con molti altri esempi, ma devo confessare che la Storia dell'Arte non è un argomento di cui so molto, mi limito a cogliere qualche idea e a portarla qui, sperando che i miei post servano da spunto e che l'argomento venga poi ripreso da altri e in modo migliore.

Il risultato, opera anche del direttore della fotografia John Seale, è questo. Aggiungo che mi sono dovuto limitare, e molto, nella scelta delle immagini: il film ha un’ottima storia ed è commovente e avvincente per suo conto, ma la luce e la bellezza delle immagini sono davvero uno spettacolo in sè. Del film ho già parlato per esteso qualche settimana fa, non aggiungo altro: e del resto queste immagini parlano da sole. (la donna di spalle alla finestra è di Gabriel Metsu, quella con la bilancia in mano è di Jan Vermeer).
Ovviamente, non è obbligatorio andare nei musei per fare dei bei film: il più delle volte basta molto meno, e va anche detto che ispirarsi troppo ai grandi pittori può essere negativo, così come può essere negativo ispirarsi troppo ai grandi scrittori. Il cinema fa storia a sè, è arte ma in movimento: sembra facile, ma all’atto pratico combinare narrazione e bellezza visiva è davvero un’arte riservata a pochi. In Italia abbiamo avuto registi bravi e bravissimi (penso a Mastrocinque, a Mattoli, ma anche a De Sica, Comencini, Germi, Monicelli) che non si sono quasi mai ispirati ai grandi pittori ma che hanno fatto ugualmente film preziosi. Insomma, se il regista è bravo di solito gli basta conoscere il mestiere: il più delle volte sapere dove piazzare la cinepresa è l’unica cosa che conta.

Ma questi particolari, questi dettagli, svelano molto di cosa c’è dietro una persona, dietro un autore. Weir non si limita a riprodurre un quadro famoso. Come i maestri del Rinascimento, Peter Weir “va a bottega”: osserva, studia, impara “rubando il mestiere”, assimila quello che ha imparato e infine produce qualcosa di nuovo, simile ma diverso, vivo e originale, nuovo.
Va anche detto che Weir non si ferma ai grandi maestri olandesi. Avendo a disposizione il volto e la figura di Kelly McGillis (volto e figura molto rinascimentali) , e dovendo lavorare al buio e al lume di candela, Weir va a pescare direttamente da Georges de la Tour, o ancora più indietro, ad Artemisia Gentileschi, o a Bernardino Luini: e siamo ormai dalle parti di Leonardo. Prima ancora, con “Picnic ad Hanging Rock”, era stato il mondo dei preraffaelliti inglesi (insieme a molte altre suggestioni) a dare grande fascino ad un suo film. Ma questo sarà materia per un altro post, per oggi mi fermo qui e aggiungo solo qualche parola sui dipinti che ho inserito tra le immagini del film: alcune sono citazioni dirette, prese dall’intervista che appare sul dvd di “Witness”, l'ultima è una delle più famose opere di Rembrandt, che non ha molto a che fare con il film ma che è quella dove meglio si vede l’uso della luce di cui parla il grande regista australiano.


1 commento:

Giuliano ha detto...

aggiornamento al dicembre 2016:
questo film è finito prigioniero della programmazione di una delle tante tv commerciali del digitale terrestre: smerdato, sporcato, tagliato, cosparso di etichette, di scritte, di sigle; e tagliato a tanti brandelli dalla pubblicità (poteva mancare l'intervento scriteriato degli spezzettatori?). Povero Weir, tanto lavoro e tanta cura in mano a questa gente di merda - capisco bene che si sia preso delle lunghe vacanze, in tutti questi ultimi anni. Che senso ha fare delle cose belle, in questo inizio di millennio?