lunedì 16 maggio 2011

Fellini: "Agenzia matrimoniale"

Agenzia matrimoniale (1953) Regia di Federico Fellini - episodio da “L’amore in città” - Lo spettatore n.1” Rivista cinematografica diretta da Cesare Zavattini, Riccardo Ghione, Marco Ferreri Regia: Federico Fellini - Soggetto: Federico Fellini - Sceneggiatura: Federico Fellini, Tullio Pinelli - Fotografia: Gianni Di Venanzo - Musica: Mario Nascimbene - Scenografia: Gianni Polidori - Arredamento: Giovanni Checchi – Aiuto regia: Luigi Vanzi - Montaggio: Eraldo Da Roma - Produttore: Cesare Zavattini – Interpreti: Antonio Cifariello, Livia Venturini, Maresa Gallo, Angela Pierro, Sue Ellen Blake, Silvio Lillo, Ilario Malaschini, Lia Natali, Cristina Grado. Durata: 17 minuti
Gli altri episodi del film sono: “L'amore che si paga” di Carlo Lizzani, “Paradiso per quattro ore” di Dino Risi, “Tentato suicidio” di Michelangelo Antonioni, “Storia di Caterina” di Francesco Maselli e Cesare Zavattini, “Gli italiani si voltano” di Alberto Lattuada.

