venerdì 4 ottobre 2019

Il processo (Orson Welles)


Il Processo (The trial, 1962) Regia di Orson Welles. Liberamente tratto da Franz Kafka. Sceneggiatura di Orson Welles. Fotografia: Edmond Richard. Musica di Jean Ledrout, con arrangiamento dell'Adagio di Albinoni. Musica jazz di Martial Solal e Daniel Humair. Interpreti: Anthony Perkins (Joseph K.), Orson Welles (avvocato Hastler), Jeanne Moreau (Burstner), Madeleine Robinson (signora Grubach), Suzanne Flon (Pittl), Akim Tamiroff (Block), Arnoldo Foà (ispettore), Fernand Ledoux (cancelliere), Maurice Teynac (direttore ufficio), Billy Kearns e Jess Hahn (agenti di polizia), Paola Mori (bibliotecaria), Katina Paxinou (donna col baule) e molti altri. Durata: 120 minuti
 
Rivedo "Il Processo" di Orson Welles mentre rileggo il libro di Franz Kafka, e rimango perplesso. Questo film è un capolavoro di regia, ma chi conosce Kafka ne rimarrà deluso. Avevo intenzione di scrivere un parallelo tra film e libro, come ho fatto altre volte su questo blog (sono i miei post più visitati, detto en passant) ma ho dovuto rinunciare, troppe le differenze tra libro e film, si tratta di una riscrittura quasi completa. Il lavoro di Welles è spesso geniale e il film è senz'altro notevole, ma Welles ha cambiato troppe cose, ha reso esplicito ciò che non lo era, ha modificato il finale, ha cambiato molti personaggi, e tante altre cose ancora.


Ci sarebbe molto da ripensare, ma per il momento preferisco fissare qualche punto importante, partendo proprio da cosa ne ha detto Orson Welles in un'intervista del 1964, riportata su un libro fondamentale per conoscere Welles, "It's all true", editore Minimum Fax. Va detto che Orson Welles è spesso beffardo o reticente nelle sue interviste, quello che dice va sempre preso con cautela e non è affatto detto che sia necessariamente quello che pensava davvero. Insomma, Welles si divertiva a giocare con l'intervistatore e a depistare il lettore, e da questo punto di vista il titolo del libro, "It's all true", è davvero azzeccato. Le pagine dedicate a "The trial" sono davvero molte, metto qui sotto una mia sintesi personale e per il resto rimando al libro:
K. è un piccolo burocrate, lo considero colpevole. (...) appartiene a una società colpevole, collabora con essa. Ad ogni modo, non sono un esegeta di Kafka.
(il finale) mi è sembrato qualcosa di troppo anteriore ad Auschwitz. Non voglio dire che il mio finale fosse buono, ma era l'unica soluzione. (...) Dite quel che vi pare, ma "Il processo" è il film migliore che io abbia mai fatto. (...)
Sapete cosa è capitato con Il Processo? Due settimane prima della partenza da Parigi per la Jugoslavia, ci hanno detto che non avremmo avuto la possibilità di costruire neanche un set sul posto, perché il nostro produttore aveva già realizzato un film in Jugoslavia e non aveva ancora pagato i debiti. Per questo è stato necessario usare quella stazione abbandonata. Avevo previsto un film completamente diverso. Tutto è stato inventato all'ultimo minuto, perché fisicamente il mio film aveva una concezione totalmente diversa. Era basato sull'assenza di set. E quel gigantismo che mi hanno rimproverato è in parte dovuto al fatto che l'unico set di cui disponevo era quella vecchia stazione abbandonata, e una stazione abbandonata è immensa! (...)
- Quale film avrebbe voluto fare veramente?
- I miei. Ho cassetti pieni di sceneggiature.
da It's all true, ed. Minimum Fax pagine 155-158, intervista del 1964

 
"The trial" inizia con il racconto del custode della Legge, una buona scelta giustificata anche da Welles. Welles spiega che mettendola al suo posto, cioè nel corso del film, avrebbe annoiato, raccontandola all'inizio e riprendendola alla fine si nota di più. Raccomando di ascoltare il sonoro originale, in inglese, perché la voce di Orson Welles era meravigliosa. Quanto all'Adagio di Albinoni, è un altro falso: il vero autore è probabilmente Remo Giazotto, curatore delle sue opere: nei manoscritti di Albinoni non vi è traccia di questo adagio. Probabilmente Welles non conosceva ancora la storia del falso Albinoni, di sicuro gli sarebbe piaciuta.
Davanti alla legge c'è un guardiano. A lui viene un uomo di campagna e chiede di entrare nella legge. Ma il guardiano dice che ora non gli può concedere di entrare. L’uomo riflette e chiede se almeno potrà entrare più tardi. “Può darsi” risponde il guardiano, “ma per ora no.” Siccome la porta che conduce alla legge è aperta come sempre e il custode si fa da parte, l’uomo si china per dare un’occhiata, dalla porta, nell’interno. Quando se ne accorge, il guardiano si mette a ridere: “Se ne hai tanta voglia prova pure a entrare nonostante la mia proibizione. Bada, però: io sono potente, e sono soltanto l’infimo dei guardiani. Davanti a ogni sala sta un guardiano, uno più potente dell’altro. Già la vista del terzo non riesco a sopportarla nemmeno io”.
L’uomo di campagna non si aspettava tali difficoltà; la legge, pensa, dovrebbe pur essere accessibile a tutti e sempre, ma a guardar bene il guardiano avvolto nel cappotto di pelliccia, il suo lungo naso a punta, la lunga barba tartara, nera e rada, decide di attendere piuttosto finché non abbia ottenuto il permesso di entrare. Il guardiano gli dà uno sgabello e lo fa sedere di fianco alla porta. Là rimane seduto per giorni e anni. Fa numerosi tentativi per passare e stanca il guardiano con le sue richieste. Il guardiano istituisce più volte brevi interrogatori, gli chiede notizie della sua patria e di molte altre cose, ma sono domande prive di interesse come le fanno i gran signori, e alla fine gli ripete sempre che ancora non lo può far entrare. L’uomo che per il viaggio si è provveduto di molte cose dà fondo a tutto per quanto prezioso sia, tentando di corrompere il guardiano. Questi accetta ogni cosa, ma osserva: “Lo accetto soltanto perché tu non creda di aver trascurato qualcosa”.

