Mc Cabe & Mrs. Miller (I compari,
1971) . Regia di Robert Altman. Soggetto di Edmund Naughton.
Sceneggiatura di Robert Altman e Brian Mc Kay. Fotografia di Vilmos
Zsigmond. Canzoni di Leonard Cohen. Interpreti: Warren Beatty, Julie
Christie, René Auberjonois, Hugh Millais, Shelley Duvall, Michael
Murphy, John Schuck, Corey Fischer, William Devane, Keith Carradine,
e molti altri. Durata: 121 minuti.
- (...) Di certo non girai il film per
la storia. Anzi, quello che pensai fu: "La trama la conoscono
tutti, non me ne devo occupare troppo". L'eroe era una specie di
personaggio di secondo piano, un tipo molto spavaldo, uno
scommettitore fallito. Poi c'era la puttana dal cuore d'oro, mentre i
cattivi erano il mezzosangue e il ragazzo. Tutti conoscono il genere,
i personaggi e la storia: sono a loro agio, e questo dà loro un
punto fermo mentre io posso dedicarmi allo sfondo.
(Robert Altman su "Mc Cabe &
Mrs. Miller", da "Altman racconta Altman", a cura di
David Thompson, edizioni Feltrinelli 2012, pagine 69-77)
Siamo in una piccola città nata
accanto a una miniera, nel Nordovest degli Usa, tra fine Ottocento e
inizio Novecento. Qui arriva un giocatore d'azzardo e pistolero, John
Mc Cabe (Warren Beatty), che sa come farsi rispettare. Mc Cabe si
prende un saloon e vi porta delle prostitute; gli affari prosperano,
e presto a lui si affianca una donna, Constance Miller (Julie
Christie) che prende la direzione del bordello lasciando a Mc Cabe le
altre attività, tutte molto redditizie. La compagnia mineraria, che
ha dei modi molto spicci, comincia a vedere in Mc Cabe un pericoloso
concorrente, e gli fa avere l'offerta "che non si può
rifiutare" per rilevare le sue attività; ma Mc Cabe rifiuta, e
così facendo segna la sua condanna a morte. Presto arrivano tre
killers, mandati segretamente dai titolari della compagnia mineraria;
c'è un duello nella neve e Mc Cabe li sconfigge, ma viene ferito
gravemente. Constance Miller, che lo aveva avvertito del pericolo,
non può aiutarlo perché sta fumando oppio nel suo bordello. E'
dimentica di tutto, mentre fuori nella neve Mc Cabe sta morendo.
Rivisto dopo decenni, "Mc
Cabe & Mrs. Miller" mi conferma nell'idea di un
capolavoro; non tanto nella prima parte (l'incontro dei due, il
bordello, i cowboys) dove ci sono molti luoghi comuni del western (il
bar, il pistolero, la città in costruzione) quanto nella seconda con
l'offerta "che non si può rifiutare", l'arrivo dei killer,
il duello a quattro sulla neve, l'incendio della chiesa, e il finale
con lei che fuma oppio e non si rende conto di nulla (che anticipa
"C'era una volta in America" di Leone). La neve, il
paesaggio, la natura, diventano i veri protagonisti; il film è
notevole soprattutto dal punto di vista delle immagini, e dispiace di
non poterlo più rivedere al cinema. E' come guardare un dipinto di
Bruegel, qualche anno prima di Nashville: per la spiegazione di cosa
intendo riporto qui quello che avevo scritto parlando di "Nashville":
...per
capire cosa succede magari è il caso di prendere il quadro di
qualche grande pittore del passato, come Bruegel o Bosch o come Paolo
Uccello, o magari come il Cenacolo di Leonardo da Vinci. E' difficile
capire a prima vista cosa succede in quei grandi dipinti. Sì, nel
Cenacolo c'è l'Ultima Cena con Gesù al centro, ma più lo si guarda
e più si notano particolari che erano sfuggiti al primo impatto.
Nelle grandi scene di battaglia di Paolo Uccello ci sono tanti di
quei dettagli che non si finirebbe mai di guardare, e alla fine si
rimane con l'idea che quello che stiamo guardando non sia propriamente
il reale ma una sua trasfigurazione. La stessa cosa succede con
Pieter Bruegel: sì, ci sono i cacciatori nella neve, ma sono solo
una piccola parte del dipinto. Con Hyeronimus Bosch, infine, si può
anche perdere la testa: cosa sono mai tutti quei dettagli, quei
particolari, quei mostri, quei corpi... Come i grandi pittori del
passato si muove Robert Altman in "Nashville"; e non sarà
l'unica volta, è una tecnica che gli riesce benissimo e, quando può
e quando glielo lasciano fare, la applica in grande stile.
Per il resto, c'è tutto
nell'intervista ad Altman nel libro, Leonard Cohen compreso, e ne
porto qui qualche altro estratto ricordando che "Altman
racconta Altman", a cura di David Thompson, edizioni Feltrinelli
2012, è il libro essenziale per
chi vuole conoscere Robert Altman, e che a questo film sono dedicate
otto pagine fitte di informazioni. Di mio aggiungo solo che la
parte di Shelley Duvall è molto piccola, ed è un peccato.
"McCabe" era il titolo di
un romanzo di Edmund Naughton pubblicato nel 1959. I diritti erano di
proprietà del produttore David Foster, che presentò il progetto ad
Altman, il quale affidò la sceneggiatura a Brian McKay, suo ex
collaboratore. Altman suggerì come titolo "The Presbyterian
Church Wager" (La scommessa di Presbyterian Church), ma tutti
gli altri ritennero che avrebbe potuto dare adito a confusione. (...)
