martedì 2 novembre 2010

Il volto ( IV )

ANSIKTET (IL VOLTO, 1958). Regia, soggetto e sceneggiatura: Ingmar Bergman. Fotografia: Gunnar Fischer. Musica: Erik Nordgren. Scenografia: P. A. Lundgren. Montaggio: Oscar Rosander. Costumi: Manne Lindholm, Greta Johansson. Interpreti: Max Von Sydow (Vogler), Ingrid Thulin (Manda - Aman), Gunnar Björnstrand (il dottor Vergerus), Naima Wifstrand (la nonna), Bengt Ekerot (Spegel), Bibi Andersson (Sara), Gertrud Fridh (Ottilia Egerman), Erland Josephson (Egerman), Lars Ekborg (Simson, il cocchiere di Vogel), Toivo Paulo (Starbeck), Ake Fridell (Tubal), Sif Ruud (Sofia), Oscar Ljung (Antonsson), Ulla Sjöblom. (Henrietta, la moglie di Starbeck), Axel Düberg (Rustan, il maggiordomo), Birgitta Petersson (Sanna). Produzione: Allan Ekelund per la Svenksfilmindustri. Durata: 100 minuti

La parte della vecchia, interpretata magnificamente da Naima Wifstrand, è molto bella e molto importante. In particolare, è interessante la sua scena con la più giovane delle due ragazze, in cucina: che ha paura di lei ma ne è affascinata. Il buffo Tubal predice il futuro ma solo per scherzo, la vecchia sembra invece avere davvero dei poteri extrasensoriali: al cocchiere Antonsson predice cose sgradevoli, ma con la ragazza è molto gentile e le regala un pendente che somiglia ad un orecchio, entro il quale dire i suoi desideri: l’importante è «che i tuoi desideri siano cose che vivano e che vivranno». L’augurio è un po’ oscuro, la ragazza dice di non capirlo, ma di certo non è una cosa negativa e accetta il dono.
Al minuto 44, la vecchia sussurra una canzone alla ragazza, una ballata che la fa addormentare: somiglia molto alle canzoni popolari tedesche raccolte a inizio ‘800 da Arnim e Brentano, e musicate da Mahler, “Des Knaben Wunderhorn”. E’ una ballata su un soldato giovane, che sta per affrontare la guerra (e probabilmente la morte), e che la notte prima della battaglia scrive una lettera alla sua amata; il ritornello dice “L’amore dà pace e consolazione, l’amore dà forza...l’amore dà gioia ma è arduo da capire...”Subito dopo, al minuto 46, a parlare è il cocchiere della famiglia Egerman, il rude Antonsson, seduto a tavola: ce l’ha con il mago Vogler e con i suoi compagni di strada.
- Se potessi li frusterei a sangue...gli stregoni hanno qualcosa di speciale, i loro volti mi rendono furioso...quel Vogler ha un volto che mi ispira una irresistibile tentazione di picchiarlo...i loro lineamenti hanno qualcosa di insondabile...Ci sono altre battute sul “volto” nel corso del film: Vogler dice che odia il volto del Dottore e degli altri potenti; Antonsson (il cocchiere) dice che odia il volto di Vogler e dei suoi; nel finale, il Dottore dice a Vogler che provava simpatia per il suo volto camuffato (la barba finta, la parrucca) e non per il suo vero volto.
La simpatia per il mago era già stata espressa dal Dottore al minuto 58, quando scopre che il giovane Aman in realtà è una donna, la moglie del mago. La donna (Ingrid Thulin) appare vestita di bianco, i capelli sciolti e lunghissimi, molto diversa da come l’avevamo vista prima quand’era truccata da giovane uomo: si direbbe molto simile ad un angelo così come viene dipinto nelle illustrazioni tradizionali, e contrasta molto con l’aspetto severo e borghese del Dottore (Gunnar Björnstrand):
- E’ tutta la sera che cerco di reprimere un senso di simpatia per voi e per vostro marito (...) i vostri volti, il vostro silenzio, la vostra dignità....(...) Non l’avrei mai confessato se non avessi bevuto così tanto.
- Se è vero ciò che dite, lasciateci in pace.
- Non posso.
- Perché?
- Perché voi rappresentate tutto quello che io più detesto, l’inspiegabile.
- Allora potete troncare qui la vostra avversione: la nostra attività è tutta un inganno. Simulazioni, false promesse, doppi fondali...Tutte sporche ed indegne bugie: siamo la marmaglia più ridicola che possiate trovare.
- Anche vostro marito la pensa così?
- Lui non può parlare.
- E’ la verità?
- Niente è verità.
- E così, vostro marito non avrebbe poteri reconditi. Su di me non ha avuto effetto; se si esclude un leggero senso di gelo, è stato un fallimento.
- (sottovoce, in un soffio) Ma non significa niente...
- Per cui, dovrei tranquillizzarmi?
- (decisa) Certamente, signor Vergerus. La nostra incapacità è facilmente dimostrabile.
- Però questa evidenza vi dispiace. Preferireste che non fosse così? I miracoli non si fabbricano...le chiacchiere e la messinscena sono gli strumenti necessari. Con i preti, è lo stesso: Dio tace, gli uomini parlano.
- (sottovoce, quasi fra sè)...se solo una volta...
- (riprendendo le parole di lei) Un grido universale: “se solo una volta...”

