martedì 1 maggio 2012

Le mani sulla città ( I )

Le mani sulla città (1963) Regia di Francesco Rosi. Sceneggiatura di Francesco Rosi, Raffaele La Capria, Enzo Forcella, Enzo Provenzale. Fotografia: Gianni Di Venanzo. Musica: Piero Piccioni. Con Rod Steiger, Salvo Randone, Guido Alberti, Marcello Cannavale, Carlo Fermariello, Angelo D'Alessandro, Dany Paris (105 minuti)

Nell’ondata di antipolitica che in questo momento sta invadendo l’Italia (e forse anche tutta l’Europa) la visione di “Le mani nella città”, questo film ormai antico, un film di cinquant’anni fa, dovrebbe essere obbligatoria. Non è un film facile, non lo era nemmeno quando l’ho visto io per la prima volta, per arrivare fino in fondo servono pazienza e costanza, e questo è forse un limite di tutto il cinema di Francesco Rosi: richiede attenzione, vuole lo spettatore partecipe. Siamo sicuri che richiedere attenzione sia un limite, o un difetto?
“Le mani sulla città” dimostra benissimo una cosa che dovremmo tutti tenere bene a mente: che dietro a tutti i provvedimenti, le modifiche, le riforme, dietro a tutti gli atti amministrativi, ci sono sempre delle firme. Tutti gli atti sono firmati, tutte le leggi sono firmate, tutti i bilanci e i rendiconti sono firmati. Se le leggi sono malfatte, se i bilanci sono fallimentari, se i rendiconti mancano o sono carenti, dietro c’è sempre la firma di qualcuno: di una persona, o di alcune persone, e non di un partito politico. Un partito politico è, o dovrebbe essere, l’espressione di un’idea, di un sistema, di una teoria economica o sociale; un’idea o una teoria, in quanto tale, può andare avanti indipendentemente dalle persone. Altrimenti, ed è solo uno degli esempi possibili (gli altri li lascio fare a chi mi legge) che fine avrebbe fatto il Vangelo, il libro più bello e più grande che possiamo prendere come esempio? In mano a preti maneggioni e a papi impresentabili (in duemila anni ce ne sono stati tanti), il Vangelo dovrebbe essere ridotto a niente, e invece è ancora letto e conosciuto. Una cosa sono i princìpi, un’altra cosa sono le persone che ne approfittano.
“Le mani sulla città”, che parla dell’amministrazione di Napoli del sindaco Lauro negli anni ’50, è ancora oggi un film attuale perché i problemi di Napoli nascono da lì, da quegli anni. La spaventosa speculazione edilizia, promossa da Lauro e continuata dai suoi successori, è irreversibile. Come si può cambiare, tornare alla bellezza di Napoli o di Palermo così come erano prima del 1950? Nemmeno con la dinamite, nemmeno con i bombardamenti. Lo sfregio del cemento è lì, indietro non si tornerà mai più. Di questo sfregio conosciamo i responsabili, abbiamo le loro firme sulle concessioni edilizie e sui piani regolatori, ma finchè ce la prenderemo “con i partiti” non andremo da nessuna parte.
Negli anni recenti è successo questo: che una gestione fallimentare dello Stato ci ha portato sull’orlo della bancarotta. Invece di prendercela con i diretti responsabili, si dice: “colpa dei partiti, colpa della casta”. Ma nessuno fa i nomi precisi, si dice “sono tutti uguali”, e così facendo non si andrà da nessuna parte. I bilanci dello Stato, per esempio, parlano chiarissimo: mettendo in un grafico, ascisse e ordinate, il bilancio statale e le date, anno per anno, si vedrà che il deficit non esisteva fino al 1973, anno della prima crisi petrolifera; che il deficit ingrandisce e assume proporzioni spaventose negli anni ’80, primi ministri Craxi e De Mita; che c’è un leggero miglioramento negli anni ’90; e che il debito pubblico ricomincia a crescere dal 2001 in poi. Gli elettori non si possono tirare fuori dando la colpa “alla casta”: quella casta qualcuno l’ha pur votata, e i voti in quella direzione sono stati tanti, e per molte legislature. Se incontrate qualcuno che si lamenta, chiedetegli per chi ha votato in tutti questi anni: non tutti hanno diritto di lamentarsi.
