mercoledì 3 novembre 2010

Il volto ( II )

ANSIKTET (IL VOLTO, 1958). Regia, soggetto e sceneggiatura: Ingmar Bergman. Fotografia: Gunnar Fischer. Musica: Erik Nordgren. Scenografia: P. A. Lundgren. Montaggio: Oscar Rosander. Costumi: Manne Lindholm, Greta Johansson. Interpreti: Max Von Sydow (Vogler), Ingrid Thulin (Manda - Aman), Gunnar Björnstrand (il dottor Vergerus), Naima Wifstrand (la nonna), Bengt Ekerot (Spegel), Bibi Andersson (Sara), Gertrud Fridh (Ottilia Egerman), Erland Josephson (Egerman), Lars Ekborg (Simson, il cocchiere di Vogel), Toivo Paulo (Starbeck), Ake Fridell (Tubal), Sif Ruud (Sofia), Oscar Ljung (Antonsson), Ulla Sjöblom. (Henrietta, la moglie di Starbeck), Axel Düberg (Rustan, il maggiordomo), Birgitta Petersson (Sanna). Produzione: Allan Ekelund per la Svenksfilmindustri. Durata: 100 minuti

L’azione di “Il volto” si svolge nel luglio 1846: lo si dice alla fine, ma per tutto il film mi sono chiesto se non si fosse un po’ più indietro, magari nel Settecento. Me lo facevano pensare scene e costumi, ma soprattutto il riferimento (preciso e ben dettagliato) alle “pratiche mesmeriche”, cioè al medico austriaco Mesmer, diventato celebre a Vienna quando Mozart era bambino, cioè prima della rivoluzione francese. La Garzantina lo descrive così: « Franz Anton Mesmer (1734-1815), medico e mistico austriaco. Fondò la teoria del magnetismo animale (mesmerismo) secondo la quale ogni organismo vivente possiede un fluido magnetico emanante una speciale energia; ne tentò anche un’applicazione terapeutica.»
In sostanza, Mesmer è uno degli “inventori” dell’ipnotismo; i richiami al magnetismo, cioè alle calamite e all’elettricità, sono per forza di cose molto vaghi: siamo ancora in epoca prescientifica, stanno per arrivare le grandi scoperte dell’epoca moderna (contemporaneo di Mesmer è il grande chimico Lavoisier, più giovani di lui sono Gay-Lussac e Faraday, tanto per citare alcuni nomi) e “magnetismo” è solo il nome dato a qualcosa che non si sa bene che cosa sia, e che ben si sposa con l’altra parola, “fluido”, che tanto piace agli appassionati del paranormale.
Su queste cose, su Mesmer e il mesmerismo, giocò molto Edgar Allan Poe nei suoi racconti dell’orrore (alcuni bellissimi); su Mesmer e il mesmerismo gioca molto anche Ingmar Bergman con questo film. Si può ancora aggiungere che il vero Mesmer era con ogni probabilità una persona in buona fede, convinto di avere trovato un’ottima strada per la medicina, e che la metà dell’Ottocento, il periodo in cui si svolge il film, è anche il momento in cui arriva al successo Houdini, celebre mago e illusionista. Truccato da mago, Max von Sydow ricorda molto – a seconda dei momenti e delle inquardature scelte – sia “Ivan il terribile” di Eisenstein che il sonnambulo Cesare nel “Doktor Caligari” di Robert Wiene, ma anche il personaggio di Svengali, magnetico e poco rassicurante individuo, al limite tra il cialtronesco e l’horror, che fu interpretato da John Barrymore in un film del 1933 che rimase molto famoso per decenni. En passant, si può ancora ricordare che il teatro dove si esibiva Houdini, a Parigi, fu in seguito rilevato da un giovane illusionista che lo avrebbe tenuto per trent’anni con grande successo: Georges Méliès, l’inventore dei trucchi cinematografici.
Nel film, ho trovato echi anche di “La carrozza d’oro” di Jean Renoir, di pochi anni precedente: la carrozza in viaggio, gli attori, la confusione tra la vita e il teatro, verità e menzogna, amore e inganni – del resto, “Buffoni e buffonate” è il titolo del capitolo sotto cui Bergman raggruppa, nel suo libro “Immagini”, film come “Il volto”, “Il rito”, “Sera del saltimbanco” (Una vampata d’amore), “L’uovo del serpente”, “Dalla vita delle marionette”. Un altro riferimento evidente a Renoir, per la precisione a “La regola del gioco” è nella parte dedicata ai servitori, alle cuoche, al cocchiere e al valletto. In particolare, notevole è la somiglianza di Antonsson con il guardacaccia Schumacher del film di Renoir: fisicamente sono molto simili, e anche il carattere è più o meno quello; e anche il loro destino nel corso del film è molto simile.
Va detto che Jean Renoir è meno spietato con il suo personaggio rispetto a Bergman; ma il carattere umoristico è ben presente in entrambi i film, e anzi “Il volto” si presterebbe benissimo anche a una versione comica. Con piccole modifiche, potrebbe diventare uno dei film che Totò girava proprio in quegli anni: un film col marito cornuto (il ruolo di Erland Josephson è tutto sommato questo), con Totò ovviamente a fare il mago, magari con Aroldo Tieri al posto di Björnstrand e Tino Buazzelli al posto del capo della polizia,e magari anche Walter Chiari, chissà. (per le donne, ampia scelta: da Delia Scala a Marisa Merlini a Carla Del Poggio...).