Eh già: se solo una volta Dio ci parlasse, se solo una volta potessimo credere, vedere – ma Dio tace, e questo del silenzio di Dio è uno dei grandi temi del cinema di Bergman, forse il principale.
Dal finale del film prendo altre due battute interessanti: Gunnar Björnstrand, terrorizzato da quello che aveva creduto un fantasma, quando infine si ritrova faccia a faccia con il mago (Max von Sydow) e capisce che è stato soltanto un trucco, gli dice: «Ho avuto un lieve timore della morte: niente di più.»E l’ultimissima battuta del film: il capo della polizia deve dare suo malgrado al mago una comunicazione, vale a dire che non lo aspetta l’arresto ma una chiamata del Re che è interessato allo spettacolo, e il mago gli risponde così: « Radunate dunque le mie apparecchiature e inviatele al Palazzo Reale; ma state attenti, è un complesso di grande valore.»Questa battuta finale, così come il referto dell'autopsia, mi hanno fatto pensare al "Kaspar Hauser" e al finale del "Nosferatu" di Werner Herzog: chissà se c'è qualche collegamento tra i due film.
Del resto, "Il volto" è talmente pieno di spunti e di rimandi che i pensieri che sorgono diventano tanti, sia rivolti al passato che al futuro: per esempio, i volti e il fisico di Ingrid Thulin (biondissima) e di Max von Sydow, nella scena in cui per la prima volta si toglie il trucco, sono quasi identici a due personaggi dei fumetti nati proprio in quel periodo, Eva Kant e Diabolik. I personaggi delle sorelle Giussani, oltretutto, sono maghi del trucco e del travestimento... Ragionando a ritroso, invece, impossibile non notare la somiglianza di Max von Sydow (struccato) con il sonnambulo Cesare di un capolavoro dell'espressionismo tedesco, "Il gabinetto del dottor Caligari" di Robert Wiene (anno 1920). Però la soffitta dove Björnstrand compie l’autopsia somiglia molto, più che allo studio del dottor Frankenstein, al ripostiglio di un teatro: forse era proprio questo che si voleva suggerire.
E, rimanendo in ambito di costumi e truccature, se si vanno a vedere le inquadrature nel finale, i costumi del mago sono vagamente cinesi, ma non solo: Ingrid Thulin messa di profilo finisce col somigliare moltissimo al famoso busto di Nefertiti.
Molto bello e appropriato, per finire, il commento musicale di Erik Nordgren: niente Bach, per una volta, ma chitarra acustica e percussioni, e piccole fanfare ironiche là dove servono.
E’ interessante fare un parallelo tra Il volto e Il rito, due film di Bergman distanti fra loro dieci anni, e che hanno molto in comune. In entrambi c’è una troupe girovaga di attori e illusionisti, forse con poteri magici, che vanno a toccare corde profonde. Entrambi un po’ cialtroni, miseri e mendicanti, ma verranno ricevuti dal Re. Nel Volto Björnstrand è il razionalista scettico e sprezzante, nel Rito prende invece il posto che fu di Max von Sydow e diventa capocomico e mago. Ingrid Thulin resta al suo posto; non ci sono più la vecchia strega, le due giovani donne, la corte e tutto il contorno, l’azione è ridotta all’essenziale così come i personaggi, però rimane il capo della polizia. Tutti gli altri personaggi del Volto verranno riassunti nel “Rito” in uno solo, il terzo attore della compagnia. Ma di questo si parlerà a suo tempo.
