sabato 20 marzo 2010

Rashomon

RASHOMON (idem, 1950) Regia: Akira Kurosawa; sceneggiatura: Shinobu Hashimoto e Akira Kurosawa (da due racconti di Ryunosuke Akutagawa); fotografia: Kazuo Miyagawa; scenografia: So Matsuyama; musica: Fumio Hayasaka; montaggio: Akira Kurosawa; interpreti: Toshiró Mifune (Tajomaru, il bandito), Masayuki Mori (Takehiro, il satnurai), Machiko Kyó (Masago, sua moglie), Takashi Shimura (il boscaiolo), Minoru Chiaki (il bonzo), Kichijira Ueda (il passante), Daisuke Kato (l'informatore della polizia), Fumiko Homma (la maga), Durata: 88'

Quando si parla di “Rashomon” (uno dei film sui quali si è più scritto e parlato nella storia del cinema), ci si dimentica sempre del bambino. Anche a me era successo, ed è facile: la storia del samurai, del bandito e della giovane donna cattura completamente l’attenzione, il racconto ripetuto da diversi punti di vista, l’impossibilità di avere una versione definitiva, catturano tutta l’attenzione; e la pioggia che cade sulla grande porta di Rashomon è sempre emozionante. Ma il film non finisce qui, Akira Kurosawa ci regala un finale che merita tutta l’attenzione di cui siamo capaci.
Ma come finisce “Rashomon”? Quale è la conclusione, al di là della bellezza del film, che Kurosawa dà a tutto il suo ragionamento? Che esistono tante versioni di un fatto solo, e che la verità non esiste? Che non si può più credere a nessuno? La risposta è lì, nel bambino: quasi una Natività, ma scritta da un autore non di tradizione cristiana. Mi fermo subito, e dò la parola a Kurosawa stesso (ricordando che “Rashomon” è tratto dai racconti dello scrittore Ryunosuke Akutagawa).

Siamo nel finale del film, l’ultimo quarto d’ora: all’inizio avevamo visto tre uomini rifugiarsi dalla pioggia sotto la grande porta di Rashomon. Due di loro erano già lì: un monaco giovane, e un contadino. Il terzo arriva di corsa, cercando riparo da tutta quell’acqua: è un personaggio un po’ ambiguo, si presenta come un servo ma è certamente uno che nella vita si arrangia, forse anche un ladro. I primi due sono stati testimoni dell’omicidio del samurai e del processo che ne è seguito, e ne raccontano le diverse versioni; il terzo ascolta e commenta. L’ultimo racconto è quello del contadino.
IL LADRO (ride): E così questa sarebbe la verità?
IL CONTADINO: Non racconto bugie! L’ho visto con i miei occhi.
- Sei sicuro di vederci bene?
- E’ la verità! E’ così! Io non dico bugie.
- (ride) Ah! E chi riconosce mai di essere bugiardo?
IL MONACO (interviene): E’ orribile! Se non potessimo credere a nessuno, che ne sarebbe di noi?
IL LADRO: Così è. Non si può credere a nessuno.
IL MONACO: No! Io credo negli uomini. Il nostro mondo non può essere un inferno!
IL LADRO: (ride) E’ inutile che tu gridi così. Pensa un po’: come si può credere a ciò che finora ci hanno raccontato?
IL CONTADINO: Non capisco... proprio non capisco.
IL LADRO: E che vuoi capire? Si può forse trovare un perché nelle azioni degli uomini? (ride)
A questo punto, da dietro, si sente arrivare il pianto di un neonato. I tre uomini corrono a vedere; il più veloce è il ladro, che si china sul bambino e lo spoglia dalle sue ricche vesti. Mentre gli altri due discutono, il monaco prende in braccio il bambino e li osserva spaventato.
IL CONTADINO: Fermati!
IL LADRO: Che cosa vuoi da me?
- E’ una cosa orribile!
- Perché? (molto deciso, aggressivo) Qualcuno prima o poi se li sarebbe presi, e allora meglio io che un altro.
- Sei un mostro!
- Cosa?! E i genitori di questo bambino? Sono loro i mostri! Non hanno pensato che al loro piacere, poi lo hanno abbandonato lì.
- No, non è vero! Guarda, ha un amuleto attaccato alla veste! Pensa alla disperazione del padre e della madre! Certamente saranno stati costretti a lasciarlo.
- Oh! Se dovessimo pensare a quello che può essere...
- Sei un egoista!
- E che male c’è? Dobbiamo per forza essere tutti egoisti. Se non pensiamo a noi, come possiamo riuscire a vivere?


