sabato 12 febbraio 2011

Powaqqatsi


- Powaqqatsi (1987): regia di Godfrey Reggio, musiche di Philip Glass. Fotografia di Graham Berry e Leonidas Zourdoumis. Montaggio di Iris Cahn e Alton Walpole. Scritto da Godfrey Reggio e Ken Richards. Produzione: F.F. Coppola, G.Lucas; Mel Lawrence, Godfrey Reggio, Lawrence Taub. Menahem Golan - Yoram Globus. Durata: 1h35’
- Naqoyqatsi (2002): regia di Godfrey Reggio, musiche di Philip Glass. Scritto da Godfrey Reggio. Durata: 89 minuti


Po-waq-qa-tsi: from the Hopi language. Powaq is a sorcerer, qatsi is a way of life. An entity, a way of life that consumes the life forces of other beings in order to further its own life.
«Powaq è uno stregone, un’entità che prosciuga la forza vitale di un altro essere per progredire. il Powaq si serve della seduzione, delle lusinghe, e non del solito “vengo a strapparti il cuore” o cose del genere. Non è un film dell’orrore. (...) Powaq unito alla parola “qatsi” , stile di vita, significa “un modo di vita che ne prosciuga un altro per progredire”.» (Godfrey Reggio, dal commento al film che si trova sul dvd)
Godfrey Reggio spiega ancora che Koyaanisqatsi parlava dell’emisfero nord, mentre Powaqqatsi parla dell’emisfero sud, quello più sfruttato e più ricco di materie prime, e mette in discussione il concetto di progresso. Il terzo film, Naqoyqatsi, riguarda tutto il mondo, nella sua globalità.
Glass e Reggio tentano di ripetere l’operazione iniziata con “Koyaanisqatsi” a quasi dieci anni di distanza, con “Powaqqatsi”: ma il risultato non mi convince. Fin dall’inizio, l’abbinamento fra immagini e musica suona male, c’è qualcosa di sbagliato: cosa c’entrano le immagini di quei minatori disgraziati con la musica rilassante che ascoltiamo sullo sfondo? L’impressione peggiora quando ci si rende conto che uno dei minatori è rimasto ferito alla testa, probabilmente in modo grave; ma si va avanti a filmare e anzi nella colonna sonora parte un coretto di bambini. Quello che era il punto di forza di Koyaanisqatsi, la perfetta sintonia fra immagini e musica, viene subito a mancare: ed è un brutto modo di iniziare a vedere un film che ho evitato per anni, proprio per il timore di venirne deluso. Nel frattempo, alcune musiche di Powaqqatsi sono diventate famose, molto usate in pubblicità e in altri documentari; sono musiche molto più facili rispetto al primo film, e anche questa cosa non aiuta molto a immedesimarsi, a entrare nel film.
Si tratta sempre di immagini molto suggestive, ma che – a differenza di Koyaanisqatsi – sono immagini molto più “brillanti” e già viste, sembra il National Geographic, e con l’aggravante di non poter sapere dove sono state riprese fino a che non finisce il film (e a quel punto bisognerà leggere con attenzione i titoli di coda).
Le musiche di Glass ricordano molto Giuseppe Becce, e le raccolte che erano in uso al tempo del cinema muto, ma in versione leggera, quasi da spot o da musica d’ambiente, e soprattutto nelle scene dove si vede danzare dispiace molto di non poter sentire il sonoro originale. Il riferimento a Becce, e ai compositori del tempo del cinema muto, non è casuale: nel frattempo, infatti, Glass si è molto dedicato alla sonorizzazione di film degli anni ’20, e anche degli anni del sonoro (La bella e la bestia di Jean Cocteau), e non è pensabile che non si sia documentato in merito. Il risultato è questo, musica molto piacevole ma quasi mai memorabile. Ambient music, verrebbe da dire: e forse è un po’ calcare la mano, ma non mi sembra una definizione sbagliata.
Powaqqatsi è stato girato nell’emisfero sud del pianeta: in Brasile (le immagini d’apertura mostrano la miniera d’oro di Serra Pelada, una miniera a cielo aperto) e in Bolivia, in Kenya (Lamu, Mombasa, Nairobi, Pate Island) e in Nigeria, in India (Bombay, Calcutta, Madras, Jaipur...) e in Nepal, in Israele (a Gerusalemme) e in Egitto (è a Luxor il bambino che cammina vicino al camion e viene nascosto dalla polvere), a Hong Kong, e anche qualcosa in Europa (Berlino, Chartres, Londra).

L’intento del film è lodevole, e le frasi di Reggio che riporto all’inizio sono molto belle e importanti; ma il risultato è decisamente deludente. C’è una considerazione da fare, ed è sul tempo che passa: per esempio dire “quarant’anni fa” oggi o negli anni ’60 non è la stessa cosa, perché il mondo di oggi è molto più simile agli anni ’70 di quanto non si creda. Invece, i “quarant’anni fa” degli anni ’60 implicavano, solo per dire le principali differenze, un mondo dove ancora poche famiglie avevano l’elettricità in casa, dove il telefono e la radio erano ancora riservate a pochi, senza televisione, senza frigorifero, il cinema muto, pochissime automobili, niente aerei o quasi. Tutto questo ha molto a che vedere con l’impatto che fecero i due film al loro apparire: in “Koyaanisqatsi” ci sono molte immagini nuove, mai viste prima; anche la musica di Philip Glass è nuova, e non nel senso che sia stata depositata ieri alla Siae ma proprio nel senso che una musica così non si era ancora ascoltata. Oggi invece, e già nel 1987 era così, è difficilissimo trovare immagini nuove, e musiche nuove: l’impatto dei due film non poteva che essere diversissimo, e la delusione verso il secondo film sembra quasi un evento inevitabile.
Di conseguenza, al di là del mio gradimento personale (che è una cosa di nessun interesse), l’appunto principale che mi sento di fare a “Powaqqatsi” è lo stesso che ho fatto all’inizio, e cioè che quando si mostrano immagini di gente che soffre, che fatica lavorando, o che pena nelle favelas ci vorrebbe maggior rispetto: e non mi aspettavo di dover dire queste cose parlando degli autori di Koyaanisqatsi.
Fin qui non ho mai voluto vedere il terzo film della trilogia voluta da Godfrey Reggio, “Naqoyqatsi”, del 2002: temo di essere ancora più deluso, e quando leggo che vi appaiono anche Elton John, Madonna (nel senso della signora Ciccone) e altri personaggi famosi per la tv e per il gossip (fra cui Marlon Brando, in immagini di repertorio) la poca voglia che ho di vederlo rischia di svanire del tutto. Però mi segno quello che ne dice Godfrey Reggio nel commento che trovo sul dvd di “Powaqqatsi”: come al solito, una lettura molto interessante e ricca di un significato profondo che va ben oltre la visione del film.
«Naqoy è guerra, uccidere un altro essere, la guerra come modo di vita, una guerra che va oltre il campo di battaglia e invade la nostra vita quotidiana. Difficile rendersene conto quando ci sei dentro, è un’aggressione contro la stessa forza vitale, una “violenza civilizzata”, la sottomissione animale....» (Godfrey Reggio, dal commento al film che si trova sul dvd)

PS: “Anima Mundi” è un cortometraggio del 1992, di 28 minuti, sempre ad opera di Godfrey Reggio: ne è protagonista, se non ricordo male, il mondo animale.

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