Si parte da una carrozza in viaggio tirata da due robusti cavalli: a bordo una piccola compagnia di “buffoni” per usare il termine scelto da Bergman (e che rimanda ai clowns di Shakespeare e di Beckett) composta da quattro persone più il cocchiere, un giovane che fa anche da servitore. I quattro componenti la compagnia del mago Vogler sono: il mago stesso (Max von Sydow con barba nera molto elaborata, visibilmente finta), un giovane che si chiama Aman e che è in realtà una donna travestita (Ingrid Thulin), una vecchia dall’aspetto inquietante (Naima Wifstrand) e il comico Tubal, che fa da portavoce al gruppo, dato che il mago Vogler dice di essere muto (Tubal è interpretato da Ake Fridell).
Viaggiando nella notte, in una palude popolata da spettri, la carrozza si imbatte in un corpo buttato sulla via: morto o ubriaco? Vogler scende e va a controllare. E’ un nuovo personaggio, e così ce lo presenta Bergman:
Ingmar Bergman, da “Immagini” (ed. Garzanti, 1992):
L'altro personaggio centrale accanto ad Aman/Manda è però Johan Spegel, l'attore. Lui muore due volte. Come Agnes in Sussurri e grida, muore ma resta impigliato per strada. Spegel è morto, però non è morto: « Non sono morto. Ma ho già ricominciato a camminare. In verità è meglio per me essere fantasma che essere uomo. Sono diventato più convincente. Come attore non lo sono mai stato.» Lui è quello che capisce immediatamente Vogler. «Un furfante che ha bisogno di nascondere il suo vero volto».
La sera prima della grande seduta di magia di Vogler, loro s'incontrano per la seconda volta: «S'incontrano dietro il paravento, dove le ombre sono come più profondamente vicine alla tenda, che reca immagini stellari e segni segreti». Il volto di Spegel è rivolto verso il buio:
«Ho fatto una preghiera nella mia vita: usami. Manovrami. Ma Dio non ha mai capito quale forte e devoto schiavo io fossi. Così ho dovuto andarmene inutilizzato. Del resto, anche questa è menzogna. Si fa un passo dopo l'altro nel buio. Il movimento stesso è l'unica verità.»
È lo stesso Spegel che in precedenza aveva detto: «Ho sempre desiderato un coltello. Una lama che potesse mettere a nudo le mie viscere. Liberare il mio cervello, il mio cuore. Rendermi libero dal mio contenuto. Tagliare la mia lingua e il mio sesso. Una lama di coltello affilata che raschiasse via ogni impurità. Così il cosiddetto spirito potrebbe elevarsi da questo cadavere senza senso.»
Può sembrare oscura, ma era una cosa centrale. Le parole rispecchiavano un'aspirazione all'arte pura. Mi era venuta l'idea che qualche volta avrei avuto il coraggio di essere incorruttibile, forse senza intenzione. Era una reazione naturale a tutto il resto che era presente nel Volto: per esempio il puttaneggiare! Mi sembrava spesso di essermi invischiato in una continua prostituzione abbastanza allegra. Si trattava di attirare il pubblico. Era showbusiness dal mattino alla sera. Mi divertiva, non c'era altro da dire. Ma sotto sotto c'era il violento desiderio che io lascio formulare a Spegel. (...)
Ingmar Bergman, da “Immagini” (ed. Garzanti, 1992)
Il regista francese Jacques Rivette, parlando di un suo film del 2004, tirò fuori questa storia che mi sembra abbastanza appropriata: « (...) i miti nordici raccontano che il regno dei morti è vicino a noi, a nord ovest, separato solo da un fiume. Ma alcune persone, pur morendo, non riescono a raggiungerlo e sono condannate a restare fra noi. Hanno un corpo che possiamo toccare, un’esistenza che possiamo condividere, ma sono animate dal desiderio ossessivo di poter finalmente attraversare il fiume nero, e morire veramente...» (Jacques Rivette, per “La storia di Marie e Julien”, da L’Espresso 17-06-2004, intervista di Alessandra Mammì)
Non conosco lo svedese, ma “Spegel” (interpretato da Bengt Ekerot), il nome dell’attore morente, suona molto simile al tedesco “Spiegel”: lo specchio. E Vogler lo guarda a lungo negli occhi, cercando in lui il segreto della morte; Spegel lo lascia fare, e anzi si dice ben disposto ad assecondarlo. I due si trovano subito in sintonia, Vogler non parla ma Spegel gli dice molte cose, nel corso del film.
Guardare la morte negli occhi, sapere che cosa c’è “al di là”: l’illusionista Vogler prova a farlo con il morente raccolto per strada, l’attore alcolizzato, che si presta volentieri all’esperimento e gli dice “la morte, eccola: la morte è...”. Si interrompe e tutti lo credono morto, ma è solo una morte apparente; l’attore si risveglierà e morirà più avanti, allo stesso modo.
Questo “specchio” in cui guardare, questo giocare con l’aldilà, questo morire e “risuscitare” dei personaggi mi hanno suggerito l’idea che probabilmente il titolo giusto del film, il titolo completo, avrebbe potuto essere qualcosa di simile a questo: non soltanto “Il volto”, ma “Il volto della morte”. Un tema ben presente nella letteratura, dal romanticismo fino a “verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, che forse Bergman non ha voluto del tutto esplicitare, lasciandone la scoperta allo spettatore.
(continua)

