lunedì 9 maggio 2011

Natura morta ( I )


Nella storia dell’arte, la prima natura morta (“still life”, vita immobile, per gli inglesi) è comunemente considerata quella di Caravaggio, il famoso cesto di frutta dipinto nel 1596 e conservato a Milano nella Pinacoteca Ambrosiana. Ovviamente, non era la prima volta che veniva dipinto un cesto di frutta, ma qui si trattava di metterlo al centro dell’immagine, da unico protagonista.
Che cos’è di preciso una “natura morta”? La Garzantina la definisce così: «Natura morta: espressione introdotta in Italia sul finire del secolo XVIII per tradurre il termine olandese “still leven” (natura tranquilla) che dal 1650 circa definiva nei Paesi Bassi i dipinti con soggetti inanimati. Il genere si sviluppò in Europa negli ultimi decenni del ‘500: fiori, frutta e legumi accompagnavano ritratti e scene di genere conferendo significati allegorici (ad es. le “Stagioni” dell’Arcimboldi, in cui fiori e frutti danno corpo a veri e propri ritratti). Ma già nel 1596 Caravaggio dipinse il “Canestro di frutta” che segnò l’inizio della natura morta come genere autonomo. Da allora essa godette di enorme fortuna per oltre due secoli, specialmente in Italia (la scuola napoletana di Evaristo Baschenis), in Olanda (Kalf, Claesz), Spagna (i bodegones, Zurbaran, Melendez) e Francia (Chardin, Liotard).»

Si tratta quindi di un esercizio di studio della luce e dei corpi: cose che non sono alla portata di tutti, e che hanno finito per avere grande fascino anche nel cinema. Oggi, con i dvd, è abbastanza facile isolare quei momenti con l’uso del fermo immagine. Questo è dunque il primo post di una piccola serie, gli esempi saranno molti e di varia origine.


Comincio da Andrej Tarkovskij: i film sono, per oggi, “Solaris” (1972) e “Nostalghia”(1982). I dipinti sono tutti dell’olandese Pieter Claesz (1597-1661), ad eccezione del famosissimo “Canestro di frutta” del Caravaggio, che ho posto – come era d’obbligo - in apertura.


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