sabato 25 settembre 2010

L'udienza ( II )


L’udienza (1971) regia di Marco Ferreri. Scritto da Rafael Azcona, Marco Ferreri, Dante Matelli. Fotografia di Mario Vulpiani. Musiche originali di Teo Usuelli; molte canzoni. Interpreti: Enzo Jannacci, Claudia Cardinale, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Michel Piccoli, Alain Cuny, e molti altri. Durata: 112’

Enzo Jannacci non ha quasi mai fatto l’attore, al cinema; ma qui se la cava benissimo, e anzi l’impressione è che il film sia stato pensato e costruito su di lui, sul suo fisico buffo, da burattino, e sulla sua faccia, la faccia di uno che sembra capitato lì per caso, come l’agrimensore K. quando si presenta al Castello.
Era tarda sera quando K. arrivò. Il paese era affondato nella neve. La collina non si vedeva, nebbia e tenebre la nascondevano, e non il più fioco raggio di luce indicava il grande Castello.
K. si fermò a lungo sul ponte di legno che conduceva dalla strada maestra al villaggio, e guardò su nel vuoto apparente. Poi andò a cercarsi un tetto; nell'osteria erano ancora svegli, l'oste non aveva stanze da appigionare, ma, molto sorpreso e sconcertato da quel cliente tardivo, gli propose di farlo dormire nella sala su un pagliericcio. K. accettò.
Alcuni contadini erano ancora seduti davanti ai loro boccali di birra, ma egli non volle parlare con nessuno, andò lui stesso a prendersi il pagliericcio in solaio, e si coricò vicino alla stufa. Faceva caldo, i contadini erano silenziosi, K. li guardò ancora per qualche minuto con gli occhi stanchi, poi s'addormentò. Ma poco dopo lo svegliarono. Un giovanotto in abito cittadino, con una faccia da attore, occhi sottili, sopracciglia folte, stava al suo capezzale, insieme con l'oste. I contadini erano ancora lì, alcuni avevano girato le loro seggiole per vedere e udire meglio.

Il giovanotto si scusò molto cortesemente di averlo svegliato, si presentò come figlio del portinaio del Castello, poi disse: « Questo villaggio appartiene al Castello, chi vi abita o vi pernotta, abita e pernotta, in certo modo, nel Castello. Nessuno ne ha il diritto senza il permesso del Conte. E lei questo permesso non ce l'ha, o almeno non l'ha mostrato ».
K. s'era rizzato a sedere, si ravviò i capelli, guardò i due uomini di sotto in su, e disse: « In che villaggio mi sono smarrito? C'è un Castello qui? ».
« Ma certo » disse il giovanotto lentamente, mentre qualcuno dei contadini crollava il capo, « il Castello del signor Conte Westwest. »
« E ci vuole un permesso per passare la notte? » chiese K., come per convincersi di non aver sognato le comunicazioni precedenti.
« Ci vuole un permesso » fu la risposta, e il giovanotto, come per farsi beffe di K., chiese all'oste e ai clienti, stendendo il braccio: « Se ne può fare a meno? »
« Allora bisognerà che me lo procuri » disse K. sbadigliando. Spinse via la coperta e fece per alzarsi.
« To'! e come? » chiese il giovanotto.
« Dal signor Conte » disse K., « non c'è altro da fare. »
« Adesso? A mezzanotte, andare a chiedere il permesso al signor Conte? » esclamò il giovanotto facendo un passo indietro.
« Non si può? » domandò K. tranquillamente. « E allora perché mi ha svegliato? »
Il giovanotto questa volta uscì dai gangheri.
« Che modi da vagabondo! » esclamò. « Esigo rispetto per le autorità comitali! L'ho svegliata per comunicarle che deve uscire immediatamente dai territori del signor Conte. »