“Agenzia matrimoniale”, un breve film di poco più di un quarto d’ora che non avevo mai visto, è stato una piacevole sorpresa: inizia come il miglior Fellini che verrà, con un lunghissimo corridoio, molto stretto, dentro un vecchio palazzo, pieno di persone e di bambini, con muri non intonacati, locali senza porte ma solo con gli stipiti, e un’introvabile “Agenzia Cibele” in fondo al corridoio, ma proprio in fondo in fondo. Pensare a Kafka, magari al “Processo” è quasi d’obbligo, e del resto Kafka è una costante nell’immaginario felliniano. Però poi il film prende subito una piega diversa, e la necessità di concludere in breve tempo la vicenda (siamo dentro ad un film episodi) costringe Fellini a tagliare un po’ troppo corto, e tutto sommato dispiace che questa piccola storia non sia stata svolta in un film intero.
La storia è questa: Antonio Cifariello (che negli anni ’50 era un divo, uno dei belli del cinema italiano), finto reporter, è incaricato di un’inchiesta sulle agenzie matrimoniali. Quando si trova a tu per tu con la titolare dell’agenzia però si accorge che non sa bene cosa dire, e si inventa lì per lì un amico molto ricco da sposare che però è un tantino licantropo (“ha delle crisi come l’epilessia nelle notti di luna piena, si spera che col matrimonio possa guarire”) e pensa di essere liquidato in quattro e quattr’otto, ma invece la titolare dell’agenzia non si scompone: “Si può fare”. La cosa interessante non è che sia un licantropo, è che sia ricco. Basta che arrivino i danari...E la giovane donna interessata salta subito fuori, una firma sul contratto e si combina subito un incontro.
Bello anche il modo in cui è girato l’incontro con la ragazza, piuttosto carina, non giovanissima, molto goffa e molto insicura; vien quasi voglia che il film continui e sapere cosa è successo dopo. Invece no, Cifariello si sente in colpa per aver creato delle illusioni, sconsiglia la ragazza dal continuare e tutto finisce qui.
Non un capolavoro, ma comunque un buon film, e una bella sorpresa; a guardarlo dall’alto di questi sessant’anni che sono passati trova una sua collocazione precisa, quasi il germoglio del Fellini futuro.
Si tratta del film che segue immediatamente “I vitelloni”, e che precede “La strada”; curiosamente c’è un altro film dello stesso anno, 1953, che si intitola “Agenzia matrimoniale”, con Macario, Delia Scala, Aroldo Tieri, e che è ovviamente tutt’altra cosa.
Antonio Cifariello (1930-1968) somiglia molto a Fellini giovane, e anche al ragazzo che lo interpreta in “Roma”; è un attore napoletano che fu molto popolare, soprattutto per via della sua bellezza, e che morì prematuramente in un incidente. La giovane donna bionda (della quale non ho trovato il nome preciso) è una curiosa via di mezzo tra Milena Vukotic, Jill Clayburgh e la Brunella Bovo di “Lo sceicco bianco”: devo dire che la sua interpretazione mi è piaciuta molto.
Negli altri attori, tutti molto bravi, vediamo una galleria di volti notevoli, da antologia del cinema felliniano, con sequenze che rimandano a “Roma”, e a “Giulietta degli Spiriti” soprattutto, dove ci sono questi vecchi palazzi dai corridoi tortuosi, le agenzie investigative; e menzione speciale per tutti quei bambini all’inizio, che si meriterebbero un post a parte. All’inizio vediamo un volto che tornerà in un altro film di Fellini: la giovane donna col bambino in braccio è Sue Ellen Blake, che comparirà nel finale di “Il bidone”, la ragazza paraplegica che commuove Broderick Crawford.
In un’intervista con Giovanni Grazzini (che riporto qui sotto), Fellini parla di “Agenzia matrimoniale” come di un piccolo scherzo (“polemica” sarebbe eccessivo) girato ai danni degli esaltatori del neorealismo, ma direi che di queste cose possiamo anche non tener conto, oggi che siamo nel 2011 mi sembrano sempre meno interessanti, e va ricordato che Fellini collaborò con Rossellini e che quindi sapeva cos’era il vero neorealismo. Fellini sembra essere disturbato più che altro dall’improvvisazione e dalla sciatteria di molti degli imitatori di Rossellini.
Rivedendo il film, interessa piuttosto ritrovare molti elementi di attualità nel mondo di questi piccole agenzie a metà strada tra la legalità e la truffa, con la loro apparente serietà e la “riservatezza” (l’odierna privacy...), lo studio ben allestito, i vestiti curati, l’aspetto piacevole nonostante tutto: truffatori e traffichini come questi non si estinguono mai e sono sempre d’attualità, sono ovunque anche oggi, ex prostitute e carabinieri in congedo, la differenza col 1953 è che oggi molti di loro hanno fatto carriera, sono ministri e sindaci, hanno programmi in tv, eccetera.
E infine, guardando il film al computer con il fermo immagine, ho trovato una cosa che mi ha colpito: Fellini fu molto appassionato al paranormale, e può darsi che non sia un dettaglio casuale. All’inizio, il protagonista non riesce a trovare quello che cerca e si perde per corridoi interminabili; poi scopre che quello che cercava, la verità, la donna che guida l’agenzia, è nascosta non dietro una porta ma dietro a un velo. Cifariello lo sposta, vi entra, ma il mistero che vi è nascosto è davvero cosa da poco. Anche questo un rimando a “Giulietta degli Spiriti”?
D. Tra I Vitelloni e La Strada, c'è Agenzia matrimoniale, uno degli episodi di Amore in città. Nemmeno quello l'hai più rivisto?
R. Ne ho visto un pezzetto, una sera, in un bar, dove ero entrato per telefonare; in una saletta retrostante rischiarata soltanto dal televisore acceso c'era seduto qualcuno. Il suono non mi arrivava, vedevo solo Cifariello seduto su un argine erboso, che parlava con la patetica e buffa ragazza disposta a sposare il licantropo. Ero tentato di avanzare piano piano fino alla stanzetta, e di restare lì, in piedi, a guardare qualche sequenza di quel film di cui non ricordavo proprio più niente. Ma poi, uno dei ciondolanti spettatori che aveva in mano il telecomando, cambiò all'improvviso programma. Fu Cesare Zavattini a offrirmi di partecipare con un episodio al film che doveva avere il carattere di un reportage, nello stile del cinema americano. Marco Ferreri era il direttore di produzione, e fin da allora cercava di dimagrire, dicendo che non voleva il cestino, ma poi durante la pausa girava dall'uno all'altro con la faccia del povero barbone affamato; tutti gli davamo qualcosa, e così finiva per mangiarne dieci di cestini. Accettai di partecipare a quel film di gruppo con lo spirito polemico dello studentello che vuol prendersi sornionamente beffe del suo professore. I Vitelloni aveva avuto un gran successo, ma fin da allora la critica di sinistra prendeva le distanze. Pur esprimendo consensi, venivo rimproverato di aver ambientato il film in una provincia senza connotati precisi, mi si accusava di insistere troppo sulla poetica della memoria e di non aver saputo dare al film un chiaro senso politico. Pensai di prendermi una rivincita alle spalle di chi faceva in quegli anni comiziesche dichiarazioni sul neorealismo, creando le nefande conseguenze che ancora perdurano.
D. Quali sarebbero queste nefande conseguenze dell'insegnamento neorealistico rosselliniano?
R. Il fraintendimento, appunto, del neorealismo di Rossellini, che pericolosamente illude che sciatteria e casualità possano costituire il primo imperioso dovere per fare film; il rispetto a ogni costo della realtà come accadimento esistenziale, inalterabile, intoccabile, sacro. L'emozione personale, l'intervento soggettivo, la necessità di selezione, l'espressione, il senso artigianale, il mestiere, sono dei condizionamenti che politicamente si collegano con la reazione; abbasso i ricordi, le interpretazioni, il punto di vista suggerito dall'emozione, abbasso la fantasia, in castigo l'autore! Sprovvedutezza, ignoranza e pigrizia hanno fatto accettare questa nuova estetica con entusiasmo, tutti potevano fare film, anzi, tutti dovevano farli. Un'estetica a della non-estetica che penso abbia contribuito in buona parte alla crisi attuale del nostro cinema. Inventai un'agenzia matrimoniale annidata nelle soffitte di un enorme palazzo fatiscente; e la storia della ragazza che pur di sposarsi accettava di unirsi in matrimonio con un licantropo. Giurai che era tutto vero, e quando mostrai il primo montaggio del mio episodio, gli autori del film-reportage si voltarono verso di me molto soddisfatti: «Hai visto, caro Fellini, che la realtà è sempre più fantastica della più sfrenata fantasia?».
D. Dopo questo scherzo venne finalmente La Strada. (...)
(da “Federico Fellini – Intervista sul cinema” colloquio con Giovanni Grazzini, ed. Laterza 1983)

