sabato 3 marzo 2012

Ultimo tango a Parigi ( I )

Ultimo tango a Parigi (Last tango in Paris, 1972). Scritto e diretto da Bernardo Bertolucci. Sceneggiatura di Bernardo Bertolucci, Franco Arcalli, Agnes Varda. Fotografia di Vittorio Storaro Costumi di Gitt Magrini. Musiche di Gato Barbieri. Interpreti: Marlon Brando (doppiato da Giuseppe Rinaldi), Maria Schneider (doppiata da Maria Pia Di Meo), Massimo Girotti, Jean Pierre Léaud (doppiato da Massimo Turci), Gitt Magrini (madre di Jeanne), Laura Betti (è nelle scene tagliate dalla censura), Maria Michi (suocera di Brando), Giovanna Galletti (prostituta anziana), Armand Abplanalp (cliente prostituta), Catherine Allegret, Catherine Breillat, Veronica Lazar, Luce Marquand, e molti altri. Durata originale: 136 minuti

Quando uscì nei cinema “Ultimo tango a Parigi” io avevo quattordici anni, quindi in teoria ero tagliato fuori dalla sua visione, essendo il film vietato ai minori. In realtà, avrei potuto intrufolarmi (il fisico me lo permetteva) ma non ero particolarmente interessato ed ero anzi piuttosto infastidito da tutto quello che succedeva intorno al film; sospettavo una bufala e immaginavo manovre pubblicitarie. Di solito, mi infastidiva che qualcuno mi vietasse di vedere un film (nello stesso periodo, ricordo le dure contestazioni cielline per “Jesus Christ Superstar”, che invece ero andato a vedere), ma a quel tempo non avevo ancora abbastanza esperienza cinematografica, come è ovvio, e per me il nome di Bertolucci non significava ancora molto. Di conseguenza, in quell’inizio di anni ’70 ebbe per me la prevalenza il fastidio verso quello che consideravo un eccessivo battage pubblicitario, motivo per il quale ho visto solo molti anni dopo la loro uscita anche film come “L’esorcista” o “Lo squalo”. Avrei scoperto Bertolucci un paio d’anni più tardi, con lo spettacolo magnifico dei controluce di “Novecento”, e da allora avrei continuato a seguirlo come continuo a fare ancora oggi, senza più perdere nessuno dei suoi film.
Oggi, quarant’anni dopo, continuo ad essere infastidito da “Ultimo tango” e da tutto quello che gli si è costruito intorno; il film lo avevo visto, nel frattempo, ma senza mai riuscire a farmelo piacere. Ad essere sinceri, è solo in questi giorni che sono finalmente riuscito a vederlo per intero, con la pazienza necessaria e dall’inizio alla fine: prima non c’ero mai riuscito, o premevo sullo “scorrimento veloce” o rinunciavo tout court alla visione, dicendo a me stesso che ne avevo avuto abbastanza. L’ultima visione, di pochi giorni fa, mi ha definitivamente convinto: “Ultimo tango a Parigi” non è un film per me. E’ il film di Bertolucci che più somiglia a Godard, e tra me e Godard non c’è mai stato un gran feeling. A dirla tutta, non sono mai riuscito a capire le ragioni dell’enorme successo mondiale di “Ultimo tango”, che continua a sembrarmi noiosissimo; ma così va il mondo e non è strettamente necessario che io capisca. La cosa importante è questa: che Bertolucci, dopo il successo mondiale di “Ultimo tango” ebbe carta libera per fare qualsiasi cosa, anche dall’America. Lo ha raccontato lui stesso, in diverse occasioni, e soprattutto parlando di “Novecento” che necessitò di un anno intero di lavorazione e di ingenti capitali americani: senza “Ultimo tango”, e senza Marlon Brando, il percorso di autore di Bernardo Bertolucci sarebbe stato molto diverso.
Guardando “Ultimo tango” in questo inizio d’anno l’ho ritrovato noioso e bruttino come la prima volta. E’ il film di Bertolucci che più somiglia a Godard, soprattutto nelle scene con Jean Pierre Léaud, ed è forse questo che me lo rende estraneo, così come tutte quelle citazioni di film che non ho mai amato, cose come “Bulli e pupe”, i film degli anni ’50 di Marlon Brando. Si tratta di film che non mi appartengono e di ricordi che non mi appartengono (a parte forse un pomeriggio nell’attico “giapponese” qui a Milano, roba di inizio secolo, dove io avevo quasi l’età di Brando in questo film e lei era più giovane di me, ma solo di una decina d’anni, e in fin dei conti era tutt’altra cosa, molto più gentile).
Il film ricorda un po’ Anonimo Veneziano, precede il successo dei romanzi di Charles Bukowski e anche “Nove settimane e mezzo”, ma soprattutto anticipa qualcosa di “The dreamers”, fino ad oggi l’ultimo film di Bertolucci, per l’atmosfera chiusa, il chiudersi ai rapporti con gli altri, gli arredi della casa paterna di Jeanne. Confesso di non aver mai capito il senso del discorso di Brando davanti alla moglie morta, e nemmeno l’utilità di quella scena in quel punto del film. Confesso anche tutta la mia distanza (eufemismo) da Francis Bacon, il pittore inglese responsabile dei due dipinti che appaiono nei titoli di testa.
Le musiche, al di là del sax di Gato Barbieri, non mi sono sembrate belle come le ricordavo, anzi bruttine; ebbero grande successo e quarant’anni fa il tema del sax di Ultimo tango era ovunque. Anche il tango nel finale appare molto annacquato, quasi da balera emiliana (ma forse era questo che cercava Bertolucci), e le scene nella sala da ballo sono deludenti se le si confronta con quelle analoghe di Novecento e del Conformista.
Lei è delusa quando lui le rivela la sua identità: non un romantico avventuriero ma un semplice maitre d’hotel, in un hotel che è quasi un bordello di camere a ore; e questa delusione è quasi la caricatura del Lohengrin e quindi del mito di Eros e Psiche. Forse è davvero questa la chiave di lettura, il “mai devi domandarmi” del Lohengrin...

