lunedì 20 settembre 2010

La ragazza di Boemia

The bohemian girl (La ragazza di Boemia, 1936) Produzione di Hal Roach. Dall’opera omonima di Michael W. Balfe (1830). Regia di James W. Horne e Charles Rogers. Fotografia di Art Lloyd e Francis Corby. Musica di Michael W. Balfe; la canzone “Heart of a gypsy” è di N. Shilkret & R. Shayon. Interpreti: Stan Laurel, Oliver Hardy, Thelma Todd, Mae Busch, James Finlayson, Antonio Moreno, Darla Hood, Jacqueline Wells, William P. Carleton, Zeffie Tilbury, Mitchell Lewis, Felix Knight, Yogi the myna talking bird. Durata: 71 minuti

«Ho sognato di abitare un castello ricco di marmi, con servitori e cameriere al mio servizio; e io ero l’onore di quel castello, la sua speranza...». Così racconta la giovane zingara, in “The bohemian girl”, a un paterno Oliver Hardy, che rimane estasiato ad ammirarla per tutta la durata del racconto. Nel frattempo, Stan Laurel si mangia tutta la colazione che era stata preparata per due; e quando alla fine Ollie se ne accorge, la risposta è: “Te ne avrei lasciato, ma avevo paura che si raffreddasse.”
Una delle scene più belle del cinema di Stanlio e Ollio deriva, come già “Fra Diavolo” (dello stesso anno) da un’opera lirica dell’Ottocento. Se il Fra Diavolo del francese Auber era datato 1830, qui siamo qualche anno dopo, nel 1843; l’autore di “The bohemian girl” è l’irlandese Michael William Balfe, nato a Dublino nel 1808, che visse a lungo in Italia dove studiò da baritono con i grandi cantanti rossiniani; in seguito, intraprese la carriera di cantante e di direttore d’orchestra. Tornato in patria, divenne uno dei punti di riferimento della vita musicale inglese; fu Balfe, per citare solo un solo episodio, a dirigere la prima rappresentazione londinese del Nabucco, opera di un giovane compositore italiano (allora sconosciuto) che si chiamava Giuseppe Verdi.

L’opera “The bohemian girl” viene generalmente tradotta con “La ragazza di Boemia”, e così è successo anche con il film; ma la traduzione corretta sarebbe “La zingarella” o “La giovane zingara”, dato che nell’Ottocento si pensava che gli zingari venissero dalla Boemia. Anche la Carmen di Bizet, molti anni dopo, canterà “l’amour est enfant du Bohème”, non nel senso di un amore cecoslovacco, ma nel senso di zingaro, libero, non soggetto a vincoli. Era questa la visione degli zingari nei secoli passati, quando ancora non si era costruito dappertutto e dovunque in Europa c’erano ampi spazi liberi in cui muoversi liberamente. La vita del nomade era povera e magari disprezzata, ma faceva invidia per la sua libertà; ed è questo anche il soggetto del coro che vediamo all’inizio del film, le parole che si cantano sono un inno alla vita libera e nomade degli zingari, che non hanno le nostre quotidiane vessazioni.

Il soggetto dell’opera di Balfe viene dal racconto di Cervantes intitolato “La gitanilla”; il libretto originale inglese è di Alfred Bunn, la prima rappresentazione dell’opera avvenne il 27 ottobre 1843, al teatro Drury Lane di Londra. Non mi ricordo di rappresentazioni italiane di quest’opera, ma potrei sbagliarmi; nei Paesi di lingua inglese è molto famosa soprattutto per una sua aria, che è appunto quella che ho citato all’inizio e che nell’originale inizia con questi versi: «I dreamt that I dwelt in marble halls, With vassals and serfs at my side...». E’ un’aria molto eseguita anche da sola, in concerto, perché è scritta bene, ha una bella melodia e permette alle cantanti di fare un’ottima figura; l’esecuzione che ascoltiamo nel film è corretta ma non è una gran cosa. Io la conosco nella versione di Joan Sutherland, grandissima cantante operistica che si può ascoltare al fianco di Luciano Pavarotti nei suoi anni migliori; ma la ricordo anche ascoltata in strada, a Milano, da un gruppo di ragazzi molto giovani che la eseguirono molto bene. E’ citata anche da James Joyce nell’Ulysses, e a parte tutto questo è una melodia non di primissimo ascolto, ma a cui ci si affeziona subito quando si impara a riconoscerla.

A differenza di quanto avviene nel Fra Diavolo, dove i personaggi di Stanlio e Ollio sono un’estensione di personaggi già presenti nel libretto originale e dove la storia originale è seguita molto fedelmente, in “The bohemian girl” il libretto originale serve solo da traccia.
Non conosco l’opera di Balfe per intero, ma su internet c’è il libretto; gli ho dato un’occhiata e ho trovato che la giovane zingara, che non sa di essere figlia di un Conte, vi si innamora di un giovane zingaro, che sa di essere di nobile nascita ma lo deve tenere nascosto. Insomma, una trama molto convenzionale che nel film viene felicemente ribaltata: non sto qui a raccontare come, ma la bambina, rapita per vendetta (il Conte ha fatto frustare uno dei capi degli zingari) finisce poi per essere adottata da Stanlio e Ollio, due zii molto affettuosi e premurosi.
Non sto neanche qui a perdere tempo a raccontare tutte le gags, che sono infinite e memorabili; il film non è un capolavoro e anche le musiche non sono bellissime, ma l’intervento di Stan Laurel e di Oliver Hardy è, come al solito, una benedizione divina.

