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Un film di fantascienza, dove i sopravvissuti ad una catastrofe tentano disperatamente di porsi in salvo dalle radiazioni, con tute improvvisate e occhiali a fessura orizzontale. Persone giovani, uomini e donne, due bambine, in marcia attraverso la natura ostile: vi ricorda qualcosa?
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E’ una storia vera: nel 1982 la compagna di Wenders, Isabelle Weingarten, è in Portogallo, sul set di “Le territoire”, un film del regista cileno Raul Ruiz. Ma Ruiz (un regista che amo moltissimo, detto en passant) rimane senza soldi e senza pellicola, e solo con l’aiuto di Wenders, che gli procura il materiale necessario, riesce a finire il film.
Rimasto sul set, quando le riprese del film di Ruiz sono terminate, Wenders ha l’idea di continuare questa storia in cui è capitato per caso. Eredita il cast del film di Ruiz, attori e tecnici compreso il direttore della fotografia, il leggendario francese Henri Alekan, e comincia a girare partendo proprio dalla situazione che ha trovato al suo arrivo in Portogallo, improvvisando e scrivendo giorno per giorno la sceneggiatura: così come aveva fatto in “Nel corso del tempo” e in “Alice nelle città”.
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Se ci fate caso, è una situazione che capita spesso anche nella nostra vita; ed è la materia di molti romanzi di Joseph Conrad, una lunga attesa che non dipende da noi, durante la quale non si sa cosa fare, perché prima o poi qualcosa dovrà succedere, e qualsiasi decisione si prenda potrebbe essere quella sbagliata. Penso che sia da questo che deriva il grande fascino del film, che di per sè – fino a questo punto – non sta raccontando alcuna storia. Un vero e proprio stallo, come in “Linea d’ombra” o in “The end of the tether”, o nelle lunghe sequenze di “Cuore di tenebra” dove si naviga risalendo il fiume, e dove sembra non succedere niente. (Per chi non se lo ricorda, al cinema “Cuore di tenebra” è come dire “Apocalypse now”).
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« Oh boy, you must have been a dog in another life»: «Ragazzo mio, tu devi essere stato un cane in un’altra vita. Hai una faccia da cane: basta che guardi qualcuno... Tu vuoi solo farmi sentire in colpa.» Così dice Gordon, il produttore fallito, al regista Fritz, a 1h40’ dall’inizio. “Fritz”, che è interpretato dall’attore belga Patrick Bauchau, sta per Friedrich Munro: che suona un po’ come Friedrich Murnau, il grande regista tedesco autore di “Aurora” e di “Nosferatu”. E’ solo uno dei tanti rimandi, dei piccoli suggerimenti per lo spettatore attento inseriti da Wenders nel film.
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Raccontando “Lo stato delle cose” il nome di Francis Ford Coppola salta fuori da tutte le parti: il regista del “Padrino” e di “Apocalypse now” in effetti c’entra molto, perché era lui il produttore del film che Wenders fu costretto a interrompere per un anno (“Hammett-Indagine a Chinatown”) per ragioni indipendenti dalla volontà del regista, e da quell’interruzione forzata nacque l’idea per “Lo stato delle cose”. La storia completa è questa: Wenders è a Hollywood per girare “Hammett”, che però ha dei problemi evidenti. Quello che è stato girato non soddisfa, c’è molto da rivedere e da ripensare. Il produttore, che è Coppola, decide di fermare tutto e far riscrivere la sceneggiatura; il film verrà terminato, ma nel frattempo c’è una pausa di sei mesi in cui Wenders torna in Europa, e non sa ancora cosa succederà. Alla fine, questo stallo durerà un anno: poi Wenders tornerà a Hollywood da Coppola e finirà il film.
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“Lo stato delle cose” è anche un film sul cinema, e riprende (ma in modo molto diverso) il tema di “Otto e mezzo” di Fellini: ha ancora senso fare del cinema, è ancora possibile raccontare storie? Il buffo del film, interpretato dall’attore Geoffrey Carey, prima della partenza per Hollywood, ancora in Portogallo, aveva detto al regista Fritz che “una vita senza storie è una vita molto triste”. E un discorso sull’argomento, un po’ improvvisato e sconclusionato, lo aveva tentato lo stesso Fritz poco prima della partenza per Los Angeles, nel tentativo di spiegare qualcosa alla sua troupe.
Di quel discorso, una delle attrici (Isabelle Weingarten) prende un appunto: «Stories only exist in stories (where as life goes by without the need to turn into stories)» Storie che esistono solo nelle storie, mentre la vita scorre nel corso del tempo senza bisogno di creare delle storie o di manifestarsi in storie.
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Aggiungo, se può essere utile a qualcuno, che questo è uno dei miei film preferiti, e che l’ho rivisto molte volte sempre con grande piacere. E’ anche un film girato con grande piacere, sul set attori e troupe si trovavano in pieno accordo, e si nota molto: dopo l’esperienza a Hollywood, alla corte di Coppola con “Hammett”, qui Wenders riscopre il piacere di lavorare con una piccola troupe e in un ambiente piacevole, con gente appassionata e competente; è il definitivo ritorno al metodo usato in “Alice nelle città” e “Nel corso del tempo”, che porterà ai capolavori immediatamente successivi, “Paris Texas” e “Il cielo sopra Berlino”.
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2 commenti:
Decisamente uno dei film migliori di Wenders, per lo meno per la mia risonanza con l'importanza data alla "situazione di stallo", al tempo intermedio dove il prima si è esaurito o bloccato e il dopo non si intravede ancora. E' comunque un momento pericoloso, dove la tentazione di trovare una qualche soluzione, pur di uscire presto dalla crisi, è sempre in agguato e ci vuole una grande pazienza e capacità di reggere la frustrazione e non fare errori. Non a caso questo tipo di film è molto impopolare. La maggior parte degli spettatori li trova "lenti, noiosi..."e preferisce decisamente film d'azione, dove gli eventi si susseguono rapidamente senza dare alcuna pausa in cui si corra il rischio di riflettere. L'accelerazione costante che ha preso il sopravvento in ogni aspetto del nostro ambiente sta minando profondamente la capacità di attraversare una crisi (qualsiasi essa sia e che la vita comunque ci ripresenta) e ci si butta sempre più spesso alla cieca in scappatoie offerte dal "mercato"(divertiti,fa un viaggio,trova subito un'altra persona...).
Il "nuovo" in realtà ha sempre una lenta e misteriosa "gestazione" e gli artisti, che inevitabilmente attraversano crisi creative lo sanno bene e ne danno testimonianza.
Tra i rimandi agli altri registi mi piace pensare al Truffault di "Effetto notte", uno dei primi (mi sembra) che ha fatto un film nel film e in cui i momenti di sospensione e di ripensamento sono notevoli. Ed è comunque un regista che amo molto. Mi sembra che non te ne sei ancora occupato. E' previsto?
Sì, sono film bellissimi (anche Kubrick, non solo quelli di Wenders) con un grave difetto: non sono adatti ad essere interrotti dagli spot. E' per questo che sono del tutto spariti, perché c'è ancora molta gente che ama vedere film diversi dal solito spara-insegui-sesso-streghe-medium...
Ehm, no, Truffaut... So che qui divento impopolare io, ma l'unico film di Truffaut che mi piace è "Il ragazzo selvaggio", l'ho rivisto parecchie volte e il post è anche già pronto.
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