 
Durante tutti quegli anni l’uomo osserva il guardiano quasi senza interruzione. Dimentica gli altri guardiani e solo il primo gli sembra l’unico ostacolo all’ingresso nella legge. Egli maledice il caso disgraziato, nei primi anni ad alta voce, poi quando invecchia si limita a brontolare tra sé. Rimbambisce e siccome studiando per anni il guardiano conosce ormai anche le pulci nel suo bavero di pelliccia, implora anche queste di aiutarlo e di far cambiare opinione al guardiano. Infine il lume degli occhi gli si indebolisce ed egli non sa se veramente fa più buio intorno a lui o se soltanto gli occhi lo ingannano. Ma ancora distingue nell’oscurità uno splendore che erompe inestinguibile dalla porta della legge.
Ormai non vive più a lungo. Prima di morire tutte le esperienze di quel tempo si condensano nella sua testa in una domanda che finora non ha rivolto al guardiano. Gli fa un cenno poiché non può più ergere il corpo che si sta irrigidendo. Il guardiano è costretto a piegarsi profondamente verso di lui, poiché la differenza di statura è mutata molto a sfavore dell’uomo di campagna. “Che cosa vuoi sapere ancora'?” chiede il guardiano, “sei insaziabile.”
L’uomo risponde: “Tutti tendono verso la legge, come mai in tutti questi anni nessun altro ha chiesto di entrare?”. Il guardiano si rende conto che l’uomo è giunto alla fine e per farsi intendere ancora da quelle orecchie che stanno per diventare insensibili, grida: “Nessun altro poteva entrare qui perché questo ingresso era destinato soltanto a te. Ora vado a chiuderlo”.»
(Franz Kafka, Il processo, Oscar Mondadori 1975, traduzione di Ervino Pocar)

 
I miei appunti, presi durante la visione:
1) le luci, come in Othello, un bianco e nero pieno di ombre, magnifico
2) le scenografie come nei miei sogni, i lunghi corridoi, i palazzi di marmo negli esterni
3) l'adagio di Albinoni nel 1962, già all'opera Giazotto, qui riarrangiato da Jean Ledrot
4) belle donne e molte scene di sesso, chi non conosce Kafka ne sarà perplesso, ma è un peccato che Welles non abbia fatto Il Castello
5) la burocrazia vista come libri: per gli ignoranti libri e fascicoli sono la stessa cosa, forse il digitale con i suoi pin e le sue password non è visto come burocrazia dagli analfabeti; qui Welles mette Romy Schneider e Anthony Perkins tra i fascicoli e i faldoni, in Kafka non è così.

6) Ugo Betti e "Corruzione al palazzo di giustizia" , molte somiglianze con lo sceneggiato Rai dove c'era Tino Buazzelli, che però è posteriore
7) la sequenza iniziale con i disegni e la voce di Welles mi ha fatto pensare che forse l'ingresso destinato soltanto a una persona rappresenta la nascita, la luce è l'utero, non è la morte ma la nascita che viene negata.
8) in inglese K è Key, chèi come in schei (soldi); la chiave (key) però si pronuncia kì
9) il finale vede K morire con una bomba, dinamite da lui stesso gettata verso i due sicari. Mi sembra un finale più che discutibile, qui Welles doveva attenersi al libro visto che il finale c'è. Un ricordo del finale di "La coscienza di Zeno" di Italo Svevo?


 


2 commenti:

AF ha detto...

Vale la pena menzionare che la "stazione abbandonata" menzionata con così tanta nonchalance da Welles è nientepopodimeno che la cadente Gare d'Orsay a Parigi... prossima alla prevista demolizione! Doveva essere un luogo di grande fascino, anche in quello stato.
Poi per fortuna (non era affatto scontato, conoscendo i francesi: Le Corbusier voleva farci un grattacielo parallepidale simile al palazzo dell'ONU, si trova facilmente il progetto su google immagini) è stato deciso di salvarla e se ne è fatto il magnifico Musée d'Orsay che conosciamo.

Giuliano ha detto...

grazie per l'informazione
io ho viaggiato poco, non potevo riconoscerla. Molti dettagli, però, non li scrivo perché su registi come Welles, Lang, Visconti (eccetera) ci sono libri molto dettagliati, interviste filmate, e siti internet migliori del mio. Qui cerco di scrivere qualcosa che non ho trovato, e poi avevo appena finito di rileggere Kafka, avrei voluto scrivere un parallelo tra libro e film ma è davvero impossibile farlo, o quasi.