Nel cast, Massimo Girotti è l’amante della moglie di Brando, nella scena in cui si ritrovano insieme i due divi invecchiati discutono di com’erano a vent’anni e di come fare per mantenersi in forma, si parla di pancia e di cose passate, si ritrovano vestiti uguali, con una identica veste da camera.
Nel cast Veronica Lazar (la si rivedrà brevemente in La Luna), Catherine Breillat, Catherine Allegret, Laura Betti (le scene dove recita sono quelle tagliate dalla censura), Giovanna Galletti (la prostituta anziana), Maria Michi (qui suocera di Brando, era in Roma città aperta). Rovistando nella lista degli interpreti ho trovato un nome che sembra inventato, Armand Abplanalp: è il cliente della prostituta, quella che interrompe il soliloquio di Brando nella camera ardente. Un cognome ben strano, ho pensato, sarà mica lo pseudonimo di qualcuno? Invece no, su imdb Armand Abplanalp risulta come un attore francese che ha girato diversi altri film, e chissà da dove viene questo suo cognome. Dato che è molto basato sull’improvvisazione, “Ultimo tango” andrebbe visto col sonoro originale; i doppiatori italiani sono comunque ottimi.
E’ grandissimo Vittorio Storaro, pronto alle meraviglie di Novecento; tra gli attori per una volta vediamo anche la finissima costumista Gitt Magrini, che interpreta molto bene la madre di Jeanne e che ha al suo attivo molti dei film più belli degli anni ’60, compresi gli abiti di “Il conformista”.
E’ un film pieno di citazioni, non solo di cinema ma anche di Shakespeare (ovviamente Brando), e c’è anche una poesia che mi piacerebbe saper riconoscere. Chissà se qualcuno ha mai fatto questo lavoro, mettere in fila tutte le citazioni contenute in “Ultimo tango a Parigi”; non credo che sarò io a fare questo lavoro, e per oggi mi segno la citazione esplicita dell’Atalante di Jean Vigo a 1h17 circa, quando Jean Pierre Leaud e Maria Schneider buttano in acqua un salvagente col nome della barca di quel film, e nei dialoghi, qua e là. C’è una ripresa o citazione di “Partner” di Bertolucci quando Leaud e la Schneider, fidanzati prossimi al matrimonio, parlano delle coppie di innamorati della pubblicità (come nelle scene di Partner con Tina Aumont e Pierre Clementi).
La citazione di Shakespeare fatta da Marlon Brando è questa, famosissima:
If music be the food of love, play on;
give me excess of it, that, surfeiting,
the appetite may sicken, and so die.
(se la musica è il nutrimento dell’amore, continuate a suonare; datemene in eccesso, così che, abusandone, il mio desiderio ne ammali e muoia...)
(William Shakespeare, inizio di “La dodicesima notte”, "The 12th night or What you will")
Enzo Biagi intervista Bernardo Bertolucci
« L'Express »: bravissimo. «Time»: sei pagine, che cominciano con una frase di Marinetti: « Il tango è un amplesso mimato per l'obiettivo fotografico ». Il precursore lanciò il detto memorabile nel 1914, quando la macchina da presa era meno importante e meno impegnata.
Non ho visto il film di cui tutti discutono, e mi scuso. Ho sentito qualche commento: «Venti minuti di un cinema straordinario ». «Non si erano mai proiettate scene di questo genere: pensa che lui, il vecchio... », e narrano un abbraccio, diciamo così, tanto particolare e violento, che la citazione di Sodoma diventa obbligatoria. Ormai si parla, infatti, più del burro di Bertolucci che di quello di Galbani. Ho letto la requisitoria del pubblico ministero di Bologna che ha denunciato i «congressi carnali», e «le lubriche nudità », «accompagnate, sotto fondo, da gemiti, sospiri, e urla di godimento». Responsabili di questa sagra della libidine, oltre, ovviamente, a Bertolucci Bernardo, Brando Marlon, nato il 3 aprile 1924 a Omaha (Usa), residente a Los Angeles, Beverly Hills, Mulholland Drive 12900, e Schneider Maria, nata il 17 marzo 1952, a Parigi, dove abita in via Ville du Temple, 47.