2 commenti:

Marisa ha detto...

Il mesmerismo è stata una delle grandi illusioni dell'umanità, sempre in cerca di soluzioni magiche ed indolori ai propri guai. Pochi anni fa abbiamo avuto il farmaco miracoloso del dott. Di Bella, e le proposte di elisir di lunga vita e promesse di immortalità continuano a sollecitare le nostre paure, a continuo vantaggio di ciarlatani vecchi e nuovi (don Verzè incluso).
Nel film, sarà per il "volto" nobile e dolente di Vogler in funzione di mago, tutto assume un significato che va oltre i prevedibili trucchi dello spettacolo ed assurge a simbolo stesso della illusoria commedia della vita, dove niente è quello che sembra e tutto è necessariamente avvolto nell'illusione del velo di Maja, semplicemente per permettere all'uomo di coinvogersi ed accettare la vita, che altrimenti non avrebbe nessuna attrattiva.
In fondo il Teatro (quello con la T maiuscola) ci ricorda questo: bisogna stare al gioco ed accettare lo spettacolo...

Giuliano ha detto...

Beh, con Mesmer siamo poco dopo il 1750! Povero Mesmer, ha anche aiutato Mozart a mettere in scena la sua prima opera (Mozart aveva dodici anni, quindi siamo nel 1768, salvo miei errori).
Ho letto una sua biografia, mentre ero in cerca di notizie su Mozart, e mi è sembrato una persona onesta.
Sarebbe interessante ripercorrere la scoperta dell'energia elettrica, il periodo di Mesmer è lo stesso di Volta, siamo dalle parti del dottor Frankenstein!
Erano anche gli anni in cui si cominciava a capire che cos'è davvero il fuoco, all'università (medicina e scienze, non filosofia!) si studiava ancora la teoria aristotelica...
Diverso è il discorso sull'oggi, che fa una gran tristezza e anche una gran paura. Oggi l'ignoranza è voluta e cercata.

Sul Teatro, per Bergman, è fondamentale Fanny e Alexander; ma poi devo anche finire il discorso su Le soulier de satin di Oliveira (sono a metà!)