Il ladro si allontana, fa per andarsene con il suo malloppo.
IL CONTADINO: (tra sè, riferendosi al processo) Ora è chiaro, non pensano che a loro stessi! Cercano solo di scusarsi: il brigante, la donna, l’uomo... E anche tu, adesso!
Rincorre il ladro e gli si getta contro, afferrandolo. Il ladro per un attimo sembra soccombere, poi reagisce e ricomincia, sprezzante:
IL LADRO: Perché, forse tu non sei così? Non farmi ridere! Sei riuscito a darla ad intendere alla polizia, a me però non ci riesci!
Il contadino lo lascia, e indietreggia. L’altro lo incalza, tornano vicini a dove c’è il monaco col bambino in braccio.
IL LADRO: Dì un po’, il pugnale della donna era un oggetto di grandissimo valore: lo ha detto anche il brigante Tajomaru. Dove è andato a finire? Lo ha forse inghiottito la terra? O invece te lo sei rubato tu? (ride) E’ questa, la verità! Un ladro che offende un ladro! Questo sì che è da vero egoista! (gli dà un ceffone, poi ride) E ora, hai nient’altro da dire? Stai zitto, eh? (ride ancora forte, poi va via con le vesti e gli oggetti del bambino, sotto la pioggia; ma il tempo sta schiarendo).

Il contadino e il monaco, costernati, si appoggiano al muro. Piove ancora a dirotto, il monaco ha sempre il bambino in braccio. Passa del tempo. La pioggia ormai è cessata, i due sono ancora lì.
Il bimbo piange; il contadino fa per prenderlo dalle braccia del monaco.
IL MONACO: No, vattene! Gli vuoi portar via anche la camicia?
Il contadino è molto colpito dalla frase e dalla violenza della reazione del monaco. Si ferma e si tira indietro, lo vediamo affranto, sconvolto, quasi piangente.
IL CONTADINO: Oh, no, no... io... io ho sei figli. Allevarne ancora uno non sarà una fatica molto maggiore per mia moglie.
IL MONACO: (commosso) Perdonami... Mi vergogno di quello che ho detto.
IL CONTADINO: E’ naturale. Di questi tempi, non si può avere fiducia negli uomini, devi perdonarmi tu... Oggi, io non riesco a capire me stesso.
IL MONACO: No, ora non più. Tu mi hai restituito la fede, e la speranza nella vita: ti ringrazio.
IL CONTADINO: Non lo merito.
Il monaco gli affida il bambino. Il contadino lo stringe al petto; i due si salutano commossi. Il monaco rimane ancora sotto il colonnato, l’uomo si allontana con il bambino al petto, sorridendo.

