lunedì 29 marzo 2010

Lo stato delle cose ( II )

The state of things (Lo stato delle cose, 1982) . Regia di Wim Wenders. Scritto da Wim Wenders, Robert Kramer, Josh Wallace. Fotografia di Henri Alekan e di Fred Murphy. Musiche originali di Jürgen Knieper. Canzoni: The Del Byzanteens (Jim Jarmusch), Joe Ely, David Blue , The X. Interpreti: in Portogallo: Patrick Bauchau (il regista), Paul Getty III (lo scrittore), Viva Auder (la sceneggiatrice), Sam Fuller (il direttore della fotografia), Isabelle Weingarten (Anna), Rebecca Pauly (la violinista), Jeffrey Kime (Mark), Geoffrey Carey (Robert, il buffo), Alexandra Auder e Camilla Mora (le bambine), Artur Semedo (addetto alla produzione), Francisco Baiao (tecnico del suono), Robert Kramer (operatore alla macchina). a Los Angeles: Allen Goorwitz (Gordon), Roger Corman (un avvocato) Gisela Getty (segretaria) Monty Bane (l’autista di Gordon) Janet Rasak (ragazza nell’auto) Judy Mooradian (cameriera) . Durata: 125 minuti

“Lo stato delle cose” è un film tutto da vedere, del quale non si può raccontare molto (come capita spesso con Wenders), perché la parte visiva è la più importante ed ha un’autentica funzione narrativa, ancora più dei dialoghi. Però i luoghi, gli attori, gli oggetti che si vedono nel film mettono voglia di saperne qualcosa di più; e con l’aiuto del commento al film di Wenders che si trova sul dvd provo a mettere giù qualche appunto.
Innanzitutto i luoghi: all’inizio siamo in Portogallo, a Sintra. L’albergo dove abitano i personaggi, con la piscina abbandonata e in rovina, è a Praia Branca, circa 50 Km da Lisbona, sul punto estremo dell’Europa: siamo ben dentro all’Oceano Atlantico, più a Ovest di così c’è solo l’America.
Il mare, anzi l’Oceano, erode lentamente la piscina; le onde hanno creato un buco da dove entra l’acqua. E’ un’atmosfera come se tutto dovesse crollare, con il mare incombente, un vivere tra le rovine. Wenders racconta che l’albergo era ancora in gran parte funzionante, e che vi si poteva abitare.
La parte centrale è stata girata a Lisbona, città molto fotogenica; anche il “Texas bar” è a Lisbona (“un bar da marinai” lo definisce Wenders). La magnifica villa moresca, immersa in un parco d’alberi antichi, è nei dintorni della città di Sintra; nel film si finge che sia di proprietà di Gordon, produttore del film.
Da 1h25’ siamo a Los Angeles, cioè a Hollywood; il Sunset Boulevard è il grande protagonista del finale, così come in precedenza lo sono parcheggi, grattacieli e ristoranti drive-in (che ormai appartengono al passato: sono stati chiusi e demoliti quasi tutti, spiega Wenders).
Wenders si sofferma sulla stella dedicata a Fritz Lang, nel marciapiedi dedicato agli artisti del cinema. Lang visse molti anni in America, e vi girò molti film; meno fortunato fu l’altro grande regista tedesco Friedrich Murnau, che morì a Santa Monica, poco distante dai luoghi dove è stato girato “Lo stato delle cose”, in un incidente stradale.
Gli attori: nella parte portoghese, molti di loro sono ereditati direttamente dal film di Raul Ruiz “Le territoire”. E’ un’attrice molto piacevole Isabelle Weingarten, all’epoca compagna di Wenders: è per lei che Wenders capita sul set di Ruiz, e così viene a conoscenza delle difficoltà del regista cileno. L’aiuto di Wenders sarà determinante per Raul Ruiz, che con la pellicola donata da Wenders riuscirà a finire il suo film. A Isabelle il direttore della fotografia Henri Alekan dedica molto del suo talento di ritrattista, a tratti sembra di vedere un film di Cocteau, e il nudo di Isabelle sembra uno dei capolavori di Man Ray o di Edward Weston. Con Cocteau, Alekan girò “La bella e la bestia”: il confronto con quelle immagini è inevitabile, e stupefacente.

L’altra ragazza è Rebecca Pauly, che tenta di suonare Ciaikovskij, il Concerto per violino; devo proprio dire che ho un debole per lei, e che avrei voluto rivederla in altri film ma mi è sempre sfuggita. Però va detto che con i grandi registi, i Wenders e i Bergman soprattutto, gli attori (e le attrici) hanno spesso un risalto e un grande fascino che poi perdono nelle altre produzioni con altri autori. Qui la Pauly è bellissima, ed è difficile dimenticarla.
Viva Auder, un’artista del giro di Andy Warhol, recita qui con sua figlia Alexandra; i disegni che si vedono nel film sono suoi. Anche lei era nel film di Ruiz, come attrice. E’ molto brava e Wenders le dedica giustamente molto spazio.
Geoffrey Carey, californiano strambo, è il buffo del gruppo, quasi una maschera; Wenders gli dedica una posa in cui è identico al geografo di Vermeer. In una sequenza (a 1h24), Carey ha in mano il numero di Newsweek con John Lennon in copertina: il film fu infatti girato poco dopo la morte di Lennon, che avvenne nel 1980. Visto così, Carey sembra un attore ignoto, ma ha girato moltissimi film, da non crederci: anche film famosi, grandi successi e film tv, anche prima di “Lo stato delle cose”. L’elenco completo dei film dove compare Carey , letto su imdb, può stupire.