4 commenti:

Matteo Aceto ha detto...

Ho visto questo episodio felliniano l'anno scorso, soltanto una volta. A dire il vero non mi ha impressionato granché: come appunto hai già fatto notare tu, caro Giuliano, sembra un'idea non sviluppata del tutto e conclusa in tutta fretta dopo un quarto d'ora. La parte migliore resta forse proprio l'inizio, con quelle sequenze kafkiane durante le quali il protagonista sembra smarrirsi sempre più fra i corridoi del palazzone. Però, considerando tutto quello che Fellini ha girato da lì in poi, mi sembra comunque poca cosa. Forse dovrei concedere ad "Agenzia Matrimoniale" un'altra visione, non so.
Ultimo appunto: potrei sbagliarmi, ma la voce che doppia Cifariello non è quella di Enrico Maria Salerno?

Giuliano ha detto...

Sì, ovviamente non è un gran che: ma questo inizio mi ha colpito, sembra di vedere alcune sequenze di "Roma", per l'appunto, o di "Giulietta degli spiriti" (l'agenzia matrimoniale e quella investigativa, le facce sono più o meno le stesse).
Non so se la voce sia di Salerno...può darsi che sia la voce vera di Cifariello, che io non conosco. Bisognerà fare una ricerca, in alcuni casi è scritto chi sono i doppiatori, in altri no. (e in altri casi, vedi Arnoldo Foà, la voce è riconoscibilissima).
Devo dire che mi sono piaciuti molto gli attori, tutti ben scelti.

AF ha detto...

La tenera ragazza bionda è Livia Venturini, la mitica Parisina di "Non ci resta che piangere"!

Giuliano ha detto...

grazie per la segnalazione