« Basta con questa commedia » disse K. con voce stranamente bassa, ricoricandosi e tirando su le coperte. «Lei, giovanotto, esagera un poco e domani riparleremo del suo modo di fare. L'oste e questi signori mi faranno da testimoni, se testimoni occorreranno. Frattanto sappia che io sono l'agrimensore fatto venire dal signor Conte. I miei aiutanti arriveranno domani in carrozza, con gli strumenti. Io non ho voluto privarmi di una passeggiata nella neve, ma disgraziatamente ho sbagliato strada parecchie volte, e perciò sono arrivato così tardi. Sapevo benissimo che non era più l'ora di presentarsi al Castello, senza che lei me lo insegnasse. Ecco perché mi sono accontentato di questo asilo, dove lei ha avuto la scortesia -- per non dir peggio - di venirmi a disturbare. Non ho altro da dirle. Buona notte, signori. » E K. si voltò verso la stufa.
«Agrimensore? » chiese ancora dietro la sua schiena una voce esitante; poi cadde un silenzio. Ma il giovanotto non tardò a riprendersi, e disse all'oste, in tono abbastanza basso da passar per un riguardo al sonno di K., ma abbastanza alto per poter essere udito da lui: « Chiederò istruzioni per telefono ». (...) Poi incominciò la conversazione telefonica. Il portinaio dormiva, ma venne all'apparecchio un sottoportinaio, uno dei sottoportinai, un certo signor Fritz.
Il giovanotto, dopo essersi presentato col nome di Schwarzer, narrò come avesse trovato K., un uomo sui trent'anni assai male in arnese, tranquillamente addormentato su un pagliericcio con un piccolissimo sacco da montagna per cuscino e un nodoso bastone a portata di mano. Naturalmente gli era parso sospetto, e giacché era chiaro che l’oste aveva trascurato il suo dovere, era toccato a lui, Schwarzer, di adempiere il suo, andando in fondo alla cosa. Il risveglio, l'interrogatorio, la minaccia - che era di rigore - di espulsione dalla contea avevano mosso a sdegno K.; e forse a ragione, poiché egli affermava í essere un agrimensore chiamato al Castello dal Conte. Naturalmente era doveroso, almeno per la forma, esaminare la veracità di tale affermazione, quindi Schwarzer pregava il signor Fritz di chiedere all'ufficio centrale se davvero era atteso un agrimensore, e di telefonare subito la risposta. Poi si fece il silenzio, laggiù Fritz era andato a informarsi, e qui si aspettava il risultato. K. rimase com'era, non si voltò neppure; non pareva affatto incuriosito, e guardava nel vuoto davanti a sé. Il rapporto di Schwarzer, nel suo miscuglio di malignità e di prudenza, gli dava una idea delle risorse diplomatiche di cui disponevano al Castello anche i subalterni. E lavoravano con zelo, se l'ufficio centrale aveva persino un turno di notte. Le informazioni poi giungevano molto rapidamente, perché Fritz richiamava già. La risposta però fu assai breve, e Schwarzer riattaccò il ricevitore, furibondo. « L'avevo detto » (...)
(Franz Kafka, Il Castello, pagine iniziali, traduzione di Anita Rho, ed. Oscar Mondadori, 1976)