All’inizio del film, il ladro si era meravigliato del fatto che gli altri due fossero così sconvolti per un omicidio: “la valle è cosparsa di cadaveri insepolti, a chi volete che importi una vita umana?”
Sottolineerei una frase: “credere a ciò che finora ci hanno raccontato”: penso che non vada riferita solo al film, e che sia di grande attualità. Anche oggi molto persone (il più delle volte in malafede) vogliono farci credere che la verità non esiste, e che ciò che ci è stato raccontato come vero può essere sempre ribaltato. E’ da notare che il ladro si difende dimostrando che anche il contadino ha qualcosa da nascondere: il che è vero, ma certo non giustifica la sua azione. E’ un atteggiamento che vediamo in quasi tutti i dibattiti politici, e non solo politici, dei nostri giorni: ma le colpe degli altri, soprattutto se minime non ci assolvono dalle nostre colpe. Ed è cosa ben diversa raccogliere un oggetto prezioso abbandonato e non riconsegnarlo, ma solo per sfamare i figli, rispetto allo spogliare un neonato indifeso derubandolo delle poche cose che ha addosso.
Kurosawa girava questo film cinquant’anni fa, ancora a ridosso della bomba di Hiroshima e delle violenze della guerra: penso che fosse molto consapevole di quello che stava facendo, mettendo in scena “Rashomon”; e la sua riflessione è ancora oggi attualissima. Purtroppo, verrebbe da aggiungere: ma il film ha un finale in positivo, e anche se sappiamo che la vita di quel bambino non sarà facile il sorriso sul volto del suo nuovo padre fa ben sperare.

2 commenti:

Marisa ha detto...

Ti devo proprio ringraziare Giuliano, perchè, con la bellezza delle immagini che non casualmente scegli, riesci a richiamare l'attenzione (almeno la mia) su aspetti apparentemente secondari, ma rivelatori del possibile senso di capolavori della creatività dello spirito umano, creatività che è sempre polivalente ed aperta a rimandi che ci spostano sempre più in là.
E' il caso delle immagini finali col bambino e le tue riflessioni.
Che la verità sia soggettiva e legata inevitabilmente ai propri vissuti, esperienze,e tipologia personale è un dato a cui la scienza ha dato il suo fondamento autorevole con la scoperta della "Relatività", che si estende anche alle osservazioni scientifiche, legando osservatore e realtà osservata in un reciproco rapporto di continua dipendenza e modificabilità, per il semplice effetto della presenza dell'osservatore.
Già Jung, con le accurate ma difficili osservazioni sui "Tipi psicologici" ha cercato di far luce sulle diverse posizioni che da sempre gli uomini hanno maturato rispetto al bisogno di conoscere e decifrare la realtà in cui siamo immersi.
Questo vale anche per i fatti di cronaca, a cui abbiamo assistito "con i nostri occhi". E' tutto il tema di Rashomon.
Altro discorso ovviamenre per la malafede, il cambiare o omettere particolari per "tirar l'acqua al proprio mulino", la strumentalizzazione egoistica e criminosa dei fatti...
Ma veniamo al bambino. Non occorre essere cristiani per intuire che al "Bambino" sono legati significati simbolici e pertanto universali.
Il "bambino" (tra i tanti significati che qui non posso dilungarmi ad esporre) è il portatore del "nuovo", un nuovo punto di vista, ma soprattutto (e credo che questo sia l'aspetto più pertinente al film di Kurosawa) rappresenta il frutto, la risultante vitale dell'unione degli opposti (mashile e femminile) e, per estensione, di tutti gli orientamenti diversi, anche opposti, ma che possono trovare il loro frutto fecondo in un confronto spassionato, ma guidato da un autentico amore per la ricerca (l'eros si attiva ache così). Non ci si arricchisce infatti solo se si rimane aperti ed interessati al punto di vista dell'altro? Altrimenti si continua a rispecchiarsi narcisisticamente e sterilmente solo su se stessi.

Giuliano ha detto...

Anche a me era sempre sfuggito questo finale, "Rashomon" è così affascinante che la storia principale prende tutta l'attenzione, e anche il ricordo.
Ma con i grandi, quelli veramente grandi, ho imparato a fare attenzione anche alle minime cose; e questa è tutt'altro che minima.
Oggi finalmente possiamo fare con i film come si è fatto da sempre con i libri, scegliere i fermo immagine, andare avanti e indietro, prendere appunti...Era più bello andare al cinema, non c'è paragone; ma questo è uno dei pochi vantaggi dell'avere i film in casa.