Jeffrey Kime è l’attore, sempre preso dal film di Ruiz, che vediamo mentre si immerge nella vasca e mentre si misura la pressione. Di lui non so nulla, e anche la lista dei suoi film (piuttosto lunga, ma si ferma al 1992 e imdb non dà altre indicazioni) non mi dice molto. Però, per gli appassionati del genere, risulta che Kime ha recitato in un “Lady Oscar” del 1979, regia di Jacques Demy (in quel film Kime è “l’importuno al ballo reale”).
Jean Paul Getty, della famiglia dei Getty (i miliardari americani) è lo sceneggiatore Dennis, che vedremo bene nella scena della villa moresca; anche lui recitava come attore con Ruiz. Ebbe un grave incidente d’auto poco dopo la fine delle riprese, restò paralizzato; Wenders se ne dispiace molto, dice che era un ottimo attore e mi sento di essere d’accordo con lui.
Poi ci sono gli attori scelti apposta da Wenders. Il protagonista è Patrick Bauchau (che a quel che ho capito va pronunciato alla francese, qualcosa come Beau-chau), un attore belga che ha recitato con Rohmer e con altri registi francesi. Bauchau tornerà a recitare con Wenders in “Lisbon story”, sempre nella parte del regista di un film che rimane in sospeso: un alter ego di Wenders, quasi come fu Mastroianni per Fellini (Wenders ha due attori come suoi alter ego: uno è Bauchau, l’altro – come il dottor Jekyll e Mr. Hyde: ma un Hyde benevolissimo - è Rüdiger Vogler, protagonista di “Alice nelle città” e di “Nel corso del tempo”).
Sam Fuller, regista importante di Hollywood, interpreta la parte del direttore della fotografia, alle prese con i negativi da sviluppare (il vero direttore della fotografia di “Lo stato delle cose” è il francese Henri Alekan). Samuel Fuller (1912-1997) è un regista del quale confesso di sapere poco o niente. Il suo film più famoso è forse “The big red one”, ma ha al suo attivo molti western e film d’azione (imdb dà un “Jesse James” come suo primo film da regista) e anche molta tv, compreso un telefilm tedesco della serie “Tatort”. Era molto amico di Wenders, e con lui ha girato come attore molti altri film oltre a questo. Wenders racconta che Fuller improvvisava senza problemi monologhi lunghissimi, senza mai ripetersi e senza nessuna fatica, sul set e anche fuori dal set. Il nome del suo personaggio, Joe Corby, è un quasi anagramma di Joe Biroc, direttore della fotografia di “Hammett”, all’epoca ottantenne e grande amico di Fuller.
Anche le due bambine. Alexandra Auder e Camila Mora, improvvisavano molto: bastava dar loro uno spunto e andavano avanti senza problemi. Molti dei dialoghi tra di loro che vediamo nel film sono nati così.
A Los Angeles incontriamo un altro regista americano, Roger Corman, che appare brevemente come attore: è l’avvocato di Gordon. Le apparizioni di Corman come attore (lo segnalo per gli appassionati del genere) sono rarissime.
Allen Goorwitz, o Alan Garfield, è Gordon: un altro attore che può sfuggire, ma che ha avuto ruoli importanti nel cinema americano, per esempio in ”Nashville“ di Robert Altman.
Monty Bane è l’autista della casa mobile; il bassotto è davvero quello di Goorwitz, ed è molto facile capirlo anche senza che venga detto. La canzone di Goorwitz su Hollywood fu scritta per Nashville di Altman, dove Goorwitz ha un ruolo importante, ma poi non fu inserita nel film.
Il sonoro originale è tutto in presa diretta, con un gran lavoro da parte del fonico; il doppiaggio italiano è eccellente, curatissimo anche nella scelta delle voci.
In “Lo stato delle cose” ci sono molte citazioni da “The searchers” di John Ford, che da noi divenne “Sentieri selvaggi”: è il film western dove John Wayne va in cerca della nipote, una ragazza rapita dagli indiani. Il tronco d’albero che la tempesta sbatte nella stanza di Bauchau, a quel che ne dice Wenders, è una citazione diretta da quel film; io non lo vedo da molto tempo e mi piacerebbe controllare. E’ legato al film di Ford anche il libro (bianchissimo) che vediamo passare un paio di volte fra Isabelle Weingarten e Patrick Bauchau: è infatti “The searchers” di Alan LeMay (americano, 1899-1964) il libro che diede il soggetto al film di Ford. Più avanti, a Los Angeles, vedremo il titolo “The searchers” mentre viene montato su un cinema, come scritta luminosa. Non mi è ben chiaro il collegamento fra “The searchers” e “Lo stato delle cose”, ma a Wenders piace molto mettere questi rimandi nei suoi film. Dal libro di LeMay, Wenders evidenzia questa frase: il coraggio di andare semplicemente avanti, anche in mezzo alle difficoltà. Che per John Wayne nel selvaggio West aveva un significato diverso; qui si tratta più del nostro normale sopravvivere quotidiano, almeno fino alla drammatica svolta finale.

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