- La fotografia di Wilmos Zsigmond é
molto inusuale, con i suoi toni sul giallo. Hai ottenuto questo
effetto esponendo la pellicola alla luce prima di svilupparla?
- Sì. E' stato un grosso rischio,
probabilmente un'idiozia. Era però l'unico modo per ottenere
quell'effetto visto che all'epoca non c'erano tutte le tecniche di
post produzione che ci sono adesso, non si poteva fare dopo. E,
avendolo fatto sul negativo, lo studio non aveva scelta: doveva
accettare il fatto compiuto. (...)
- Tutto il film fu girato a circa
sessanta chilometri da Vancouver, dove c'era già una città in
rovina con una casa dove si affittavano camere per gli operai delle
segherie. Continuammo a costruire la città man mano che procedevamo con
le riprese. Iniziammo con il saloon sul ponte, e all'inizio del film
si vedono le miniere e gli altri edifici: i bagni, il bordello e la
chiesa. (...)
Leon Ericksen è lo scenografo più
brillante con il quale abbia mai collaborato. Io lavoro a stretto
contatto con gli scenografi. Quello che voglio non è una parte del
set, voglio un’arena nella quale può svolgersi tutto quello che
deve succedere. Solo in rare occasioni, quando ci sono problemi di
budget, accetto richieste del tipo: "possiamo costruire questa
stanza solo con tre pareti?" Di solito rispondo: "No.
Voglio l'ambiente completo, perché quando arrivo lì e quando
arrivano gli attori non so come vorrò girare la scena. Magari decido
di girare dall'altro lato". Perciò preferisco l'atmosfera
completa che ti viene da un set intero, una stanza con le pareti su
tutti i lati, il soffitto e il pavimento, le finestre e compagnia
bella. (...)
Chiesi alla Warner Brothers di
mandare un camion pieno di vestiti d'epoca, perché volevo che
sembrasse un film sull'immigrazione. Mi era venuto in mente che i
cowboy non portavano quei cappelli a cui ci aveva abituato il cinema.
Praticamente nessuno di quelli che partirono alla conquista del West
era americano, erano tutti immigrati di prima generazione provenienti
dall’Italia, dalla Francia, dall’Inghilterra, dall'Olanda e da
gran parte dei Paesi nordici. Parlavano con accento svedese,
irlandese, italiano. Di sicuro non parlavano come il texano George
Bush, cioè quel modo di parlare è venuto anni dopo. E si portavano
dietro le posate, coltello, forchetta e cucchiaio, i vestiti e gli
orologi, tutto di fine artigianato europeo. E anche i vestiti erano
gli stessi che indossavano in Europa. Perciò l'unico cappello da
cowboy nel film fu quello del personaggio interpretato da Keith
Carradine. Sono convinto che la gente abbia girato i western facendo
indossare a tutti quei cappelloni perché li aveva visti nelle
fotografie dell'epoca. Scoprimmo però che a quei tempi una lastra
fotografica era così cara che quando un fotografo se ne stava nel
suo laboratorio e veniva a sapere che era arrivato in città un tipo
con il cappello più buffo che si fosse mai visto, doveva
assolutamente fotografarlo. Ed é questa l'immagine di quel periodo
che ci è arrivata. (...)
E devo dire che Warren Beatty è
stato bravissimo nei Compari: il film non sarebbe lo stesso senza di
lui. Contribuì a creare molti dialoghi, e fu lui ad avere l'idea del
dente d'oro. Pero non è divertente lavorare con lui. Vuole sempre
avere il controllo di tutto, non concepisce che la situazione possa
sfuggirgli di mano perché è un regista, un produttore, ed è stato
l'ultimo divo cinematografico di un'epoca storica. La cosa migliore
che ha fatto è stata portare Julie Christie. Queste storie d'amore
aiutano. A volte sono più belle del film. Sai come succede, l’attore
principale ti dice: “Faccio il film, però mi porto anche la
ragazza". La ragazza però era più brava di lui. (...)
Avevamo finito di girare tutto il
resto e stavamo girando la scena in cui Julie attraversa il ponte di
notte, quando vennero giù dei bei fiocchi di neve, grandi quanto
cereali per la colazione, e iniziò a fare un freddo tremendo.
Scoprii che c'erano due gradi sotto zero. Quella notte non andammo
neanche a dormire per tenere in funzione i tubi per la pioggia, in
modo da poter congelare tutto. Il mattino dopo era bellissimo,
c'erano ghiaccioli dappertutto, sembrava il paese delle fate. Warren
però non voleva uscire dalla roulotte, non voleva mettersi il
costume. Mi disse: “Ma che facciamo? Ci mettiamo a girare qualche
scena in mezzo alla neve che poi si scioglierà e tanti saluti? Così
ci toccherà ricominciare daccapo!" Gli risposi: "Che altro
vuoi fare? Non c'è rimasto nient'altro da girare. Proviamo a
lavorare in fretta: e se non ce la facciamo, pazienza". Alla
fine accettò. Continuò a nevicare per otto giorni... E non solo
nevicava, ma nevicava parecchio. Se facevi venti metri e poi ti
giravi non vedevi più le tue orme. Riuscimmo così a spostare tutta
l'attrezzatura, ad andare nei vari posti senza perdere mai
quell'aspetto di "neve vergine". Arrivammo al limite:
l'attimo in cui finimmo di girare l'inseguimento finale, quando
Warren muore e la gente va a spegnere l'incendio in chiesa, la neve
cominciò a sciogliersi. E due giorni dopo non c'era più. Quella fu
davvero fortuna. (...)(Robert Altman, da "Altman
racconta Altman", a cura di David Thompson, edizioni Feltrinelli
2012, pagine 69-77)
(le immagini vengono dal sito www.imdb.com )
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