mercoledì 23 novembre 2011

The soul of a man

The soul of a man (Il blues – L’anima di un uomo, 2002) Regia di Wim Wenders. Prodotto da Martin Scorsese. Documentario sul blues. Fotografia: Lisa Rinzler Durata: 103 minuti

“The soul of a man” (il titolo è un verso di Blind Willie.Johnson) è un film di Wim Wenders del 2002, che fa parte di un ciclo di film prodotti da Martin Scorsese, sul blues e sulla sua storia. Di questo ciclo fanno parte, oltre al film di Wenders e ad altri usciti successivamente, “Dal Mali al Mississippi” di Scorsese, forse il più bello, che parte dall’Africa, passa attraverso lo schiavismo e giunge fino ai nostri giorni (la musica antica del Mali è praticamente identica al blues), “Piano blues” di Clint Eastwood, che si occupa dei grandi pianisti di jazz e blues (anche il vecchio Clint è un pianista), “Red white and blues” di Mike Figgis, che si occupa del blues inglese degli anni ’60 (cioè Mayall, Clapton, tutti i grandi cantanti e chitarristi di quegli anni). Sono film molto belli, e anche molto utili sia per gli appassionati di musica che come testi di storia recente.
Questo film di Wenders invece ha due facce: la prima, molto bella, quando mostra e fa ascoltare brani d’epoca (ricostruiti spesso con lo stile usato dallo stesso Wenders nel suo film sulla nascita del cinema “I Fratelli Skladanowski”, del 1995); la seconda, meno interessante, con l’esibizione di cantanti odierni che purtroppo non sono all’altezza dei loro modelli.
Dal confronto fra le due parti del film emerge impietoso ancora una volta il divario umano tra la generazione dei vecchi, meno belli e magari un po’ sporchi o rozzi, ma veri e vitali, e la nostra generazione, molto artificiale, attentissima ai vestiti e alle pettinature e intenta, sul piano musicale, più a regolare mixer e amplificatori che al significato di quel che si suona e si canta. Di questi ultimi, nel film di Wenders c’è un bel campionario, tra ex punk platinati e donnine afrochic; oltre all’onnipresente e ormai anziano Lou Reed, che nei film di Wenders non manca mai e che – va detto – è comunque il migliore in campo tra quelli che vediamo.
Wenders costruisce il film attorno a tre bluesmen afroamericani: Blind Willie Johnson e Skip James (anni 30) e J.B.Lenoir (anni ’60). I primi due sono interpretati da attori, data la mancanza di documenti originali d’epoca, e sono stati filmati con cineprese d’epoca, proprio come per il film sui Fratelli Skladanowski; per il terzo ci sono invece filmati autentici. Di Blind Willie Johnson ci rimangono solo le incisioni degli anni trenta; Skip James invece tornerà negli anni sessanta, dopo trent’anni di silenzio, al Festival di Newport del 1964, quando lo vediamo nel film vicino ai settant’anni ma col suo vero volto. Come dicevo, è notevole il contrasto fra la bellezza e la spontaneità dei vecchi ed il falso ben costruito della nostra età, un dato di fatto che rimanda al grande etnologo e musicologo Alan Lomax (citato nel film di Scorsese ma non in questo di Wenders) quando dice che, passata l’età della riproduzione sonora, i nostri discendenti ci disprezzeranno per aver distrutto la vera cultura del mondo. Quasi nessuno si rende conto della verità di quello che dice Lomax, e anzi si finisce sempre con l'essere presi in giro quando si tocca l’argomento. L’idea di fondo è sempre quella: che nella musica esista solo il progresso, e che quindi le ultime cose siano per forza migliori di quelle precedenti. Il che non è: va ricordato che il metro di giudizio non è e non deve essere il nostro gusto personale, né tantomeno la moda, la popolarità o il successo commerciale. (nella foto sotto, Son House accanto alla Liberty Bell).