Bertolucci Bernardo, questo giovanotto pervaso, secondo il magistrato, da «un esasperante pansensualismo», siede con me a un tavolo della «Cesarina»: polenta e pollo alla cacciatora, ricotta, lambrusco. Ha la facciona leale e chiara di un garzone delle mie parti, ma cresciuto in una casa dove dalla cantina sale odore di parmigiano e di mosto, però in biblioteca c'è la collezione della a Pléiade ». Camicia slacciata, vestito spiegazzato, è un intellettuale alla buona; vengono in mente le letture raffinate ed il mercato in piazza per la festa del santo. Del resto, da Sainte-Beuve a Bacchelli, c'è sempre stata gloria per i robusti.
Chaplin, nelle memorie, afferma che «il successo rende simpatici». Condivide?
- Mi ripeto, ma il Maestro, che è Moravia, spiega che il successo bisogna mangiarlo, poi uno lo digerisce e non è più un problema. Sono abbastanza coinvolto dalla psicanalisi, e la prima reazione, dopo quella immediata, di una certa gioia che non si può nascondere, è di profondo disagio fisico. Dolori, paura, ansie aumentano man mano che cresce. C'era uno che diceva: «I soldi sono importanti finché non li hai»; così è per i riconoscimenti della gente, del pubblico. Un senso di sgradevole volgarità: ho pensato che accadeva per gli altri, perché non per me? Non si può scappare. Bisognerebbe, mi creda, piacere a se stessi. Per molti anni, il mio è stato un monologo: film sperimentali, per i club di appassionati, per i festival. Molte frustrazioni: nessuno li vedeva. Poi ho avuto bisogno di passare al dialogo: Ultimo Tango ha senso soltanto se milioni di persone lo completano con la loro partecipazione. Sentivo che il momento del consenso sarebbe venuto, che sarebbe scoppiato; è mancata la sorpresa. Mi hanno stupito, invece, le dimensioni.
In una poesia di suo padre si legge: « Bernardo che ha le gambe lunghe»; si ha quasi l'impressione che in famiglia tutto sia stato preparato per farla correre. Mi scusi, ma si potrebbe pensare a un genio costruito, prefabbricato. Si parla di un bambino che se la passa, invece che con John Wayne, con René Clair e Murnau. Per me, un po' malinconico.
-Io sono nato, sono stato educato dentro la cultura, è inutile che lo neghi. È un po' un guaio, perché da quando hanno cominciato a dirmi : «Leggi questo, leggi quello», per buttarmi su un libro che mi interessava lo dovevo fare di nascosto. Così, oggi mi sento molto debole. Una volta a Parigi, qualcuno mi ha chiesto: «Perché è venuto a girare qui?». Ho risposto rifacendomi a Baudelaire: «Je voulais me perdre dans les plies sinueuses des vieilles capitales». Già: volevo perdermi nei meandri sinuosi delle vecchie capitali. Sono versi che mi danno una grandissima emozione, un intenso desiderio di pensare al poeta e al suo tempo. La cultura è come l'infanzia, una cosa di cui uno non potrà mai liberarsi, fare a meno. Mi hanno accusato di aver fatto un film in qualche modo sottoculturale, un racconto popolare, ma ciò mi rende abbastanza contento. Perché sento di avere acquistata la mia autonomia. No, mio padre non ha mai pianificato la mia vita: è fuori, è un solitario, sta a Monte Verde come a Baccanelli, il nostro paese vicino a Parma. Tutto questo fracasso lo sgomenta. Mia madre? Le donne sono molto meglio di noi, sempre. Voglio diventare socio onorario della «Women Liberation». Capiscono meglio il mio lavoro, sono quelle che dicono che la brutalità che io rappresento la vorrebbero anche loro, per cominciare. un dialogo nuovo con gli uomini.
Scorrendo alcune interviste, affiora in lei, mi pare, un complesso paterno: un affetto e una ammirazione sconfinati che le facevano dire: «Non sarò mai come lui». E’ esatto?
- È uno stato d’animo, penso, che è di tutti. Da piccolo vivevo in un podere, in pianura, leggevo una sua poesia, paragonava una finestra della stalla a un rosone romanico, io andavo a controllare, lui non faceva discorsi astratti. Non c’era, in questo, niente di letterario; erano fatti legati all’esistenza quotidiana. In molti miei film c’è l’angoscia della ricerca d’identità dei personaggi di fronte all’immagine del padre.