Dice Francesco Rosi, scandendo bene le parole: «Quando si parla di “Mani sulla città” se ne parla per la speculazione edilizia. Ma è riduttivo. Come quando definiscono il mio "cinema politico". Riduttivo. Quel film, stia bene attento, è la storia di come viene cambiata a un terreno la destinazione assegnata dal piano regolatore. E’ la storia di come un imprenditore delle costruzioni, realizzando un illimitato conflitto di interessi, riesce a diventare assessore all'urbanistica da consigliere comunale che era, per potersi servire di quel potere a vantaggio delle proprie imprese. Da qui parte il riconoscimento di qualcosa che era valido ieri, 1963, come è valido oggi. Rendere legale attraverso il potere politico corrotto ciò che è illegale. Non so se mi sono spiegato». (Francesco Rosi, intervista di Paolo D'Agostini, La Repubblica 18 febbraio 2007 )
Se qualcuno si chiede come mai a me non piacciono i film dell’orrore (qualcuno sì, ma non tutti), la risposta può essere nelle prime sequenze di “Le mani sulla città”, l’inizio e i titoli di testa. Qui siamo all’orrore più completo, la speculazione edilizia è mostrata nel suo orrore più pieno e colossale, peggio di così è difficile immaginare. E’ Napoli, all’inizio degli anni ‘60: le immagini riprese dall’elicottero, in panoramica, valgono da sole più di qualsiasi discorso. Il disastro era già compiuto, mancavano solo le Vele di Scampia a completare l’opera. Ma Napoli vale qualsiasi altra città d’Italia, il disastro della cementificazione ha colpito le coste della Liguria come la Valle dei Templi e la pianura padana, e ormai è tardi per rimediare, ammesso che qualcuno ne abbia davvero voglia. Ed è un momento tragico, di tragica verità, quando nel film di Rosi si vede il consigliere comunale dell’opposizione che incontra i disgraziati che stanno per essere sfrattati: « Li avete votati voi », dice. Ed è andata proprio così. “Loro” comandano perché sono stati votati.
E l’ultima riflessione che mi sento di fare è la più amara: con le leggi che abbiamo oggi, per il “cattivo” del film sarebbe tutto più facile. Non avrebbe bisogno di brigare tanto, potrebbe fare una lista civica col suo nome e farsi eleggere sindaco direttamente dai cittadini; e magari non solo sindaco, come abbiamo visto. PS: L’inverno scorso, pochi mesi fa, Napoli era descritta come l’inferno in terra e si discuteva se era il caso di mandarvi l’Esercito perché la situazione era drammaticissima, fuori controllo. Adesso non solo non se ne parla più, ma abbiamo anche scoperto che, proprio a Napoli, per tre anni ci sono stati magistrati e carabinieri che hanno passato le loro giornate ascoltando, registrando e catalogando le conversazioni telefoniche degli arbitri di calcio. Sono contento per loro, e per le loro famiglie che hanno avuto i loro cari meno esposti al pericolo in quel periodo: ma questa mi pare l’ennesima barzelletta all’italiana (chiedo scusa per la banalità, ma non saprei cos’altro dire – spero che almeno ci sia la camorra o il riciclaggio di soldi sporchi, dietro alle partite truccate, altrimenti sarebbe proprio il caso di mettersi a piangere...).
(da un blog precedente, anno 2007)

(continua)

2 commenti:

Matteo Aceto ha detto...

Caspita, Giuliano, era da un mesetto che non passavo a trovarti sul blog e trovo una quantità notevole di post interessanti! Oltre a questo film di Rosi (che ametto, con una certa vergogna, di non aver ancora visto) hai scritto tutta una serie di post sull'opera al cinema, su Comencini e persino sulla pornografia.
Mi sa che mi conviene fare qualche salto indietro e procedere a ritroso tra i tuoi scritti.

Giuliano ha detto...

sto finendo di mettere in ordine i miei appunti, già che c'ero mi sembrava giusto andare avanti. Ormai mi manca poco, dopo Rosi e Petri mi rimane poco, forse Pasolini che però è molto impegnativo (dovrei leggere o rileggere Edipo Re, Boccaccio, Chaucer, Le mille e una notte, eccetera eccetera!) e qualcosa su Shakespeare (l'Enrico V, Olivier e Branagh, altra cosa mica da poco!).
Più altre cose sparse, un paio di Bertolucci mancano, ma ormai ho fatto quasi tutto quello che mi interessava di fare. (questi post degli ultimi mesi servono innanzitutto a me...)
sono comunque contento di sapere che hai delle altre priorità, da qui a settembre
:-)