Il film, che va visto più che commentato, risente molto del clima seguente alla morte di papa Giovanni XXIII, al Concilio Vaticano II, e al papa che era venuto dopo, Paolo VI.
Papa Roncalli, Giovanni XXIII, eletto nel 1958, aveva aperto un’epoca di speranza. A tutti erano subito piaciuti quel suo modo di parlare diretto, la sua faccia da contadino bergamasco, e anche la decisione che si nascondeva dietro la sua bonomia. Papa Roncalli era piaciuto anche a chi non era cattolico e nemmeno religioso; la sua era la faccia di una persona con cui – finalmente – si poteva parlare, rivolgersi a viso aperto. Magari anche litigare, ma sempre con rispetto reciproco. Una persona di cui ci si poteva fidare, dunque; qualcuno su cui fare affidamento, ben diverso dai papi precedenti, chiusi e arroccati, distanti.
Papa Giovanni non riuscì a concludere il suo lavoro. Quando fu eletto, nel 1958, era già molto anziano e malato; sarebbe morto nel 1963, dopo solo cinque anni di pontificato. Il Concilio Vaticano II sarebbe stato concluso da altri, ed è più che probabile che sotto la sua guida, sotto la guida di papa Roncalli, tanti errori si sarebbero evitati. L’errore più grande, da parte della Chiesa, è stato quello di lasciare le cose a metà, di tornare a chiudersi.
Ecco dunque apparire, nel film di Ferreri, quest’omino insignificante che vuol parlare col Papa. Cosa mai vorrà, perché insiste, cosa avrà mai da dire di così importante?
E’ molto più di una parabola, questa di Ferreri; una parabola serissima e inquietante, ma anche divertita e divertente, stralunata come il suo protagonista (Enzo Jannacci, perfetto) e con molte battute e situazioni comiche ben riuscite.
Papa Giovanni appare davvero nel film, con immagini di repertorio, all’inizio; così come appare Paolo VI, sempre brevemente. A metà film Ferreri invece ci fa una piccola sorpresa, a sottolineare l’importanza del Papa, e del Concilio: alla mensa dei frati, nel refettorio, vediamo Jannacci che mangia accanto a un signore che si chiama Giovanni, e che assomiglia moltissimo a papa Roncalli. I due diventeranno amici, al sosia di papa Giovanni spettano alcune scene importanti anche se (apparentemente) non essenziali ai fini della narrazione.


Attorno a Jannacci, vediamo muoversi grandissimi attori: Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Alain Cuny, Michel Piccoli, Claudia Cardinale. Ferreri non era un regista da grandi numeri, e nell’ambiente del cinema, soprattutto fra i produttori, si guardava a lui con una certa diffidenza; ma gli attori amavano molto Ferreri perché dava sempre parti bellissime e inusuali, fuori dal comune, che erano impossibili per chi non sa recitare e che ne mettevano in risalto la bravura. Ugo Tognazzi, per esempio, parlava sempre con molto affetto di Ferreri: senza i film di Ferreri, diceva, sarei rimasto confinato in Italia, un comico come tanti altri. Invece Ferreri gli diede l’opportunità di essere conosciuto anche in Francia, di lavorare con registi francesi, di far vedere i suoi film in tutto il mondo. E’ una sorte che è capitata solo a lui, a Tognazzi: né Sordi né Gassman né Manfredi hanno mai superato i confini italiani. Gassman ci provò da giovane, senza molta fortuna; era molto stimato e lavorò anche con Altman, ma la sua era una fama “da addetti ai lavori”. Invece con Ferreri la magia funzionava, ed anche questo è un piccolo miracolo, perché i film di Ferreri sono spesso divertenti, ma non sono mai facili.
(continua)

2 commenti:

Marisa ha detto...

Mi ricordo benissimo quando si sentiva continuamente dire "è una situazione kafkiana" o si citava il "lapsus freudiano"...
Magari non si era letto Kafka e tanto meno Freud, ma almeno li si conosceva di nome e facevano parte del liguaggio collettivo. Ora, nella generazione del "Kepalle" (come felicemente li hai definiti nell'altro tuo blog), si è perso persino il ricordo di autori come Kafka, che hanno improntato di sè tutta la letteratura del XX secolo; già ormai un secolo fa e culturalmente forse anche più di un secolo fa, tanto profonda è la rimozione.
Grazie, come sempre per questi post. Questo film, come tanti degli anni '70, l'ho perso perchè in quegli anni ero "in tutt'altre faccende affaccendata" ed ora, grazie proprio ai tuoi post,lo sto scoprendo.

Giuliano ha detto...

"L'udienza" è anche un film molto divertente, Tognazzi e Jannacci, Gassman e la Cardinale non si scomodano invano! E' divertente anche Kafka, come ben sai.
Devo dire che, non appena mi è apparsa l'opportunità di portare qui qualcosa di Kafka, mi ci sono buttato al volo (il che vale anche per la faccia di papa Giovanni, che vedo sempre molto volentieri: ho già messo Kafka per "Amerika" secondo Straub-Huillet, e anche papa Roncalli per "E venne un uomo" di Olmi)