È vero che lei è un «pessimista, un disperato» ?
- Come si fa a rispondere? Io sono un pessimista allegro, oppure un ottimista disperato.
Attorno a lei c'è sempre stata un'aria protettiva; bastava che il bimbo Bernardo si tagliasse un ginocchio, e tutti sussultavano.
- Io ho lasciato i miei per essere solo, per potermi ferire come e quando volevo. Non dò molta importanza a come appaio agli altri, è attraverso il cinema che vivo. La mia visione del mondo passa attraverso le inquadrature.
La critica la fa soffrire ?
- Per molto tempo, sì. Quando uscì Prima della rivoluzione, qualcuno scrisse: «L'unico consiglio che possiamo dare a Bertolucci è di cambiare mestiere».
Lei è contro il matrimonio, e anche contro l'adulterio che definisce, mi sembra, «una triste istituzione».
- Non c'è, penso, una regola. Guardo i miei genitori, che sono felici da più di trent'anni. In due si va più avanti. Da soli si sfiora sempre tutto, ma non si entra mai dentro.
Lei è iscritto al Pci, ma i suoi interessi sono sempre orientati su vicende borghesi.
- È un peccato originale, ma credo che in Italia si può essere comunisti muovendosi in uno spazio talmente vasto, che è la forza del partito. Ho fatto il passo nel '68, quando i miei amici erano gauchistes, o contro. Ho sentito il bisogno di distinguermi da loro, per chiarezza.
Moravia dice che il sesso è oggi l'unico mezzo di comunicazione; lei vuole raggiungere «un'ascesi mistica attraverso la carne», che può essere anche un itinerario non disagevole, ma c'è chi rimane tramortito da questo nuovo linguaggio, chi vede soltanto le deviazioni dei sodomiti, senza scorgere il cielo.
- È molto semplice ciò che accade in Ultimo tango a Parigi. Un ex giornalista sconvolto dal suicidio della moglie ha fame di autenticità, e per un momento pensa che sia tutta nel sesso, che si ritrovi nell'Eros. Vuole vedere se è possibile un rapporto sganciato dalle convenzioni sociali. Invece la storia è sempre presente, non è possibile. Tutto comincia in modo vertiginoso, tutto si consumerà. E’ un tentativo romantico di isolarsi, di mettersi fuori, con una ragazza. Paul dice a Jeanne: «Non voglio sapere chi sei, il tuo nome, quello che fai», ma in realtà Paul e Jeanne non esistono, esistono Marlon e Maria, perché li ho portati a dimenticarsi del copione, di quel ruolo che era stato inventato.
Attraverso il film Marlon Brando, dicono, si è confessato; l'adolescenza ad Omaha, i fallimenti, la solitudine, il desiderio di annullarsi, la fine come liberazione. Non c'è dentro anche un po' di Parma, della sua infelicità, della sua filosofia ?
- C'è sempre stato un forte legame tra noi due: io gli regalavo dei dialoghi che avevo scritto, lui toglieva una virgola, cambiava un aggettivo, e quelle battute pensate da uno di Parma acquistavano la secchezza di linguaggio di uno di Omaha. Siamo cresciuti tutti e due in campagna. Io sentivo un po' di colpa quando parlava di sé allora, perché io ero figlio dei padroni e lui dei contadini.
L'amore e la morte sono i temi costanti delle sue trame. Non c'è spazio per la speranza?
Non so neppure cosa voglia dire. E’ una parola che non ha significato, come destino. Dopo Freud, è sostituita da inconscio. Quello che sarà dipende dall'equilibrio che sappiamo trovare dentro di noi.
Fra poco, Bernardo Bertolucci scriverà un nuovo capitolo del suo romanzo, o dell'inchiesta che continua a fare su se stesso. Il film si chiamerà Novecento, sarà un viaggio nel secolo e nella pianura padana, neve e grano, olmi e pioppi, guerre e rapide paci, e nella primavera, «i passeri che volano baciandosi». Nessuno tremi per questa avventura: Bernardo ormai non ha paura né del sangue né di giudicarsi.
(Enzo Biagi intervista Bernardo Bertolucci,, da “Dicono di lei-Le interviste che avreste voluto fare voi” ed. BUR Rizzoli, prima edizione 1978)
 
