I giorni contati (1962) Regia di Elio Petri. Soggetto di Tonino Guerra. Sceneggiatura di Elio Petri, Tonino Guerra, Carlo Romano. Fotografia di Ennio Guarnieri. Musiche originali di Ivan Vandor. Interpreti: Salvo Randone, Angela Minervini, Vittorio Caprioli, Regina Bianchi, Franco Sportelli, Mariella Valeri, Paolo Ferrari, L.Buzzanca. Durata: 98 minuti
Questo è il terzo film di Petri da regista, in pratica il secondo dopo un documentario del 1949 e un film con Mastroianni, L’assassino, nel 1961. Ne è protagonista Salvo Randone, grandissimo attore di teatro, e uno dei più grandi attori italiani in assoluto; non so quanto si possa capire di questa sua grandezza da “I giorni contati”, ma Randone in quegli anni era inarrivabile nel teatro pirandelliano, e proprio agli inizi degli anni ’60 era impeganto nella leggendaria tournée shakespeariana con Vittorio Gassman, dove ogni sera si scambiavano i ruoli di Iago e Otello (una sera Gassman era Iago e Randone era Otello, la sera dopo Randone era Iago e Gassman era Otello: ne esiste anche una registrazione RAI). La grandezza di Randone si coglie forse meglio in altri film di Petri, dove ha ruoli solo apparentemente marginali: per esempio in “A ciascuno il suo” e ancora più in “La classe operaia va in paradiso”.
Il film ha un ottimo inizio, da cinema alto, poi si perde per strada in un bozzettismo a tratti un po’ triviale, vagamente pasoliniano, con esplicita citazione di Pasolini all’inizio, sul giornale che viene usato per nascondere il volto del morto, sul tram. In questo senso, e in molti altri compresa la mutilazione fisica, un dito o un braccio da spezzare per frodare l’assicurazione, “I giorni contati” si può immaginare come una prima stesura di “La classe operaia va in paradiso”, con cui ha moltissimo in comune: il personaggio di Randone potrebbe perfino essere lo stesso nei due film, prima e dopo. La follia della vita e del lavoro, il desiderio di qualcosa di culturalmente più alto, negato dal mancato accesso all’istruzione – temi per l’appunto da Paradiso terrestre. Il film è scritto e diretto da Elio Petri, il soggetto originale è di Tonino Guerra; terzo autore della sceneggiatura è Carlo Romano.
Non è un film che si veda volentieri, ma ha molti spunti importanti. Il problema è che non sempre questi temi sono sviluppati benissimo, però si parla di cose vere e importanti. Si parte dallo “stagnaro” (cioè idraulico) di Salvo Randone, che una mattina sul tram andando al lavoro si trova accanto a un uomo che è morto d’improvviso; nessuno se ne era accorto, sembrava che stesse dormendo. Da qui, il “sor Cesare” decide di smettere di lavorare: quell’uomo aveva la sua stessa età, e il fatto lo ha molto impressionato. La mia stessa età nel momento in cui guardo oggi questo film: tra i 52 e i 53 anni.
Il sor Cesare parte da una questione serissima, l’incontro con la Morte: ma la sua decisione “alta” di tirarsi da parte e di non voler più lavorare si scontra con la sua parodia beffarda o drammatica, prima l’incontro con l’amico che non ce la fa più e che ha un lavoro molto peggiore del suo, e poi con la diciassettenne vicina di casa che nello stesso momento decide di smettere di lavorare perché trova uomini compiacenti che le passano volentieri denaro facile.
Gli altri attori: Franco Sportelli è l’amico Amilcare, che dipinge col pennello le strisce pedonali, lavorando di notte; Vittorio Caprioli è il gallerista con cui Cesare è contento di fare amicizia, ma quello ha solo il cesso da riparare; Regina Bianchi è l’ex fidanzata (lui è vedovo) che ha sposato un altro e adesso è nonna; Paolo Ferrari è il malvivente , suo ex garzone; il sempre laido Buzzanca, qui per fortuna doppiato, è il figlio di Cesare in pessimi rapporti col padre.
La ragazza vicina di casa del sor Cesare è Angela Minervini, al suo primo film: ne farà dieci in tutto dal 1962 al 1968, in piccole parti.
(novembre 2010)
Nel 1992 su “I giorni contati” avevo scritto così:
Non è certo un grande film, soprattutto è un film poco riuscito. Forse è un film troppo simile alla vita, e si avvicina così tanto alla verità della vita da riuscire ad essere sgradevole così come lo è la vita. Un grosso contributo alla realistica sgradevolezza lo dà Randone, che anche qui è grandissimo ma è anche troppo uno “studio dal vero”. Film da tenere a mente, comunque: dall’inizio col morto sull’autobus al finale (obbligato) con il protagonista che fa la stessa fine. Di certo Petri non scende a compromessi, per esempio tutta la scena del “mazzolatore” poteva essere girata in modo grottesco, magari con Totò e Peppino de Filippo, e se questo non scendere a compromessi è un pregio può però portare ad un’eccessiva “pesantezza” artistica. Insomma, l’eterno dilemma fra l’arte e la vita: ad essere troppo fedeli alla vita, lo spettatore si annoia o ne viene disturbato, o magari fa gli scongiuri quando si trova davanti ad un film come questo, che parla apertamente del nostro destino, oltre che della nostra vita quotidiana.
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