sabato 7 agosto 2010

N.C. Wyeth, Ridley Scott

I duellanti (The duellists, 1977). Regia di Ridley Scott. Tratto da un racconto di Joseph Conrad. Sceneggiatura di G. Vaughan Hughes. Fotografia di Frank Tidy. Musica di Howard Blake. Interpreti: Harvey Keitel, Keith Carradine, Albert Finney, Diana Quick, Cristina Raines, Tom Conti, Edward Fox, John McEnery. Durata: 100 minuti

Per “I duellanti” il modello dichiarato (dichiaratissimo, ed evidentissimo) è “Barry Lyndon” di Stanley Kubrick, uscito solo tre anni prima. E, come Kubrick, anche Ridley Scott prende a modello i grandi pittori inglesi del Settecento: e anche questo non c’è bisogno di dirlo. Come spiega Scott nel suo commento al film, se si vuole ricostruire un periodo di cui non esistono filmati né fotografie, bisognerà rifarsi ai quadri e ai disegni dell’epoca: per fortuna, ne abbiamo molti. E non si creda che sia una banalità: quanti film brutti in costume abbiamo visto negli anni recenti e meno recenti? La differenza sta in questo: per i grandi registi, non si tratta mai di copiare pedestremente. E’ sempre una reinvenzione, essere fedeli ma inventarsi sempre qualcosa di vero e di credibile. Da questo punto di vista, nel commento al film che si trova sul dvd ufficiale, Ridley Scott dà molte indicazioni su come fare; e sono indicazioni importanti, perché questo film così bello e così ricco fu girato con pochissimi soldi da un regista debuttante, che fino a quel momento aveva fatto solo piccoli short pubblicitari. Dal che si può dedurre una cosa: che, quando si vedono film magari ben fatti ma piatti e senza alcun sapore, il più delle volte a mancare è il talento. E il talento è una cosa che non si impara.
Nel finale del film, infatti, Scott si prende una piccola licenza e sceglie deliberatamente di cambiare modello: e il modello, stavolta, è un disegnatore e illustratore del Novecento, l’americano N.C. Wyeth. Il risultato, come sempre in “I duellanti”, è eccellente da tutti i punti di vista.

Newell Convers Wyeth (1882-1945, Massachussetts) è il capostipite di una piccola stirpe di disegnatori e pittori; ebbe il primo grande successo nel 1911 con le illustrazioni per “L’isola del tesoro” di Robert Louis Stevenson, e poi divenne un classico (imitatissimo) per tutti gli americani. Il suo lavoro fu continuato dal figlio, Andrew Newell Wyeth (1912-2009). I due Wyeth, padre e figlio, sono famosissimi nei paesi anglosassoni; da noi magari un po’ meno, ma basta vedere qualche loro illustrazione per ritrovare qualcosa di familiare.

Il paesaggio è quello della Dordogna, in Francia: a questo punto del film siamo arrivati all’ultimo di una serie interminabile di duelli fra i due protagonisti. Siamo agli inizi dell’Ottocento, Napoleone è ormai definitivamente in esilio, tutto dovrebbe essere ormai concluso ma Féraud (Harvey Keitel) manda ugualmente i suoi padrini da d’Hubert (Keith Carradine). Mi guarderò bene dallo scrivere come finisce il film, che (per chi ancora non lo sapesse) è molto bello e merita di essere visto dall’inizio alla fine; il finale è splendido, e non è un caso perché è stato scritto da Joseph Conrad, l’autore di “La linea d’ombra”, di “Lord Jim” e di “Apocalypse now” (pardon: “Cuore di tenebra”).

Per chiudere a dovere il post, metto anche un dipinto di Andrew Wyeth, figlio di N.C. Wyeth, ricordando in famiglia ci sono molti altri artisti: la lista completa la potete trovare su wikipedia. Il commento finale, opera del grande critico Linus van Pelt, è anche il mio: preso dall’entusiasmo, anch’io da bambino avevo provato a disegnare, ma la conclusione a cui ero arrivato era la stessa. Non ero Wyeth, né Sergio Toppi, né Dino Battaglia, e nemmeno Jacovitti: destino crudele, ma essere grandi pittori e disegnatori è concesso a pochi, pochissimi.
PS: mi correggo: probabilmente si tratta del fratellino di Linus van Pelt, nell'originale chiamato Rerun (cioè, nel gergo teatrale americano, Ripresa - un nome che, adattato alla tv, diventa "Replica")

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