Aggiornamento al 26 novembre 2018: per la scomparsa di Bernardo Bertolucci, a 77 anni di età, trovo su molti (troppi) giornali come prima notizia il riferimento alla "scena del burro" di Ultimo tango a Parigi. Non so, evidentemente ognuno ha l'immaginario che si merita. Voi avete in testa la "scena del burro" io i controluce di Novecento, le luci e i colori del Conformista, la sequenza del Macbeth in Prima della rivoluzione, Alida Valli e Giulio Brogi in Strategia del ragno, Ugo Tognazzi nell'Uomo ridicolo,  eccetera eccetera. Ma se voi pensate solo alla "scena del burro", magari approfitto della presenza di Ugo Tognazzi per dirvi dove dovete andare, altro che occuparvi di cinema. Un saluto affettuoso a Bernardo Bertolucci, e un grazie grande come il suo cinema.
 
prosegue qui

4 commenti:

Marisa ha detto...

Dovrei rivederlo, ma nonostante il tempo che è passato, è un film che mi è rimasto fortemente impresso, e già questo vuol dire qualcosa, no?
A me sembra uno dei film più grandi di Bertolucci, ma certamente non ne consiglierei la visione a tutti, non per motivi moralistici, ma perchè è un peccato lasciarlo in balia di chi non riesce ad andare attraverso immagini così crude ed esplicite al loro nucleo di dolore e al tentativo paradossale di affidare alla consumazione sessuale quello che esigerebbe ben altri canali di alaborazione.
Ma la psiche è fatta così: spesso sceglie il canale sessuale che è il più immediato, per dare almeno la prima valvola di sfogo ad un eccesso di libido, a quel grumo di dolore e rabbia accumulato e che urge da qualche parte.
Il tutto va collocato in uno spazio-tempo fuori dalla vita concreta e quatidiana, uno spazio come di sogno, sospeso e separato. Uscirne è catastrofe.
E poi Marlon Brando è sempre un valore aggiunto, almeno per me:-)

Giuliano ha detto...

sì, è vero, l'ho un po' troppo maltrattato e tu hai ragione a ricordarmene il valore.
In questi giorni sto preparando "The dreamers" che somiglia molto a "Ultimo tango" e per il quale provo un'estraneità molto simile. Penso che le scene di sesso, in entrambi i film, finiscano per depistare.
Una cosa che non ho scritto, e che ho dato per scontata, è che nel 1972 i discorsi sul sesso così espliciti erano ancora una novità, non solo per Bertolucci ma anche per Woody Allen.

Ismaele ha detto...

sapevi questo?

http://markx7.blogspot.com/2012/01/dietro-marlon-brando-cera-jim-morrison.html

Giuliano ha detto...

sì, l'ho letto...
:-)
in effetti, Morrison era di casa a Parigi, ancora oggi a Parigi si fanno pellegrinaggi. Quando penso a Bertolucci mi vien quasi da pensare a uno di famiglia (mia mamma è di Parma) ma poi bisognerebbe pensare che Bertolucci è di casa un po' dappertutto, ha conosciuto un bel po' di persone importanti e meno importanti in ogni parte del mondo.
Io, per esempio, non avrei mai messo in relazione i Doors con Ultimo tango, non ci sarei mai arrivato.