Tino Ranieri, Bergman Il Castoro Cinema
(...) « Il movimento in sé è l'unica verità che esista », si dirà tra poco in una delle sequenze chiavi di “Il volto”. Si sa che “Il volto” ha trovato molti oppositori alla sua uscita (anche nell'anteprima in Italia, alla mostra cinematografica di Venezia del 1959). Tra i film di Bergman, è uno di quelli contro i quali si è reagito piú confusamente. Sono state. portate in campo critiche che si contraddicono (e quindi si annullano) l'una con l'altra. “Il volto” è troppo complicato, dicono candidamente alcuni, non si capisce dove voglia andare a parare. È un semplice gioco di effetti, giurano altri, vive di immagini ben fotografate ma non ha niente di importante: si faccia caso, sono le stesse due posizioni dei due avversari della vicenda, il «mago» Vogler e il medico Vergerus, il che vuol dire che le due accuse critiche non costituiscono il risultato, bensí proprio il soggetto del film. Che Bergman le aveva prese addirittura come base di partenza, e che insomma è stato lo spettatore o il critico insoddisfatto a smarrirsi lungo la strada. (...)
I simboli in Bergman battono, come sappiamo, vie serpentine e strabilianti. Anche nel Volto assistiamo dunque a capovolgimenti di fronte e a mediazioni che sembrano volta a volta quasi empie o quasi ingenue. La salvezza e la giustizia (la carrozza reale) arrivano con squillar di sonagli ed effetti da opera buffa, ma - propone Bergman - da piú in alto che dalla reggia. Tanto che la pioggia cessa repentinamente per fare posto al sole. La verità si impone soltanto a viso nudo, quando ogni trucco è abbandonato. Il raccapriccio può diventare veicolo di purificazione. II film è una grossa battaglia, densa di episodi eroici, sordidi e erotici. Ma l'affermazione centrale non sembra, dopo tutto, oscura. Nella lotta tra spirito e raziocinio non ci può essere dignità né vittoria finché non saranno cadute le sovrastrutture che i contendenti rizzano vanamente a reciproca difesa, messinscene meschine e preconcetti sbagliati; finché il Volto liberato dell'uomo non avrà trovato l'ardire supremo dell'autoconfessione.
Finché si esige la magia da un mago, essa sarà solo soperchieria, prestidigitazione. Ma chiedete l'incantesimo all'uomo che si nasconde nel manto del mago, e quel che ne verrà fuori potrà essere accecante. Chiedetegli ciò che non sa dare, e forse lo ucciderete. Ma chiedete ciò che ancora non ha
mai dato, e lo trasfigurerete. (...)
(Tino Ranieri, volume su Bergman, Il Castoro Cinema)


2 commenti:

Ismaele ha detto...

hai notato che Dr. Vergerus sembra Kevin Kline e che il capo della polizia sembra Charles Laughton brutto?

Giuliano ha detto...

il capo della polizia appare solo in questo film, però ha lavorato con Bergman in teatro. In effetti, ha un volto che colpisce - Laughton lo avrebbe reso magnificamente!
Vergerus è Gunnar Björnstrand! Uno degli attori a cui voglio davvero bene, non sono mica tanti. Sì, è possibile che Kevin Kline se lo sia studiato...non solo qui ma anche in "Sorrisi di una notte d'estate"