sabato 7 maggio 2011

Tarkovskij e Leonardo

Soljaris (Solaris,1972) Regia: Andrej Tarkovskij; soggetto: dal romanzo omonimo di Stanislaw Lem; sceneggiatura: Andrej Tarkovskij, Fridrich Gorenstejn; fotografia: Vadim Jusov; scenografia: Michail Romadin. Musica: Johann Sebastian Bach, Preludio corale in fa minore BWV 639. Musiche originali di Eduard Artemev. Interpreti: Donatas Banjonis (Kris Kelvin), Natalja Bondarchuk (Hari), Jurij Jarvet (Snaut), Anatolij Solonicyn (Sartorius), Vladislav Dvorzeckij (Berton), Nikolaj Grin'ko (il padre), Olga Barnet (la madre), Sos Sarkisjan (Gibarian). Durata: 165'

Nei film di Tarkovskij ci sono tre costanti: Johann Sebastian Bach, Leonardo da Vinci, e l’icona della Trinità di Andrej Rubliov. Ma le citazioni dei grandi pittori del passato (come Dürer e Bruegel, o magari Gustave Doré o le incisioni scientifiche per l’Enciclopedie) sono per Tarkovskij una vera e propria firma, un po’ come le brevi apparizioni di Hitchcock nei suoi film. Nei film di Tarkovskij capita spesso, per esempio, di vedere un attore che sfoglia un libro con riproduzioni d’arte: in “L’infanzia di Ivan” il regista russo riesce nell’impresa di mettere in mano un libro d’arte, molto grande e molto bello, a un bambino in tempo di guerra, tra i soldati, e per di più a ridosso della prima linea. “Andrej Rubliov” è tutto dedicato al maggior pittore di icone della storia russa, e i dipinti di Bruegel diventano parte integrante della narrazione in “Solaris”. Gli esempi di questo genere sono innumerevoli, e sto provando a dedicare a questo inventario un po’ di spazio, meglio che posso, per un’ipotetica galleria d’arte basata sui film del grande regista russo.

 In particolare, non si possono contare le apparizioni leonardesche, nel cinema di Tarkovskij: sono innumerevoli, nei paesaggi e nei volti. Queste che prendo oggi vengono dal film “Solaris”, del 1972: che in teoria dovrebbe essere un film di fantascienza, tratto da un romanzo di Stanislaw Lem, ma che Tarkovskij trasforma in qualcosa di diverso e di molto personale, un film dove a prevalere è l’immagine più che la storia raccontata.
Grande protagonista di questo post è Natalia Bondarchuk, protagonista femminile del film, molto somigliante alle donne ritratte da Leonardo. Somiglianza tutt’altro che casuale, naturalmente: anche l’abito e la pettinatura sono evidentemente studiati sui modelli leonardeschi, e con molta attenzione.

Nelle inquadrature che riguardano la madre del protagonista (interpretata da Olga Barnet) è leonardesco anche lo sfondo dell’immagine. Questa sequenza nasce in realtà da una panoramica su Bruegel, ed è fondamentale perché mostra bene il particolare lavoro di Tarkovskij. Nella Gioconda il paesaggio è autunnale, nel film siamo in inverno: ma le somiglianze sono molte. Soprattutto, in “Solaris” l’opera di Leonardo è da cercare anche nelle molte immagini scientifiche, stampe, mappe, attrezzi di laboratorio. Non è mai una citazione diretta, ma un’emozione mediata dalla memoria, a far pensare a Leonardo guardando “Solaris”.

A questo proposito, è interessante leggere un parere di Orson Welles su Leonardo, datato 1958:
- Quindi per lei la televisione è una sintesi di cinema e radio?
«Io cerco sempre la sintesi. È un lavoro che mi affascina perché devo essere sincero riguardo a me stesso, e io sono un puro sperimentatore. L'unico valore che ho ai miei occhi è che non detto leggi, ma sono uno sperimentatore. Sperimentare è l'unica cosa che mi entusiasma. Non mi interessa il lavoro artistico, capite, la posterità, la fama, ma solo il piacere della sperimentazione in se stessa. È l'unico ambito in cui posso sentire di essere onesto e sincero. Io non mi consacro a quel che faccio. Davvero, non ha alcun valore ai miei occhi. Sono profondamente cinico riguardo al mio lavoro e alla maggior parte delle opere che vedo nel mondo. Ma non sono cinico riguardo al lavoro sui materiali. É una cosa difficile da spiegare. Noi sperimentatori di professione abbiamo ereditato un'antica tradizione. Alcuni di noi sono stati tra i maggiori artisti, ma le nostre muse non sono mai diventate le nostre amanti. Per esempio, Leonardo si considerava uno scienziato che dipingeva piuttosto che un pittore che faceva lo scienziato. Non voglio certo paragonarmi a Leonardo; sto solo cercando di spiegare che c'è una lunga linea ininterrotta di persone che giudicano il proprio lavoro secondo una diversa gerarchia di valori, che sono quasi valori morali. Quindi non cado in estasi quando sono di fronte a un'opera d'arte. Sono in estasi quando mi trovo di fronte alla funzione umana, che è sottesa a tutto ciò che facciamo con le nostre mani, con i nostri sensi, eccetera. Il nostro lavoro, una volta finito, non ha l'importanza che la gran parte degli esteti gli attribuiscono. È l'atto che mi interessa, non il risultato, e io vengo preso dal risultato solo quando questo sa di sudore dell'uomo, o di pensiero espresso.
(Orson Welles, da un’intervista del 1958 ai “Cahiers du cinéma”, pag.92 del volume “It’s all true”, edito da Minimumfax.)


I dipinti: il ritratto di Ginevra Benci, attribuito a Leonardo (che verrà citato apertamente in “Lo specchio”); sempre di Leonardo il ritratto di Cecilia Gallerani, la dama con l’ermellino; “la belle ferronière” Lucrezia Crivelli, al Louvre, sempre di attribuzione incerta; il ritratto di Bianca Sforza (di profilo), anch’esso di attribuzione incerta.


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