J.B.Lenoir, bluesman degli anni ’60, è introdotto dalla canzone che gli dedicò l’inglese John Mayall (un bianco) alla notizia della sua morte, e che fa parte del disco “Crusade”: un compianto in perfetto stile blues che ho qui anch’io da decenni e del quale mi ero ormai quasi dimenticato l’esistenza, ma che ho scoperto di conoscere ancora a memoria. Wenders dice che nel 1967 fu molto colpito ascoltando Mayall, che non sapeva nulla di Lenoir (come me, del resto) e che per il film ha voluto cercare immagini inedite di Lenoir, trovandole nei filmati che due coniugi svedesi (che lo conoscevano di persona) cercarono invano di vendere alle tv dell’epoca: immagini molto belle ma con qualche difetto tecnico, un filmato a colori e uno in bianco e nero, girati nel 1964 e nel 1965; una curiosità è il clamoroso smoking zebrato con cui Lenoir appare nei filmati per la tv, ma si sa che la gente di spettacolo ha spesso di queste uscite. I due svedesi dicono che Lenoir come personaggio ricordava un po’ Martin Luther King, per il suo impegno politico; che era molto attaccato alla famiglia e aveva quattro figli, e che scrisse canzoni non solo di rhytm and blues ma anche ballate sul Vietnam e sull’attualità, compreso il razzismo e il KKK. Lenoir morì nel 1967, vittima di un incidente stradale senza testimoni, sul quale si avanza qualche legittimo sospetto. L’ultima canzone di J.B.Lenoir parla di Giona nella balena: anche il bluesman è inghiottito da una balena, ma si accorge che la balena era malata, “è per questo che mi ha preso il blues”.
Al Festival di Newport (dedicato alla musica folk) nel 1964 riappare Skip James, che era quasi sparito nel nulla dopo le leggendarie registrazioni del 1931 (cinque anni prima di quelle di Robert Johnson): diciottomila persone lo ascoltano, e la stessa cosa succederà nei due anni successivi. E’ molto malato ma suona divinamente; quando i Cream (Eric Clapton, Jack Bruce, Ginger Baker) riprendono la sua “I’m so glad” facendone un grande successo commerciale, i proventi dei diritti d’autore gli consentono di pagare le cure e l’operazione di cui aveva bisogno. I bluesmen bianchi dicono a Wenders di essersi sentiti un po’ in colpa per aver utilizzato le musiche scritte dagli afroamericani (non solo quelli che vediamo nel film di Wenders, ma anche Robert Johnson, e tanti altri), ma di essere comunque contenti perchè si sono accorti che avevano rimesso in circolazione le loro canzoni, e quindi di aver loro consentito di guadagnare con i diritti d’autore, cosa che negli anni ’30 non sarebbe stata possibile. Bisognerà anche ricordare che il sistema sanitario americano, che qualcuno sta tentando di importare anche qui da noi, è sempre stato spietato: chi non ha i soldi non viene curato. Dopo l’operazione Skip James si riprende, e incide altre canzoni; morirà nel 1969. A Newport lo vediamo suonare e cantare con Mississippi John Hurt, con Son House e con Bukka White (1964-66).
In definitiva, “The soul of a man” è un buon film, peccato solo per l’inizio in stile “Ai confini della realtà”: il pretesto è un disco di Blind Willie Johnson (che era anche predicatore religioso) che sta infatti viaggiando negli spazi siderali, dentro una sonda Voyager. Chissà se qualcuno, su qualche pianeta sconosciuto, riuscirà mai a capire di cosa si tratta.
Le canzoni che si ascoltano nel film, prese da www.imdb.com :
- Blind Willie Johnson:
"Dark Was The Night", "Soul Of A Man"
- Skip James:
"Devil Got My Woman", "44-40 Blues", "Hard Time Killing Floor Blues"
- J.B. Lenoir:
"I Want To Go", "Round And Round", "Vietnam Blues", "God's Word", "The Whale Has Swallowed Me"
wikipedia aggiunge:
«Il film è narrato da Laurence Fishburne e contiene brani dei tre musicisti eseguiti da Nick Cave and the Bad Seeds, Beck, Jon Spencer Blues Explosion, James 'Blood' Ulmer, T-Bone Burnett, Eagle Eye Cherry, Shemekia Copeland, Garland Jeffreys, Alvin Youngblood Hart, Los Lobos, Bonnie Raitt, Lou Reed, Marc Ribot, Lucinda Williams e Cassandra Wilson.»

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