Qualche notizia su Balfe, da wikipedia:
« Michael William Balfe (Dublino, 15 maggio 1808 - Rowney Abbey Hertfordshiare, 20 ottobre 1870) è stato un musicista, compositore, cantante direttore d'orchestra irlandese, rimasto famoso soprattutto come autore dell'opera The Bohemian Girl. Figlio di un maestro di ballo, dal quale ricevette anche i primi insegnamenti musicali, Balfe, tra il 1814 e il 1815, iniziò a suonare il violino per le classi di danza del padre e, all'età di sette anni, compose la sua prima polacca. Alla morte del genitore nel 1823, l'adolescente Balfe si spostò a Londra dove fu ingaggiato come violinista nell'orchestra del Drury Lane della quale alla fine assunse un ruolo di guida e si esibì anche saltuariamente come direttore. Contemporaneamente, Balfe, che aveva una aggraziata voce di baritono, iniziò ad esibirsi anche come cantante lirico nei teatri di provincia, debuttando senza molta fortuna a Norwich ne Il franco cacciatore di Weber. Nel 1825 si trasferì a Roma dove studiò irregolarmente con Paër e poi a Milano dove approfondì i suoi studi di canto con il grande basso rossiniano Filippo Galli. In Italia scrisse il suo primo componimento drammatico, il balletto La Perouse. Balfe fu quindi scritturato per tre anni da Rossini al Théâtre des Italiens a Parigi dove debuttò, alla fine del 1827, come Figaro nel Barbiere di Siviglia. Balfe ritornò però presto in Italia dove, nei seguenti nove anni, cantò in molti teatri ed iniziò anche la composizione di opere liriche. Durante questo periodo sposò Luisa Roser, una cantante ungherese che aveva conosciuto a Bergamo.

Balfe tornò a Londra nel 1833 ed intensificò l'attività di compositore iniziata in Italia, pur continuando anche la propria carriera di cantante (nel 1838 fu il primo Papageno inglese). Nel 1836, incoraggiato dal successo del precedente Siege of Rochelle, al Drury Lane, egli diede alle scene, l'opera The Maid of Artois, il cui successo fu garantito dalla partecipazione di una stella di prima grandezza come Maria Malibran Dal 1846 al 1852 Balfe ricevette l'incarico di primo direttore per l'opera italiana all'Her Majesty's Theatre [Italian Opera House (1837-1847)], ma continuò a viaggiare per tutta l'Europa curando la rappresentazione dei suoi lavori. In effetti, egli si rivelò un compositore davvero prolifico, come è dimostrato anche dal semplice elenco delle sue opere inglesi. (...) Balfe scrisse anche tre opere in francese (...) e diresse la prima londinese del Nabucco, quando Verdi era ancora molto giovane e sconosciuto. (...) Balfe si ritirò nel 1864 nell'Hertfordshire, dove affittò una tenuta di campagna e morì nel 1870.
Curiosando nel catalogo delle opere di Balfe, molto ricco di titoli, ho trovato anche un Falstaff, anno 1838, cinquantacinque anni prima di Giuseppe Verdi. Il primo interprete del Falstaff di Balfe fu il basso Luigi Lablache, napoletano, grande interprete rossiniano.


Arline: Where have I been wandering in my sleep? and what curious noise awoke me from its pleasant dream? Ah, Thaddeus, would you not like to know my dream? Well, I will tell it you.
I dreamt that I dwelt in marble halls,
With vassals and serfs at my side,
And of all who assembled within those walls,
That I was the hope and the pride.
I had riches too great to count, could boast
Of a high ancestral name;
But I also dreamt, which pleas'd me most,
That you lov'd me still the same,
that you lov'd me, you lov'd me still the same...
I dreamt that suitors sought my hand,
That knights upon bended knee,
And with vows no maiden heart could withstand,
They pledg'd their faith to me.
And I dreamt that one of that noble host
Came forth my hand to claim;
But I also dreamt, which charm'd me most,
That you lov'd me still the same,
that you lov'd me, you lov'd me still the same...
(At the end of the romance, Thaddeus presses Arline to his heart.)
Arline: And do you love me still?
Thaddeus: More than life itself.



2 commenti:

Ismaele ha detto...

"l’intervento di Stan Laurel e di Oliver Hardy è, come al solito, una benedizione divina"

parole sante:)

Giuliano ha detto...

Mi sono reso conto che non lo vedevo per intero da quand'ero bambino...Mi sono ricordato di come ero rimasto male per il finale, avrei tanto voluto rivedere Stanlio e Ollio "tornare normali" - e la penso così ancora oggi!
:-)
così come mi ricordavo benissimo "sono le nove e tutto va bene", ma non pensavo che fosse qui